12/10/2024
"La conoscenza è il proprio tempo appreso con il pensiero: chi si appresta a immaginare un orientamento per l’azione culturale nazionale non può che muovere dal prendere le misure di un mondo entrato nella dimensione compiuta della tecnica e delle sue accelerazioni. Il movimento delle cose è così vorticoso, improvviso, così radicale nelle sue implicazioni e applicazioni che persino il sistema dei processi cognitivi delle persone e non solo delle ultime generazioni ha cominciato a mutare con esso. (...) Di fronte a questo cambiamento di paradigma, la quarta rivoluzione epocale della storia delineante un’ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale, il rischio che si corre è duplice e speculare: l’entusiasmo passivo, che rimuove i pericoli della ipertecnologizzazione, e per converso l’apocalittismo difensivo che rimpiange un’immagine del mondo trascorsa, impugnando un’ideologia della crisi che si percepisce come processo alla tecnica e al futuro intese come una minaccia. Siamo dunque precipitati nell’epoca delle passioni tristi? No”.
Sia mai. Siamo semmai crollati inebetiti al suolo, smarriti e storditi, dopo cotanta dispensazione di sapere. Chi avrebbe mai potuto immaginare che la conoscenza passasse per l'apprendimento prodotto dalla capacità di pensare (relativamente all'epoca in cui viene elaborata)? La fonte di quest'affermazione è Georg Wilhelm Hegel, che parlava però della filosofia (nella "Prefazione" ai "Lineamenti di filosofia del diritto), e non della conoscenza, in quanto "proprio tempo appreso con il pensiero" (la filosofia è cioè figlia del suo tempo, non puo oltrepassarlo). Se voleva essere una parafrasi, quella di Alessandro Giuli, è una perifrasi del tutto insensata e in ogni caso bisognava dirlo (citando la fonte, e non appropriandosene come fosse farina del proprio sacco). Il suo discorso, oltretutto, Giuli lo legge. Deve dunque aver scritto proprio "processo alla tecnica e al futuro intese" (anziché "intesi").
L'italiano del neoministro è quello di chi, non avendo il completo possesso degli strumenti per parlare (e scrivere) difficile, innalza a dismisura i toni per disorientare l'ascoltatore (o il lettore) ma, spacciando per giunta come proprie le parole altrui, commette svarioni - logici, semantici, testuali - da dilettante allo sbaraglio. L'ontologia ci va di lusso in questo quadro (e vuoi mettere l'"apocalittismo"?), e allora pure le "passioni tristi", oltre a riconfermarti l'abitudine al saccheggio (come per il passo hegeliano anche l'"epoca delle passioni tristi" non è un'immagine di Giuli ma il titolo in traduzione italiana di una nota opera di Miguel Benasayág e Gerard Schmit) , ti fanno ancor più pesantemente cadere le braccia.
La premessa, d'altronde, è quella di un diligente scolaretto ("Comincio a leggere una parte un po' più teoretica") che, spiegato il passaggio, ci va giù più tranquillo, si fa per dire, con le parole che ho riportato in apertura: il passaggio "teoretico" dell'audizione alla Camera del neoministro riecheggia per davvero, anche considerato il contesto (non un'aula universitaria, tantomeno destinata a un congresso di accademici di grigio pelo), il supercazzolarese tognazzesco di "Amici miei".
Oltre ai difensori d'ufficio, che non mancano mai (per Federico Mollicone, deputato di Fratelli d'Italia, l'opposizione non avrebbe contenuti e la butterebbe "in caciara"), si sbraccia per Giuli la solita sinistra radical chic, pretendendo di difendere l'indifendibile, anche perché campionessa nel complicarci la vita (linguistica) fra una "cancellazione" culturale e l'altra e una "correzione" politica e l'altra.
Prima un'amica mi segnala un post di Andrea Colamedici, saggista ed editore (filosofico, neanche a dirlo), che si augura che Giuli "costringa la sinistra a chiedere di più a se stessa, a non autocompiacersi sempre, a non giustificarsi per un'immanifesta superiorità intellettuale". In soldoni, e con l'"immanifesta" siamo sempre nei paraggi della supercazzola: la sinistra, se si giustifica per una superiorità culturale che non manifesta, agli occhi di chi, se quella superiorità non la manifesta, dovrebbe giustificarsi?
Leggo quindi un articolo di Daniele Capra, critico d'arte, che si spolmona contro gli sghignazzatori (c'ero anch'io, con un paio di goliardici radical pop come me) a suon di "quanto siete ignoranti". Lui, manco a dirsi, è invece almeno tre spanne sopra i comuni mortali.
Incappo subito dopo in una filippica di Loredana Lipperini, giornalista e scrittrice, che chiama addirittura in causa l'analfabetismo di ritorno, quello di chi non riesce neanche a lambire le alte vette comunicative del Ministro, e scomoda un incolpevole Tullio De Mauro il quale, dalla sua tomba, fra un rigiro e l'altro, si starà facendo anche lui quattro crasse e liberatrici risate.
Lipperini, e siamo all'epilogo
(col rimpallo di linea delle partite di giro), condivide un post di Simona Vinci, scrittrice, e questa ricambia linkando il post di Lipperini per tamponare le falle (le reazioni critiche al suo post). Non paga, e quando mai, s'inalbera poi fulminante contro un'ardita commentatrice: "tre minuti non sono un discorso di un'ora dobbiamo smetterla di farneticare sul nulla. Se si vuole commentare prima si approfondisce. Altrimenti si può anche tacere". Ecco, appunto. Della serie: lei non sa chi sono io, e voi non siete un... (chiedete a Belli).
Dice: ma come si spiega il fatto che i tracotanti scicchettoni di sinistra abbiano dato di fatto dell'analfabeta ad almeno quattro quinti abbondanti della popolazione italiana? Si spiega, si spiega. Perché Alessandro Giuli parla come Elly Schlein, che comunque, andrà detto, negli ultimi tempi è migliorata.
Da una supercazzola all'altra, hai voglia a dire degli opposti estremismi, il passo - come da manuale - può essere maledettamente breve. Che è come dire, spostando l'attenzione dalla comunicazione agli usi linguistici, che se da una parte trovi uno che continua a dirti "L'uomo si è fin dai primordi evoluto...", e tu vorresti fargli osservare che è meglio "genere umano', o "essere umano", dall'altra ti trovi ad avere a che fare con un bando in cui leggi: "La Facoltà non assume alcuna responsabilità nel caso di dispersione di comunicazioni,
dipendenti o da inesatta indicazione, da parte del/della candidato/a, del recapito sopra indicato, o da inesatta indicazione della residenza e del recapito da parte del/della
candidato/a, o da mancata o tardiva comunicazione relativa alla variazione dei dati
suindicati, né per eventuali disguidi non imputabili a questa Amministrazione". Anche no. Anzi: no.
Come se non bastasse, roba da mandarti dritto dritto al manicomio, partecipi a una riunione e un altro dice: "Buongiorno a tutti e a tutte, grazie di essere venuti/venute a questa importante riunione che, vi prometto sarà molto breve, perché è venerdì pomeriggio e tutti e tutte vorremmo andare a casa". Basta.
Di fronte a tutto questo prima pensi (poco) seriamente di convertirti allo schwaese. Sai però che non puoi farlo perché tu, proprio tu, contro lo schwa hai lanciato non molto tempo prima una petizione, e sei pure un linguista che difende da sempre l'italiano in quanto bene comune (istituzionalmente o pubblicamente parlando, in altri contesti ognuno parla o scrive, ci mancherebbe, come meglio crede), e alla fine risolvi così, fra te e te: "Se fino a ieri ho scritto, nella mia chat universitaria, 'buongiorno, ragazzi e ragazze', da domani esordirò ogni volta con un bel 'Buongiorno, raga' e non se ne parli più".
Finiamola con gli eccessi del politicamente corretto (e annesso radicalismo fricchettone), perché la misura è colma. E se è cosa buona e giusta, certo, recuperare un pizzico di complessità in un mondo sempre più culturalmente impoverito, non si monti in cattedra pretendendo di dare lezioni di lingua e comunicazione senza avere neanche le competenze necessarie.
L'italiano di Giuli è l'italiano di un semicolto, o, a essere generosi (ma sarebbe addirittura peggio se fosse così), di una persona del tutto inconsapevole del contesto di riferimento. Non è neanche politichese, perché qualunque politico abituato a quel linguaggio al tempo della Prima Repubblica, da Moro a Fanfani, sarebbe inorridito se avesse ascoltato il neoministro. Sempre che non avesse indossato i panni del conte Mascetti.