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Palazzo Chiericati di Vicenza, progettato nel 1550 per Girolamo Chiericati, è uno dei massimi capolavori di Andrea Palla...
30/07/2024

Palazzo Chiericati di Vicenza, progettato nel 1550 per Girolamo Chiericati, è uno dei massimi capolavori di Andrea Palladio.
Impreziosito da affreschi e stucchi, e arricchito da una delle più prestigiose raccolte civiche europee, per l'eccezionale importanza culturale è Patrimonio mondiale dell'Umanità UNESCO.

Il Comune di Vicenza lo acquistò nel 1839 dalla famiglia Chiericati per accogliervi le civiche collezioni d'arte. Restaurato, ampliato e riadattato alla nuova funzione, il museo fu inaugurato il 18 agosto del 1855.

Il complesso museale è attualmente composto da tre edifici: il corpo palladiano e gli ampliamenti, realizzati nell'Ottocento e nel Novecento.
Il museo ospita oggi una collezione composta di dipinti, sculture e arti applicate, che va dal Duecento fino ai primi anni 2000. Nei depositi, visitabili su richiesta, sono inoltre disponibili le collezioni di grafica e numismatica.

Il restauro dell'intero complesso è oggi ancora in corso: al momento sono aperti al pubblico il percorso espositivo dal Duecento al Seicento e il Lascito Giuseppe Roi.


Palladio è lo pseudonimo di Andrea di Pietro della Gondola, nato a Padova, nell’allora Repubblica di Venezia, il 30 Nove...
29/07/2024

Palladio è lo pseudonimo di Andrea di Pietro della Gondola, nato a Padova, nell’allora Repubblica di Venezia, il 30 Novembre 1508.
Fu Gian Giorgio Trissino dal Vello d’Oro, tra il 1535 e il 1538, ad introdurlo e guidarlo nella sua formazione tecnica e culturale, e fu sempre lui a conferirgli il noto soprannome.
Palladio era il nome di uno degli angeli presenti nel poema epico “L’Italia liberata dai Goti”, scritto da Gian Giorgio stesso nel 1527, ma non è ben chiara l’origine del termine. Alcuni studiosi sostengono che sia un riferimento a Pallade, figura della mitologia greca legata solitamente alla saggezza e associabile sia ad Atena che ad una serie di altri personaggi; altri ancora ipotizzano che possa avere una provenienza numerologica legata al nome di Vitruvio, un architetto dell’antica Roma considerato il più grande teorico della materia di tutti i tempi.

Nel corso della sua vita Palladio progettò più di 80 opere, tra cui il Teatro Olimpico, dove mi trovo nella foto qui sopra, la celebre Villa Almerico-Capra “La Rotonda”, la Basilica Palladiana, Palazzo Chiericati e molto altro. Il suo trattato in quattro tomi intitolato “I quattri libri dell’architettura” rimane ad oggi uno dei più importanti testi illustrati di questa disciplina. La sua arte è stata fonte di ispirazione e di studio fino a giorni nostri ed è riuscita a superare qualsiasi confine: persino molti degli edifici costruiti all’epoca della fondazione degli Stati Uniti d’America furono progettati in stile neopalladiano, come la Casa Bianca e il Campidoglio a Washington D.C., l’Università della Virginia e la Marble House di Newport, Rhode Island.

Una mente geniale e lungimirante, che già al suo tempo percepiva l’eterno conflitto tra civiltà e natura; un rapporto che, secondo le sue parole, andrebbe risolto “affermando il profondo senso naturale della civiltà, sostenendo che la suprema civiltà consiste nel raggiungere il perfetto accordo con la natura senza perciò rinunciare a quella coscienza della storia che è la sostanza stessa della civiltà“.

Un grande artista che ancora oggi, dopo cinque secoli, è in grado di insegnarci e trasmetterci qualcosa.


Villa Godi Malinverni è una delle prime opere di Andrea Palladio, la prima documentata con sicurezza, in quanto riportat...
26/07/2024

Villa Godi Malinverni è una delle prime opere di Andrea Palladio, la prima documentata con sicurezza, in quanto riportata dallo stesso architetto veneto nel suo trattato “I quattro libri dell'architettura”. La progettazione dell'edificio, commissionata dai fratelli Gerolamo, Pietro e Marcantonio Godi, iniziò nel 1537 per concludersi nel 1542, con modifiche successive sull'ingresso e sui giardini nel retro.

Dopo averla acquistata in stato di degrado nel 1962, il Prof. Remo Malinverni dedicò gli ultimi anni della sua vita per riportarla all'antico splendore. Assieme alle altre ville palladiane del Veneto, è inserita dal 1996 nell'elenco dei Patrimoni dell'Umanità dell'UNESCO.

Nella villa è possibile visitare 10 sale, affrescate dai più importanti artisti classici del ‘500, e perfettamente mantenute nei secoli: gli artisti che vi lavorarono furono Zelotti e Battista del Moro (loro i riferimenti al mondo greco) e Gualtiero Padovano, uno dei primi grandi paesaggisti veneti.

All’interno, collocato al piano terra, si può visitare il Cucinone del ‘500, ritenuto uno dei più caratteristici di quel periodo.

Annesso alla Villa, collocato al di sotto della Foresteria, si trova il Museo dei Fossili fondato a metà dell’800 dal Conte Piovene. All’interno del Museo, sono stati raccolti circa 350 reperti di diversa specie della zona del Chiavon e dell’Astico. Tra questi, spicca per bellezza e rarità il fossile di palma più lungo d’Europa, ben 9 metri, la cui estrazione ha richiesto 4 anni di lavoro.

T-shirt by Cristina Grigolo


Sono a Cortona, l’antica Lucumonia Etrusca di Coritus.Cortona fu lucumonia da circa il VII secolo a.C. fino alla sconf**...
24/07/2024

Sono a Cortona, l’antica Lucumonia Etrusca di Coritus.

Cortona fu lucumonia da circa il VII secolo a.C. fino alla sconf***a al lago di Vadimone, presso Bassano in Teverina, del 284 a.C. contro Roma.
Ma le origini di Cortona sono addirittura più antiche.

E’ citata da Virgilio nell’Eneide quando parla del funerale di Polidoro figlio del Re di T***a Priamo... discendente del cortonese Dardano, che da Cortona partì proprio per fondare T***a.

Secondo la leggenda Dardano era figlio del re etrusco Corito e di una pleiade di nome Elettra figlia di Atlante.

Si racconta che Dardano combatteva sopra un colle che sovrasta la Val di Chiana, quando fu colpito da una lancia che gli portò via l’elmo, mai più ritrovato. Interrogato un indovino, disse che la Madre Terra aveva chiuso l’elmo nel suo seno, poiché voleva che là dov’era stato perduto, sorgesse una città turrita, la quale sarebbe stata impenetrabile e forte come l’elmo di Dardano.

Allora l’eroe costruì le mura della nuova città, che ebbe il suo centro proprio là, dove aveva perduto l’elmo. La città ebbe nome “Corito”, elmo, da cui derivò poi il nome di Cortona.


Il lago Trasimeno è, sin dall’antichità, punto di incontro di storia e religione. Racconta la storia che, sulle sue spon...
22/07/2024

Il lago Trasimeno è, sin dall’antichità, punto di incontro di storia e religione.

Racconta la storia che, sulle sue sponde, i romani guidati da Gaio Flaminio subirono nel nel 217 a.C. una delle più famose sconfitte contro i cartaginesi di Annibale. E sulle più grande delle sue isole, chiamata isola Maggiore, vi trovò ristoro San Francesco d’Assisi nel 1211.
Proprio a San Francesco è dedicata oggi la piazza dell’isola, quella dove si approda dopo pochi minuti di battello.

L’isola Maggiore, percorribile a piedi in meno di un’ora, ospita la chiesa di San Michele Arcangelo, con numerosi affreschi, e quella di San Salvatore, sulla cui facciata è riconoscibile il simbolo di Federico Barbarossa.

L’isola è oggi un piccolissimo borgo che conta circa 15 abitanti e, nel periodo autunnale e invernale, è facile trovare quasi tutto chiuso, con pure pochi battelli per raggiungerla.
Questo la rende sicuramente poetica, lontana dal caos e dalla confusione che può creare un turismo selvaggio. Tanto che nella via principale si trova la Panchina dei Poeti, dietro la quale sono appese alcune maioliche dipinte a mano con frasi di poeti.


“Non esistono gli errori. Gli eventi che portiamo su noi stessi, non importa quanto spiacevoli, sono necessari per poter...
19/07/2024

“Non esistono gli errori.
Gli eventi che portiamo su noi stessi, non importa quanto spiacevoli, sono necessari per poter imparare ciò che abbiamo bisogno di imparare.
Qualunque passo facciamo, è necessario per raggiungere i luoghi dove abbiamo scelto di andare.” (Richard Bach)


Il Pozzo di San Patrizio si trova a Orvieto, ed è una delle attrazioni turistiche più famose della città. Risale XVI sec...
17/07/2024

Il Pozzo di San Patrizio si trova a Orvieto, ed è una delle attrazioni turistiche più famose della città. Risale XVI secolo e si distingue per l’architettura unica e la complessità ingegneristica.

La struttura del Pozzo, con un’altezza di circa 54 metri e un diametro di 13, è un esempio di architettura rinascimentale e una testimonianza dell’ingegno e della creatività di ingegneri e costruttori di quel periodo.
Nel 1527, Papa Clemente VII scappa da Roma e si rifugia a Orvieto, dove commissiona ad Antonio da Sangallo il Giovane la costruzione del pozzo per fornire acqua alla città, in caso di un eventuale assedio.

Inizialmente il Pozzo di San Patrizio era stato chiamato “Pozzo della Rocca”, in riferimento alla Fortezza Albornoz che si trova accanto. Nell’Ottocento, i frati del Convento dei Servi si ispirano alla leggenda del Santo irlandese Patrizio per rinominare il Pozzo.

Secondo la leggenda, San Patrizio si ritirava in preghiera nei pressi di una grotta talmente profonda da sembrare senza fine, e si pensava fosse collegata all’aldilà. In questo luogo, il Santo invitava i fedeli a raggiungere il fondo della grotta in cambio della remissione dei peccati e dell’ingresso in Paradiso. Nel corso degli anni, il Pozzo è diventato oggetto dell’espressione “essere come il Pozzo di San Patrizio”, che si usa per indicare qualcosa di misterioso e senza fine.

Oggi, visitando il pozzo, si scende, si gira, si sale, si gira, tredici giri avvolgendosi su se stessi, metà a scendere, metà a salire. Si dice che ogni mezzo giro nasconda una lettera, tredici giri, ventisei lettere, l’intero alfabeto.

E talvolta, di notte, il pozzo restituisce voci, parole impazzite, idiomi confusi… forse i desideri smarriti di visitatori distratti.


Orvieto è una città millenaria, sospesa quasi per magia tra cielo e terra, sicuramente uno dei tanti gioielli dell’Umbri...
15/07/2024

Orvieto è una città millenaria, sospesa quasi per magia tra cielo e terra, sicuramente uno dei tanti gioielli dell’Umbria.
Le sue origini etrusche rivelano nel sottosuolo una città sotterranea, composta da un insieme di grotte, pozzi, cunicoli lasciati dagli etruschi e che si aprono all’interno delle pareti tufacee. Un prezioso serbatoio di informazioni storiche ed archeologiche, studiato solo recentemente in modo organico e scientifico.

Uno dei simboli della città è sicuramente il Duomo, un gioiello dell’architettura romanica. Indubbiamente una della cattedrali più belle del mondo, un capolavoro curato nei minimi dettagli. Una meravigliosa facciata gotica e interni quasi “intimi”, riccamente decorati con affeschi ben conservati. Bellissimi i mosaici esterni su sfondo oro e i bassorilievi a fianco dei portali di ingresso, con le storie del vecchio e del nuovo testamento.

Pur restando ignoto l’autore del progetto originale, si sa per certo che dal 1310 la direzione dei lavori passò a Lorenzo Maitani, che con il suo intervento caratterizzerà la struttura in maniera decisiva.


“Solo il f***e riesce ad avere il libero arbitrio, perché gestisce autenticamente se stesso.”“Oggi, potrei descrivermi c...
12/07/2024

“Solo il f***e riesce ad avere il libero arbitrio, perché gestisce autenticamente se stesso.”

“Oggi, potrei descrivermi come uno che abita nel suo labirinto, dal quale sia stato cacciato il Minotauro e ne siano usciti Teseo e Arianna dopo la caduta di Icaro. Immagino che Dedalo, dopo la morte del figlio Icaro, si sia chiuso nel labirinto da lui stesso costruito e abbia continuato a lavorare solo fino a una tardissima età, toltosi per sempre le ali, guardando in modo commosso il cielo, coltivando il suo giardino, passeggiando seguendo gli echi; nel suo giardino delle metamorfosi, seguendo lo svettare di Ciparisso, verso il cielo, le musiche delle acque del vento, il gioco delle ombre, opera del sole a lui solo ascose. Così volgerei tutto in poesia…” (Tomaso Buzzi)


“Ho ritrovato me stesso nel trasformare la Scarzuola. Lei è stata la mia maestra. Mentre io la mettevo a posto, Lei face...
10/07/2024

“Ho ritrovato me stesso nel trasformare la Scarzuola. Lei è stata la mia maestra. Mentre io la mettevo a posto, Lei faceva uscire il giullare che sono sempre stato, e mi ricordava chi ero.” (Marco Solari)

La Scarzuola è un percorso simbolico e alchemico che si dispiega rivelando metafore di tutte le vite, e una relazione di tipo iniziatico viene a stabilirsi tra il convento (città sacra) e le fabbriche del teatro (città profana), sovraccariche di simboli e segreti, di riferimenti e di citazioni.
Una grande opera globale, in cui elementi del passato si sovrappongono a quelli del presente e del futuro, situata in località Montegiove nel comune di Montegabbione.

Secondo la storia, deve il suo nome ad una capanna di scarza (paglia) che, secondo la tradizione, San Francesco costruì durante una delle sue peregrinazioni, sul punto in cui, dall’alloro e dalla rosa da lui stesso piantati, era miracolosamente sgorgata una fontana.
In quel luogo venne edificata nel 1282, dal nobile Nerio di Bulgaruccio dei Conti di Montegiove, una chiesa con un piccolo convento francescano.
Il convento, abbandonato dai frati nel Settecento, fu rilevato da uno dei maggiori architetti italiani del Novecento, il milanese Tomaso Buzzi, che vi volle costruire, nel corso di ventina d’anni una sua città ideale, incentrata su sette teatri e ispirata all’ideale umanistico della composizione armonica di natura e cultura.
Lungo il percorso si incontrano edifici dal forte valore simbolico, anche nel nome (la torre di Babele, la scala Musicale delle Sette Ottave, la scala di Giobbe, etc.), e il culmine della rappresentazione giunge con l’Acropoli, una montagna di edifici, vuoti all’interno e spesso sovrapposti.

Il risultato è una costruzione surreale e meravigliosa, che racchiude la tradizione del sacro e l’innovazione del profano. Un viaggio al buio, dentro se stessi, con l’orologio dell’uroboro che scorre al contrario, a riunire fiori a stelle, a spiritualizzare la materia e nutrire lo spirito.


“Iniziai col comprare una casa ad Arezzo nel sobborgo di S. Vito, dove si respira l’aria più buona di questa città.”Con ...
08/07/2024

“Iniziai col comprare una casa ad Arezzo nel sobborgo di S. Vito, dove si respira l’aria più buona di questa città.”

Con queste parole Vasari descriveva la sua casa, acquistata nel 1541, oggi sede del museo omonimo.
Giorgio Vasari, storico dell’arte e artista poliedrico, autore de Le Vite, fonte imprescindibile della storiografia artistica, fu sempre molto legato alla sua città natale, come testimoniano le importanti e numerose opere dislocate su tutto il territorio aretino. Nonostante vi soggiornasse solo per brevi periodi, il suo pensiero si rivolgeva spesso alla casa aretina, considerata un rifugio dove ritemprarsi al suo ritorno dai numerosi impegni.

Il Vasari affrescò personalmente le sale dell’appartamento signorile, seguendo un preciso programma di celebrazione del ruolo dell’artista, utilizzando riferimenti mitologici, biblici e allegorie. In particolare, nella Sala del Trionfo della Virtù, la rappresentazione è incentrata sul ruolo dell’artista e sull’influsso degli astri sulla vita umana: celebri artisti dell’antichità, figure allegoriche e, sul soffitto, il Trionfo della Virtù che lotta con la Fortuna e l’Invidia. Nella Camera di Abramo, la camera nuziale del Vasari, ha particolare risalto Dio padre che benedice la generazione di Abramo, nel tondo centrale del soffitto. Nelle altre sale, Apollo e le Muse, la Fama e le Arti, e numerosi ritratti di artisti dell’epoca.

Nel 1911, in occasione del quarto centenario della nascita dell’artista, la dimora venne acquistata dallo Stato italiano per destinarla a museo. Negli anni Cinquanta del secolo scorso il Museo assunse il suo aspetto attuale, con l’eliminazione degli arredi in stile e l’allestimento di una piccola quadreria con opere di Vasari, dei suoi collaboratori e di altri pittori toscani, ben rappresentativa del Manierismo toscano.

All’interno di Casa Vasari, escluso dal percorso museale e non aperto al pubblico, si conserva il prezioso Archivio vasariano che contiene la corrispondenza dell’artista aretino e documenti, quali le Ricordanze e lo Zibaldone.

“Per lasciar fama e dilettar l’ingegno.” (Giorgio Vasari)


La città di Arezzo, situata nella Toscana sud-orientale, sorge su di un colle che domina quattro vallate: Valtiberina, C...
05/07/2024

La città di Arezzo, situata nella Toscana sud-orientale, sorge su di un colle che domina quattro vallate: Valtiberina, Casentino, Valdarno e Valdichiana. La definirei una gemma sospesa nel tempo, dove passato e presente si intrecciano in un’armoniosa danza.

La città ha origini antichissime e forse non tutti sanno che è più antica persino di Alessandria d’Egitto! Arezzo fu infatti una delle maggiori lucumonie etrusche e divenne, in seguito, un centro romano di importanza strategica, fulcro di fiorenti attività economiche e ricco di monumenti.

Nel Medioevo diventò un comune libero, in cui prevalse la parte ghibellina, e visse la storica contrapposizione con Firenze.
Dopo la battaglia di Campaldino nel 1289, l’indipendenza della città finì e, nonostante una certa ripresa economica al periodo dei Tarlati, Arezzo divenne un dominio fiorentino già dal 1384, entrando così a far parte del granducato della Famiglia dei Medici.

Piazza Grande è oggi il cuore del centro storico della città. Unica per la sua originale forma trapezoidale e il piano fortemente inclinato, è caratterizzata da un’armoniosa alternanza di costruzioni di varie epoche, che le regalano un aspetto suggestivo e scenografico.

Molti sono i personaggi illustri che sono nati qui, tra tutti: Giorgio Vasari, Piero della Francesca, Francesco Redi e Francesco Petrarca.


Ponte Buriano è il ponte aretino più famoso e uno dei più ammirati tra quelli storici, che attraversano l’Arno in tutto ...
03/07/2024

Ponte Buriano è il ponte aretino più famoso e uno dei più ammirati tra quelli storici, che attraversano l’Arno in tutto il suo corso. Immerso in una meravigliosa riserva naturale regionale istituita nel 1995, il manufatto prende il nome da un antichissimo villaggio più distante dal fiume rispetto alla frazione odierna, oggi scomparso. Per questo motivo sarebbe più corretto dire, come si faceva in passato, Ponte a Buriano. Con le sue sette arcate in pietra, è uno dei gioielli più preziosi della strada dei Setteponti, situato nella riserva naturale amata e studiata da Leonardo da Vinci.
Negli anni, il ponte è stato attraversato da pellegrini ed eserciti, ha superato alluvioni e bombardamenti, ma ha resistito fino ai giorni nostri.

Nel 1992 Ponte Buriano divenne celebre grazie alle intuizioni di Carlo Starnazzi, che riconobbe nell’ambientazione che fa da sfondo alla “Gioconda” di Leonardo da Vinci, proprio il ponte romanico. Leonardo conosceva bene la zona, perché tra l’estate 1502 e la primavera 1503 aveva svolto l’attività di cartografo su incarico di Cesare Borgia, eseguendo studi e rilievi sul territorio che andava dal Valdarno Superiore alla Val di Chiana.

Il Ponte fa da cornice ad un luogo splendido, con ampi spazi verdi e boschi dove fare piacevoli passeggiate e vedere aironi di ogni specie oltre ad altre razze protette.
Il paesaggio circostante stupisce in ogni stagione con colori e tonalità sempre diversi. Se vi capita di passarci nell’ultima domenica di Giugno vi troverete “La spollinata”, una spettacolare discesa lungo l’Arno con imbarcazioni stravaganti.


Chi lavora con le sue mani è un lavoratore. Chi lavora con le sue mani e la sua testa è un artigiano. Chi lavora con le ...
01/07/2024

Chi lavora con le sue mani è un lavoratore.
Chi lavora con le sue mani e la sua testa è un artigiano.
Chi lavora con le sue mani, la sua testa ed il suo cuore è un artista.
(San Francesco d’Assisi)


Il Castello del Catajo è un monumentale edificio ricco di storia, fascino e leggende, costruito a partire dal XVI secolo...
29/06/2024

Il Castello del Catajo è un monumentale edificio ricco di storia, fascino e leggende, costruito a partire dal XVI secolo da Pio Enea I degli Obizzi presso Battaglia Terme. Il Catajo è una dimora unica nel suo genere, che nel tempo è stata villa principesca e alloggio militare, cenacolo letterario e reggia imperiale.

Il Castello nacque per celebrare i fasti degli Obizzi, ampliato dalla stessa famiglia nel ‘600 e ‘700 venne in seguito trasformato in reggia ducale dalla famiglia Asburgo-Este di Modena de infine eletto residenza di villeggiatura imperiale degli Asburgo, imperatori d’Austria. Già dal XVI secolo era divenuto sede di una delle più importanti raccolte collezionistiche d’Europa.

Appena superato l’ingresso vi troverete di fronte la “Fontana dell’Elefante”, fatta erigere da Pio Enea II Degli Obizzi nella seconda metà del secolo XVII, per sancire il legame del Catajo con l’oriente, dove si ritrovano reminiscenze mitologiche grazie alla presenza di Bacco e puro esotismo grazie all’elefante. Quest’ultimo, una vera rarità per quel secolo, è una delle uniche tre espressioni scultoree dello stesso secolo realizzate in Italia, assieme a quello di Bernini a Roma e quello del Parco dei Mostri di Bomarzo.


Nel cuore del Parco Regionale dei Colli Euganei, sorge la seicentesca Villa Selvatico. L’area, un tempo, era la Valle e ...
27/06/2024

Nel cuore del Parco Regionale dei Colli Euganei, sorge la seicentesca Villa Selvatico. L’area, un tempo, era la Valle e il Colle di Sant’Elena, chiamato anche “Colle della Stufa” per la presenza di una grotta sudorifera, che le fonti storiche ricordano essere stata frequentata sin dall’alto Medioevo per curare e alleviare dolori grazie al calore e alle proprietà delle sue acque termali naturali. La tenuta quindi può essere considerata l’archetipo dei moderni stabilimenti termali: in passato era molto conosciuta sia dai locali che dai viaggiatori. Se ne servirono anche illustri personaggi tra cui il poeta Francesco Petrarca, il duca Francesco III di Modena, il filosofo Michel de Montaigne, lo scrittore francese Stendhal ed il poeta tedesco Hainrich Heine.

Una scalinata di 144 gradini conduce alla terrazza romantica affacciata sul comprensorio euganeo, un’emozionante passeggiata “dalla Selva oscura al Paradiso”, un percorso metaforico, dapprima più oscuro e ombroso, poi, con l’ultima fatica della scalinata, si giunge in alto, alla meta paradisiaca. Inoltre, la cupola con la rosa dei venti, la galleria nel colle della Stufa e la chiesetta di Sant’Elena donano un tocco fiabesco alla prestigiosa dimora di ispirazione palladiana.

All’interno, il salone centrale un ricco ciclo di affreschi realizzati nel 1650 da Luca Ferrari da Reggio, illustrano le Storie di Antenore, il mitico fondatore di Padova.
L’artista presenta i personaggi mitologici calati nella realtà quotidiana utilizzando un luminoso cromatismo, rappresentativo della fase di passaggio tra il classicismo rinascimentale e l’enfasi dell’arte barocca. Le scene raffigurate sono: la“Fuga di Antenore da T***a”, la “Vittoria di Antenore su Valesio” e la “Fondazione di Padova”, tutte liberamente ispirate all’Eneide virgiliana e alle Storie di Tito Livio.

Dopo decenni di accurati restauri, Villa Selvatico riaprì al pubblico il 25 marzo 2023 ed è oggi vistabile.


Villa Badoer, detta La Badoera, sorta a Fratta Polesine tra il 1555 ed il 1557 “... ove era anticamente un castello di S...
25/06/2024

Villa Badoer, detta La Badoera, sorta a Fratta Polesine tra il 1555 ed il 1557 “... ove era anticamente un castello di Salinguerra da Este...” (A. Palladio, I Quattro Libri dell’Architettura, Venezia, 1570) è una delle più prestigiose del Veneto.

Il progetto e la realizzazione furono affidati da Francesco Badoer, discendente di una nobile famiglia veneziana, ad Andrea Palladio, uno dei massimi architetti italiani del ‘500.
La Badoera è costituita da un corpo centrale, destinato a residenza dei nobili proprietari, cui sono annesse due barchesse, che chiudono a semicerchio il prato antistante. La facciata, completata da un elegante frontone, è ornata da un monumentale pronao al quale si accede percorrendo un’ampia scalinata.

Prestigioso l’interno, suddiviso in un salone centrale ed in vani attigui, decorati con affreschi realizzati da Pierfrancesco Giallo Fiorentino alla fine del sec. XVI. Le immagini rappresentano scene mitologiche (alcune delle quali legate al territorio) e grottesche (ornato che interpreta motivi decorativi derivati dall’antichità classica).

La villa, dichiarata monumento patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 1996, è proprietà della provincia di Rovigo che ha provveduto ad un intelligente restauro conservativo, per cui è ora possibile visitarla completamente. È oggi anche uno splendido contenitore per l’organizzazione di riunioni e convegni, mostre, rappresentazioni teatrali, liriche, di balletto; mentre le barchesse sono il contenitore del Museo Archeologico Nazionale, con l’esposizione di reperti archeologici unici, di grande rilevanza europea.


La Camera della Badessa o Camera di San Paolo è un ambiente dell’ex monastero di San Paolo a Parma, celebre per essere s...
23/06/2024

La Camera della Badessa o Camera di San Paolo è un ambiente dell’ex monastero di San Paolo a Parma, celebre per essere stato affrescato nel 1518-1519 dal Correggio.

La Camera venne considerata da subito dagli studiosi come un capolavoro, forse il più bell’appartamento ecclesiastico del
Rinascimento.
La Camera, di forma quasi cubica, è decorata con affreschi solo sulla cupola in quanto le pareti, si presume, dovessero essere rivestite di arazzi secondo una pratica assai diffusa nel
Cinquecento.
La decorazione pittorica realizzata da Correggio, di cui le carte ricordano solo che era compiuta il 25 marzo 1522, nasconde completamente la struttura tardo gotica a ombrello, realizzata nel 1514 da Giorgio Edoari da Erba, rivestendola con un pergolato di fronde e vimini intrecciati dove si apre una serie di finti ovati con gruppi di putti, che si affacciano all’interno della stanza, in atteggiamento giocoso di cui, alcuni, evocativi del tema della caccia.

Sul camino è raffigurata Diana, dea della castità, in chiaro riferimento alla Badessa la cui insegna araldica si trova al centro del soffitto.
Sul fregio si impostano anche quattro lunette ai lati, dipinte a monocromo, con una serie di finte sculture a soggetto mitologico.

L’iscrizione latina “Ignem gladio ne fodias” (Non stuzzicare il fuoco con la spada) incisa sul camino, sembrerebbe indicare il fermo atteggiamento della badessa circa l’autonomia del convento da lei guidato, rispetto all’autorità ecclesiastica.


La chiesa di San Domenico al Corso, piccolo gioiello del barocco veronese, si trova nel quartiere Cittadella, a due pass...
23/06/2024

La chiesa di San Domenico al Corso, piccolo gioiello del barocco veronese, si trova nel quartiere Cittadella, a due passi dal Museo degli Affreschi e dalla Tomba di Giulietta. L’austera facciata a capanna della chiesa è visibile dalla strada, tuttavia l’accesso al sagrato avviene tramite un piccolo portale in pietra realizzato durante la ristrutturazione del XVII-XVIII secolo. Esso è caratterizzato dalla statua di San Domenico, situata in una nicchia e realizzata da Orazio Marinati.

In origine, le monache di San Domenico risiedevano al di fuori delle mura di Verona. Il loro complesso però venne demolito nel 1517, quando la Repubblica di Venezia ordinò l’abbattimento di tutti gli edifici presenti nel raggio di un miglio dalle mura cittadine. Le monache acquistarono quindi un terreno in città, all’interno della Cittadella, per costruire un nuovo monastero. Questo, realizzato tra il 1537 e il 1543, andò a formare un intero isolato lungo la strada che collegava la porta Rofiolo con il bastione di San Francesco.
Dal 1543 le monache poterono prendere finalmente sede nel monastero terminato, la cui chiesa venne consacrata l’11 novembre 1554 dal vescovo di Verona Luigi Lippomano.

La chiesa venne completamente rinnovata a cavallo tra XVII e XVIII secolo quando fu sopraelevata, vennero dipinte le pareti e inserite opere pittoriche di pregio; altari e arredi cinquecenteschi andarono quindi perduti.
Pochi anni dopo, tra il 1827 e il 1831, Leopoldina Naudet, fondatrice della congregazione delle sorelle della Sacra Famiglia, acquistò da Domenico Maboni tutto il complesso che successivamente passò nuovamente di mano. Venne poi suddiviso in vari lotti con diverse destinazioni, tra cui un istituto tecnico e sede dei vigili del fuoco prima, e della polizia municipale poi.

Durante la seconda guerra mondiale il complesso subì danni notevoli. Rimasero completamente integri solamente il chiostro e la chiesa, mentre molti altri spazi furono rimaneggiati e ristrutturati nel corso degli anni.

Dal 2010 la chiesa è divenuta sede della comunità evangelica luterana di Verona e Gardone, facente parte della Chiesa evangelica luterana in Italia.


Al primo piano, del Palazzo della Pilotta di Parma, un portone monumentale in legno dipinto sormontato da una corona duc...
21/06/2024

Al primo piano, del Palazzo della Pilotta di Parma, un portone monumentale in legno dipinto sormontato da una corona ducale conduce al Teatro Farnese: un ambiente spettacolare, che conserva ancor oggi il ricordo della fastosa vita di corte dei Duchi Farnese. Quasi del tutto distrutto dalle bombe del 1944 e ricostruito in epoca moderna, oggi il teatro ci restituisce una delle più straordinarie architetture teatrali del Seicento, oltre ad una delle strutture barocche più grandi d'Europa.

Costruito in brevissimo tempo, usando materiali leggeri come il legno e lo stucco dipinti, il teatro nacque per volontà di Ranuccio 1, IV duca di Parma e Piacenza, il quale intendeva festeggiare con grande sfarzo la sosta di Cosimo Il de' Medici a Parma, programmata in occasione di un viaggio del Granduca di Toscana a Milano per visitare la tomba di San Carlo Borromeo.
Si trattava di un evento di grande importanza politica per Ranuccio, che aveva la possibilità di rinsaldare i suoi legami con la famiglia medicea, riallacciati nel 1615. Nel 1617, in tutta fretta, fu quindi invitato a Parma l'architetto ferrarese Giovan Battista Aleotti, detto "L'Argenta" dal nome del paese d'origine, che aveva già lavorato con i Farnese a Parma durante il carnevale del 1616.

L'inaugurazione del teatro, già ultimato nel 1619, avvenne solo nel 1628, in occasione delle nozze tra Margherita de' Medici e il duca Odoardo, con uno spettacolo allegorico-mitologico dal titolo "Mercurio e Marte", arricchito da un torneo e culminante in una spettacolare naumachia, per la quale fu necessario allagare la platea con una enorme quantita d'acqua, pompata tramite una serie di serbatoi posti al di sotto del palcoscenico.
Data la complessità degli allestimenti e del funzionamento delle macchine di scena, nonché l'alto costo degli spettacoli stessi, il teatro fu utilizzato solo altre otto volte dal 1652 al 1732, in occasione di visite illustri o di matrimoni della corte dei Farnese.


La tradizione termale di Salsomaggiore è relativamente recente. Le sue acque sono utilizzate sin dall’epoca preromana pe...
19/06/2024

La tradizione termale di Salsomaggiore è relativamente recente. Le sue acque sono utilizzate sin dall’epoca preromana per la produzione di sale, e solamente dopo il 1836, grazie alle ricerche del medico Lorenzo Berzieri, sono utilizzate anche con scopi curativi. Da metà XIX secolo inizia il passaggio tra un’economia basata sulla produzione del sale, e la “Salsomaggiore città termale” che oggi conosciamo.

Anticamente il borgo era definito il “villaggio del sale”, e sorgeva sulle sponde dei torrenti Citronia e Ghiara, intorno a una f***a rete di pozzi d’acqua salsobromoiodica. Nel centro storico, sulla riva del torrente, sorgeva la fabbrica del sale, costruita nel XVII secolo sotto la dominazione del Ducato Farnese, e caratterizzata dall’imponente architettura delle Saline.

Nel 1857 parte della fabbrica delle saline viene sostituita da uno stabilimento per le cure termali, eretto su autorizzazione del governo ducale di Parma. Il piccolo stabilimento risulta presto insufficiente, e nel 1883 viene costruito lo Stabilimento nuovo detto: “Dalla Rosa”.

A partire dal 1912, la società Dalla Rosa Corazza e C., avvia la costruzione di un nuovo imponente stabilimento termale.
Il progetto è dell’architetto Giulio Bernardini, con cui collabora l’architetto Ugo Giusti, che completerà l’edificio al termine della prima guerra mondiale.

Il disegno della facciata viene affidato al pittore e scultore fiorentino Galileo Chini, che introduce nelle decorazionii temi delle architetture orientali di gusto liberty.
L’inaugurazione dell’architettura, definita all’epoca “le più belle terme del mondo”, avviene il 21 maggio 1923.

Nel 2009 l’offerta delle Terme di Salsomaggiore si amplia con il recupero di un’intera ala dello Stabilimento Lorenzo Berzieri, che viene destinata a Centro Benessere Termale.
L’intervento, denominato “Mari d’Oriente”, servì ad allineare la struttura alle più importanti stazioni termali europee.


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