30/03/2024
Su un fondo a foglia d'oro, uniforme, bidimensionale e atemporale, Gesù Cristo, dall'incarnato pallidissimo, è raffigurato sulla Croce, coronato di spine, da cui stillano copiose gocce di sangue sulla fronte, sovrastato da un cartiglio in caratteri gotici con il titulum INRI (Iesus Nazarenum Rex Iudeorum). Il capo è chino, gli occhi socchiusi, la bocca deformata in un'espressione sofferente. Dal costato sprizza un getto di sangue, così come un rivolo rossastro dai suoi piedi cola sul Monte Calvario, il Golgota, luogo del supplizio, rappresentato in modo schematico da un piano di posa roccioso.
Accanto a lui Maria guarda il Figlio, nell'antica posa dell'orante, a braccia aperte, importata dall'arte pagana e reinterpretata nelle icone medievali, nel caso della Vergine come tramite: la Madonna è "advocata nostra", intercede per noi.
A destra, sotto la croce, troviamo il discepolo prediletto da Gesù, che in punto di morte gli affida Maria. Giovanni ha le mani incrociate sul grembo, in una posa dolente ma misurata: le raffigurazioni medievali sfuggivano la rappresentazione esasperata del dolore poiché il Cristianesimo aveva introdotto la certezza della vita eterna e non c'era perciò motivo di disperarsi per «sora nostra morte corporale», come la chiama san Francesco. Sul piano celeste, due angeli partecipano commossi: quello a sinistra con le mani giunte in preghiera, l'altro con le palme rivolte verso di noi, aperte all'altezza del petto in segno di suprema accettazione della volontà divina.
Non c'è dramma in questa tavoletta del 1408 visibile in sala IV, capolavoro del maestro del tardogotico Gentile da Fabriano. La linea scorre elegante e sinuosa creando le forme, con un andamento fluido reso possibile dall'uso di pigmenti preziosi, come nelle vesti purpuree degli angeli (in lacca di garanza, semitrasparente sul fondo oro, a rendere l'incorporeità delle creature celesti) o nello spettacolare blu di lapislazzuli di Maria, vera e propria Regina Coeli.