23/01/2023
Di Anselmo Pagani
Quasi 800 chilometri percorsi a piedi lungo la via Francigena, su sentieri tortuosi e fangosi, valicando montagne, attraversando fiumi e sfidando neve e tempeste.
Questa fu l'impresa compiuta da circa 150 mercenari svizzeri, partiti tre mesi prima da Lucerna agli ordini del comandante Kaspar von Silenen, che nel pomeriggio del 22 gennaio del 1506 fecero il loro ingresso nella Città Eterna attraverso la Porta del Popolo, dove ad attenderli si trovava lui, Giulio II Della Rovere, il "papa guerriero", il cui stemma (una quercia gialla su fondo azzurro) campeggia ancora nella bandiera della Guardia Svizzera.
Chi altri infatti avrebbe potuto maturare l'idea d'istituire il Corpo militare d'élite della guardia pontificia, che proprio il 22 gennaio festeggia il suo anniversario?
Da allora i cosiddetti "corazzieri del Santo Padre", fedeli al motto "acriter et fideliter", hanno dimostrato nel tempo di saper difendere la vita del Papa anche a rischio della propria.
Invero,qualche tentativo di costituire un corpo di guardie scelte c’era già stato nel XV secolo, coi papi Sisto IV ed Innocenzo VIII, ma s’era trattato soltanto di ingaggi specifici "a chiamata", non di un impegno continuo.
La cosa non deve meravigliare, perché in quei tempi lontani in cui la Svizzera (economicamente parlando) eravamo noi, i giovani di quelle vallate sperdute e poverissime, se non volevano patire la fame, avevano solo una possibilità: emigrare per mettersi al servizio come militari di questo o quel principe straniero.
Non avendo allora granché da esportare, perché orologi di lusso, formaggi e cioccolata erano lungi dall’essere disponibili, la Confederazione dei Cantoni Elvetici pensò di gestire direttamente quel commercio di uomini, stabilendo ogni anno quanti ne potevano partire in cambio di grano, sale ed altri beni di prima necessità.
Si doveva infatti fare attenzione a non inflazionare troppo il mercato, ma anche a tenere in patria le braccia necessarie per la coltivazione dei campi e l'allevamento del bestiame.
I prescelti partivano per la stagione estiva, per poi tornare a casa a svernare con la doppia ricompensa del soldo e del bottino di guerra, ancora più ambito del primo.
Sebbene privi di cavalleria e con poca artiglieria, quegli uomini godevano della reputazione di essere di gran lunga i migliori guerrieri del tempo, sulla scia di quanto testimoniato già da Cesare, che pure inferse loro una sonora sconfitta a Bibracte.
Così, già dal XIII secolo, gli Svizzeri iniziarono a fornire i loro soldati ad imperatori, re, duchi e signorotti vari.
Quando nel 1495 re Carlo VIII di Francia fece la sua discesa in Italia per conquistare il Regno di Napoli, il nerbo portante del suo esercito era costituito proprio da loro, gli Elvetici, che l'allora Card. Giuliano della Rovere, riparato ad Avignone per sfuggire alle persecuzioni di papa Alessandro VI Borgia, ebbe modo di vedere all'opera coi propri occhi.
Eletto al soglio pontificio nel 1503 col nome di Giulio II, il novello Papa già all’inizio del 1505 trattò l'ingaggio del primo contingente svizzero, convinto a scendere a Roma dall’impegno papale di fornitura di soldo, vitto, alloggio e del variopinto abbigliamento “usque ad calceas" (“fino alle calzature”) immortalato nelle Stanze Vaticane da Raffaello in un famoso ciclo di affreschi.
La divisa attuale del Corpo fu invece disegnata circa un secolo fa dall'allora comandante, che prese ispirazione proprio agli affreschi raffaelliani.
Se non c'è nessuna certezza che la divisa originale sia stata disegnata da Michelangelo, si sa invece che la scelta dei colori non fu casuale, perché il giallo e il blu sono quelli dello stemma del Della Rovere, mentre il rosso fu aggiunto da Leone X de' Medici, che così volle riprodurre il tricolore presente nel proprio blasone familiare.
La prima prova del fuoco per il neonato Corpo delle Guardie Svizzere si presentò vent'anni dopo quell'ingresso festoso, in occasione del terribile Sacco di Roma del 1527 costato la vita a circa 150 guardie.
Da allora, un mezzo millennio vissuto "acriter et fideliter".
(Testo di Anselmo Pagani)