05/08/2020
"Il cielo dei Greci è tutto trapunto di forme del mito, pullula di personaggi che passano con scadenze esatte attraverso la volta celeste mostrando agli occhi umani un intero universo di racconti. È, per così dire, un gran libro mitologico le cui pagine si aprono sopra le teste dei mortali: una vera e propria mitologia astrale che ogni notte si accende e si disegna, stagione dopo stagione, come una specie di soffitto celeste dipinto con le immagini di dèi, eroi e figure mostruose e strane. Ai Greci va il merito non solo di avere gettato le basi della nostra conoscenza del cielo e di aver dato il nome alle nostre costellazioni, ma anche di averlo riempito di storie.
Dietro a ogni costellazione sta un racconto, o meglio una pluralità di racconti. Le figure disegnate nel cielo sono un «doppio» delle figure umane; lì in alto stanno eídola ovvero simulacra, imagines di esseri di un tempo, resi eterni nel momento stesso in cui il destino li aveva resi effimeri con la morte. A volte, sono gli stessi esseri che un tempo vivevano sulla Terra, come il Dragone che custodiva il giardino delle Esperidi e che ora, trasferito fra gli astri, avvolge le sue immense spire nel cielo boreale. In altri casi sono effigies, disegni che gli dèi compongono nel cielo, come un pittore affrescherebbe un soffitto: così, Zeus disegnò tra le stelle la forma di una capra, per ricordare quella che lo aveva nutrito infante.
È impossibile sapere quando, e attraverso quali vie, miti e costellazioni iniziarono a essere collegati. Il libro di Igino (sulla scorta degli autori greci, di cui è sostanzialmente una compilazione) fa del catasterismo il risultato di un'azione divina: gli dèi (Zeus in particolare, ma non solo) trasferiscono tra le stelle figure e vicende esemplari, perché restino per sempre sopra le teste degli uomini come ammonimento: ut homines meminissent, perché gli uomini ricordino.
Igino, influenzato dal pensiero pitagorico, e il suo predecessore Arato, il quale invece lo era da quello stoico, forniscono diverse motivazioni: a volte, per offrire agli occhi di tutti un monstrum, un essere prodigioso di cui non si deve perdere la memoria, come nel caso della Balena; a volte, per ammonire e educare gli uomini, come nel caso di Cassiopea, che ruota nel cielo a testa in giù per punizione della sua arroganza. In altri casi, per compensare una perdita e consolare un lutto (Orione), o per ammirazione (Auriga, Leone) o anche per gratitudine verso una creatura benemerita, come nel caso del Toro, in cui Zeus si mutò per rapire Europa e farla sua, o per compensare un essere umano del suo destino, come accadde all'Orsa, un tempo l'infelice Callisto, che finì tra le stelle piangendo il suo destino materno mancato. (...) Creare costellazioni aiutò, come scrive Arato, a superare il disordine apparente del cielo per indagare un ritmo cosmico: fu il tentativo di dare un ordine derivato dall'occhio umano allo spazio infinito dell'universo. Del resto, nelle costellazioni (Arato lo afferma con grande forza) e nell'ordine dell'universo si rispecchia l'operazione di una mente divina, che disegna il suo progetto negli spazi infiniti del cielo".
Dall'introduzione di Gioachino Chiarini e Giulio Guidorizzi alla Mitologia Astrale di Igino (I secolo d.C.)
Nell'immagine The Heavenly Tenants di Ilonka Karasz (1896-1981)