08/03/2024
Matrona Paola Busa: La Donna Canosina che segnó le sorti dell’Impero Romano.
La Matrona Paola Busa di Canosa si configura come una delle prime, se non la prima, crocerossina della storia. Non sappiamo se fosse sposata o vedova. Sappiamo solamente di una donna ricchissima, appartenente alla famiglia dei “Buzas” verosimilmente commercianti e di rango certamente aristocratico.
Sappiamo con certezza che visse nel III sec a.C. ma di Paola Busa di Canosa non conosciamo altro a parte le sue gesta.
Pomeriggio del 2 agosto 216 a.C., campo di battaglia di Canne, Puglia, vicinanze di Barletta, nei pressi del fiume Ofanto. La battaglia è finita. Il massacro si è compiuto. Cinquantamila (o forse settantamila) caduti romani e italici, fra cui il console Lucio Emilio Paolo, il proconsole Gneo Servilio Gemino, l’ex magister equitum di Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore, Marco Minucio Rufo, due questori, ottanta senatori, ventinove tribuni militari, centinaia di patrizi, di nobili plebei, di cavalieri, giacciono nel sangue e nella polvere. E’ la più grande disfatta mai occorsa alle armi romane. Diciannovemila uomini sono stati fatti prigionieri, fra romani e italici.
Diecimila superstiti della mattanza sono riusciti a fuggire. Tra questi, per fortuna di Roma, un giovane, appena diciannovenne, tribuno, appartenente ad una delle gentes più nobili di Roma, una delle cinque maiores, figlio di un ex console che porta il suo stesso nome, Publio Cornelio Scipione, il futuro Africano. Scipione, sedato sul nascere un tentativo di fuga all’estero architettato da alcuni nobili giovani ufficiali, si pone alla testa di un drappello di scampati e li conduce in salvo a Canosa, città vicina, distante appena quattro miglia dal campo di Annibale, città alleata di Roma dal 318 a.C., rimasta fedele a Roma, e che non defezionerà nemmeno dopo la disfatta di Canne.
Uomini disperati, atterriti e scioccati dalla terribile strage sporchi del proprio e dell’altrui sangue, affamati, assetati, sfiniti, molti anche feriti, giungono a Canosa, scampando all’inseguimento dei punici. I fuggiaschi, dunque, arrivano a Canosa, e necessitano di tutto. Si può immaginare che, come tutti i perdenti delle battaglie di tutte le epoche, non abbiano subito trovato una amichevole accoglienza.
Per fortuna viene loro in soccorso una matrona canosina, Paola Busa, appartenente ad una ricca famiglia di commercianti di origine probabilmente greca, i Buzas. Forse sposata o vedova, ha ereditato l’amministrazione dei beni di famiglia, che esercita con grande oculatezza e responsabilità, meritandosi l’ammirazione e il rispetto dei suoi concittadini. Paola Busa, difronte al triste spettacolo di quella turba di sbandati, non ha un attimo di esitazione: li accoglie in casa sua, li rifornisce di cibo, acqua e vesti pulite, e con l’ausilio di alcuni medici si prende cura dei feriti. Possiamo certamente ipotizzare che, per il prestigio di cui gode, il suo esempio venga seguito anche da altri canosini e canosine, che provvedono a fornire ai superstiti indumenti, cibo e anche denaro per il viaggio di ritorno.
La notizia dell’atto di generosità e solidarietà di Paola Busa non va perduto e giunge, portato dai soldati sopravvissuti, fino a Roma. A guerra finita il senato le tributerà grandi onori.
Il ricordo del gesto di Paola Busa non si p***e col tempo, e infatti la generosa matrona, oltre che da Tito Livio nel libro XXII del suo ” Ab urbe condita “, fu ricordata anche da Giovanni Boccaccio fra le donne illustri nel suo ” De mulieribus claris.”
Inoltre, senza saperlo, Paola Busa, con il suo gesto, contribuì alla vittoria di Roma. Infatti, i superstiti del macello di Canne, sia pur allontanati da Roma e confinati per tredici anni in Sicilia, andarono a costituire quelle due legioni cannensi che, a Zama, resistettero fino allo stremo delle forze all’attacco dei veterani di Annibale, fino al ritorno delle cavallerie romana e numidica, ritorno che fece pendere definitivamente la bilancia in favore delle armi di Roma.
Nella definitiva vittoria di Roma c’è quindi anche lo zampino, di una donna generosa che, dopo una disfatta terribile, seppe seguire quello che le diceva il suo cuore, e soccorrere quei soldati sconfitti come se ognuno fosse suo figlio. Il suo nome era Paola Busa, e il cognomen, di un grande e valoroso caduto di Canne, il console Lucio Emilio Paolo, che, ferito, rifiutò il cavallo che un ufficiale gli offriva per mettersi in salvo, esortandolo, anzi, a correre a Roma per informare il senato della disfatta. Lucio Emilio Paolo era il suocero di Publio Cornelio Scipione, e, con lui, il cerchio si chiude. Nel segno di Roma. Quel giorno che avrebbe potuto essere la fine di tutto, rappresentò, invece, un nuovo inizio per l’Impero Romano.
Probabilmente, a parte le gesta, non conosceremo mai il volto di una delle più grandi donne di Canosa, ma con sicurezza, a Canosa potremo osservare i volti delle moltissime donne canosine, che, spronate da lei, seguirono il suo valoroso esempio, accogliendo ed aiutando i superstiti dell’esercito romano.
Questi volti rivivono in tutti i vasi policromi e plastici figurati datati al IV-III sec a.C. esposti nel Museo Archeologico Nazionale di Palazzo Sinesi.
Auguri a tutte le Donne!
Fonti Paola Marconi , Maestro Peppino Di Nunno, Canosa si Racconta di Paolo Pinnelli e Mariangela Intraversato.
Illustrazione di Piskv.