23/02/2024
Disobbedire a Sorgono
Ho origini sarde. Il mio cognome ne è un buon indicatore.
Dire “origini” mi sembra riduttivo perché questo frammento di terra contemplato dal mare me lo sento addosso come quando in spiaggia il famoso bent’e sobi - lo scirocco caldo e umido, letteralmente “vento di sole” - mi scompigliava i capelli meglio di quello che avrebbe potuto fare un phon con 3000 watt di potenza.
E allora, in questi giorni che dedico alla mia terra, mi ri-trovo a Sorgono, un paese nella zona del Mandrolisai raggiungibile tramite una strada che sinuosamente viene accolta tra le pendici delle montagne, le più centrali della Sardegna.
Ciò che mi ha spinto qui è stato “Once upon a place”, un evento per imparare a raccontare e promuovere una destinazione organizzato da Cadossene Lab.
Oggi uno dei relatori, Federico Favot, ci ha chiesto di dedicare 30 minuti, timer alla mano, a collezionare foto del paese per poi tornare e raccontarle.
30 minuti.
Parto in solitaria. Pur non conoscendole, saluto le persone che incontro perché è da loro che parte quell’iniziativa così semplice che in una città come Genova - quella dove vivo - sarebbe sicuramente considerata una minaccia o un’avance anche se il mittente in questione fosse un’anziana signora di 80 anni.
In sequenza scatto:
1_ Un balcone senza pavimento in Via Garibaldi, forse ceduto dalla pressione de “i mille” - 26 minuti
2_ Un portone ribelle di legno con la voglia di spogliarsi di quella vernice vetusta, corredato da un cartello vendesi tanto decadente quanto rigoglioso in attesa di futuro - 22 minuti
3_ Un gatto tra casa e strada, privo di qualsivoglia preoccupazione - 18 minuti
4_ L’acquedotto, il cui carattere tipografico ricorda il font usato da quella propaganda dittatoriale che ha avuto luogo dal 20 al 40 circa - 14 minuti
5_ Una bella casa in Via Montebello, giusto per rafforzare il concetto
A questo punto il battito del timer dice che mancano 10 minuti ma il mio sguardo si posa su una costruzione, magistralmente recuperata, che sulla parete affigge una foto di se stessa nei primi del 900.
La porta è aperta. Un signore, come se fosse governato dalle maree, fa su e giù dal gradino che separa la dimora dalla pavimentazione esterna in pietra e mi guarda con curiosità.
L’accoglienza di quello sguardo ha fatto in modo che un’introversa come me buttasse giù la barriera del proprio mondo interiore per chiedere “Qual è la storia di questa casa?”
Non vedeva l’ora! Mi spiega con implacabile orgoglio ciò che ha fatto per rimodellare a sua misura quelle mura, mi accoglie spiegandomi ogni finitura, condendo il dialogo con qualche parola sarda.
A noi si aggiunge una ragazza, che solo dopo scopro essere una guida del Cammino Minerario di Santa Barbara - mio nonno paterno è stato un minatore sardo - ed è insieme a lei che condivido la scoperta.
Questa scoperta, non si limita al guardare con quanta dedizione i tetti sono stati intrecciati o con quanta maestria delle vecchie finestre sono state recuperate.
In questa occasione io mi ri-trovo.
Disobbediente, perché i 30 minuti del timer sono diventati un’ora - per una persona ossessionata come me dalla puntualità è un evento gravissimo ma è anche un ottimo segnale, perché si esce dal controllo e quando questo succede è perché si è coinvolti.
Ligure negli approcci iniziali. Sarda nello spirito desideroso di continuare a conoscere le proprie radici.
Come si racconta un territorio? Ne stiamo parlando in questi giorni e se dovessi avanzare un’ipotesi, tra tutte quelle fatte, direi che lo si può fare anche disobbedendo ovvero - come dice la Treccani - “omettendo di eseguire un ordine o di osservare una disposizione, sia agendo in modo contrario”.
Dedicando il giusto tempo alle cose, scoprendo modi che sono lontani dalle nostre abitudini, trovando la poesia in uno strappo alla regola, possiamo certamente portare un nuovo punto di vista al racconto di un territorio.
Disobbedire, oggi, mi ha reso migliore e ha dato una forma nuova ai miei pensieri.
Spero capiti anche a voi.