Quello di Broglio di Trebisacce è diverso dalla maggior parte degli altri scavi di antichità in Calabria. Visitandolo non si incontrano resti monumentali di templi, di teatri, di ville e non si ammirano statue o mosaici. Tutte queste memorie ce le hanno lasciate i Romani antichi, e prima di loro i Greci, venuti a colonizzare la Calabria e a fondarvi Reggio, Crotone, Sibari verso la fine dell’VIII
secolo avanti Cristo, e poi altre città. Questo è il motivo per cui molti affermano che furono i Greci a portare la civiltà in Italia, e in particolare in Calabria: un’affermazione falsa, che alla Calabria e all’Italia ha a lungo fatto un gran male, e che ha potuto parere affidabile grazie alla magnificenza dei monumenti eretti in questa regione appunto dai Greci -e poi dai Romani-, e giunti a noi con la documentazione imponente che tutti conosciamo. Ma ci si è dimenticati che nella stessa Grecia un analogo splendore di opere fu realizzato solo a partire dalla seconda metà del VII secolo (così si data il più antico tempio a noi giunto, l’Heràion di Olimpia). Rapida fu certo la diffusione di queste nuove forme di civiltà in tutta la Grecia e nelle colonie oltremare; ma molte di queste colonie, come s’è detto, erano state fondate più di un secolo prima. Il punto è: cosa trovarono i Greci in Calabria al momento del loro approdo alla fine dell’VIII secolo? Un popolo chiamato Enotri, il più antico d’Italia, come ci narrano le antiche fonti greche. Ma, prima di addentrarci nell’esame di queste ultime, cerchiamo di capire chi fossero sulla base delle tracce di vita che loro stessi ci hanno direttamente lasciato. Gli Enotri costituivano una nazione che fiorì per circa un millennio (1700- 700 a.C.), estesa e popolosa, fittamente insediata in siti di altura, spesso vere e proprie rocche, che consentivano un capillare controllo strategico, sia economico che politico-militare, del territorio e delle sue risorse. Lo sfruttamento agricolo e pastorale di queste era fin da allora talmente intensivo, da generare già i primi segni di degrado ambientale. Le principali tecnologie artigianali degli Enotri, in parte prese a prestito dal Mediterraneo orientale e applicate con elegante destrezza e disinvolta rapidità -lavorazione dei metalli e della ceramica, ma anche della pasta di vetro e dell’avorio- ebbero un carattere talmente specializzato, standardizzato e professionale, e furono oggetto di traffici così intensi e diffusi, da abbracciare la Grecia e l’Egeo, e da autorizzarci a parlare di un inizio della produzione di vere e proprie merci e di un’incipiente economia di mercato. I corredi delle tombe con i loro dislivelli di ricchezza attestano una stratificazione sociale alquanto articolata. Tale è la varietà delle pratiche di culto documentate presso gli Enotri, da farci intravedere forme di religiosità assai complesse, con una pluralità di figure divine, forse un vero e proprio pàntheon. Se per civiltà si intende la forma in cui una società progredita e complessa esprime ed afferma la propria cultura, ad introdurre la civiltà in Calabria sono dunque stati gli Enotri. Beninteso, in Grecia e nell’Egeo durante quello stesso millennio il livello di civiltà si mantenne costantemente alquanto al di sopra di quello dell’Italia meridionale fino al momento della colonizzazione, ma senza che si possa parlare di un vero e proprio dislivello. Questo invece proprio a quel punto si produsse, al momento della fondazione delle colonie, e divenne irreversibile; ma si trattò di un processo soprattutto politico, di cui diremo in seguito. Il recupero dell’importantissimo ruolo storico ricoperto dagli antichi Enotri può risultare fondamentale per il rafforzamento dell’identità storica dei calabresi di oggi. A differenza di alcune nazioni europee ma a somiglianza di altre, l’Italia ha un’identità storica plurale, intessuta delle diverse identità etniche che, per lo più già prima dell’avvento dei Romani, caratterizzarono territori corrispondenti alle varie regioni moderne che ancor oggi ne conservano a volte il nome: basti ricordare la Liguria, il Veneto, la Toscana, l’Umbria, la Sardegna, la Sicilia. Nel Mezzogiorno, e in particolare in Calabria, la memoria del succedersi quasi ininterrotto di dominazioni straniere, Greci, Bizantini, Longobardi, Arabi, Normanni, Svevi, Angiò, Aragonesi, Borboni, ha coperte, indebolite, quasi obliterate, quelle antichissime identità: occorre dunque ora riportarle alla luce. In effetti, quello del sito archeologico di Broglio di Trebisacce è in Calabria l’unico scavo dedicato per intero agli Enotri, e che per intero ne abbraccia la storia. Al parco si arriva rapidamente dall’uscita di Trebisacce Sud/Giardini della statale 106 (raddoppio), come indicato nella pianta in 4a di copertina. La strada campestre supera con un guado lastricato il torrente Marzuca e si immette tramite una stretta valle nel complesso dei terrazzi di Broglio, lasciando sulla sinistra l’altura del Castello e sulla destra la cosiddetta punta dell’acropoli. Le pareti di una cava di ghiaia permettono di osservare i depositi naturali della formazione dei terrazzi di Broglio, che risalgono al Quaternario, a centinaia di migliaia di anni fa, con ritmi di strati di ghiaie, di sabbie e di sedimenti fini (limi), ogni tanto con dei livelli di blocchi: si tratta dell’interazione tra corsi d’acqua simili alle fiumare, che scendevano dal monte Mostarico, e della riva del mare, con alternanze di fasi sommerse ed emerse. Si giunge quindi a un vasto pianoro coltivato a ulivi, che in età ellenistica (IV-III sec. Il terrazzo è ammantato di terreni bruno-rossicci: sono i resti dei suoli rossi mediterranei, che si formarono prima dell’Olocene (prima di 10.000 anni fa), con clima forse un po’ più caldo. Questi terreni per la prima volta vennero coltivati dagli agricoltori del Neolitico medio (fase di Serra d’Alto), che disboscarono Broglio (circa 4500 a.C.). Sulla destra si incontrano delle casette in pietra, ricostruite in stile rustico per il parco, sul luogo di analoghe strutture in rovina. Dal VII secolo d.C. in poi l’area fu coltivata in modo ininterrotto, e le fondazioni di casette longobarde o bizantine trovate al punto 8 del parco sono le antenate di quelle qui ricostruite. Lungo il percorso di visita affiorano lacerti di muri a secco, con uso di blocchi e inserti di tegole, traccia delle fasi edilizie recenti. I proprietari storici di Broglio si chiamavano Odoguardi, nome suggestivo che pare rinviare a origini germaniche; inoltre per “Broglio” si è suggerito un rapporto con “Brolo” = “luogo coltivato/alberato”, termine medievale. Qui si trovano la biglietteria, una sala per esposizioni didattiche, le toilettes e strutture di servizio. Da qui parte e qui ritorna il percorso di visita. Mentre i grandi imperi egiziano e ittita (quest’ultimo con centro in Turchia) erano impegnati in conflitti per il dominio, ma anche in intense relazioni commerciali, il mondo miceneo della Grecia aveva conquistato Creta, e esteso su tutto il Mediterraneo i propri traffici. Anche Cipro, con le sue miniere di rame e i suoi navigatori, era un volano dell’economia globale. Broglio, vaste aree del Sud e la Sardegna dei nuraghi mostrano di essere inseriti in pieno negli scambi di beni e di persone nel Mediterraneo. In Italia del Nord, le terramare, grandi villaggi difesi da fossati e terrapieni, mettono completamente a coltura una gran parte della Pianura Padana; in Europa centrale, i villaggi fortificati organizzano e controllano il territorio. In Europa del Nord e Scandinavia abbiamo soprattutto fattorie isolate, in un paesaggio armoniosamente regolato; piccoli gruppi di case rappresentano la forma principale di abitato nelle Isole britanniche. L’ambra dal Baltico, lo stagno dalla Cornovaglia: tutto è collegato. L’età del Bronzo (2300-1000 a.C.) è stata anche definita come la prima età d’oro d’Europa, per le strette relazioni esistenti tra gli estremi più lontani del continente, per il rapido sviluppo delle tecniche, per la crescita demografica, per la straordinaria fioritura di civiltà. Di tutto questo periodo di tempo, il Bronzo recente (1350-1200) rappresenta una fase di particolare integrazione.