Eremos

Eremos Le evidenze del culto in grotta e della spiritualità legata alla roccia, nel territorio italiano.

https://www.youtube.com/watch?v=Ewrpl9P7-TgBELLISSIMO!
26/12/2022

https://www.youtube.com/watch?v=Ewrpl9P7-Tg
BELLISSIMO!

Benvenuti in una nuova ed entusiasmante esplorazione. Oggi insieme a Pierluigi, guida speciale già nel video di Caprarola, (ecco il link se ve lo siete perso...

22/11/2020
San Lorenzo a Vignanello è un insediamento ben strutturato che presenta diversi ambienti ipogei. Nonostante la lettura s...
22/11/2020

San Lorenzo a Vignanello è un insediamento ben strutturato che presenta diversi ambienti ipogei. Nonostante la lettura sia complessa, parrebbe piuttosto un vero e proprio abitato rupestre, dotato di ambienti di vita quotidiana, un piccolo cimitero, una chiesa in cui permangono tracce di intonaco sulle pareti e dove si intravede un affresco raffigurante, al centro della composizione la Madonna in trono in posizione frontale, che sorregge sulle ginocchia il Bambino benedicente.
Ai lati due figure di angeli, di cui è ben conservato quello di sinistra, identificato da una didascalia come Michele, l'archistratega di Dio, abitante caratteristico degli eremi rupestri. Più d'un ricercatore per dare senso a questo luogo, fa riferimento ad una comunità benedettina dipendente addirittura da quello straordinario luogo di potere che fu l'abbazia di Farfa. Lo testimonierebbe, tra l'altro, l'intestazione a San Lorenzo il Siro, leggendaria figura cenobitica orientale, mitico fondatore dell'abbazia e uccisore di draghi. L'espansione dalla Sabina fin qui, testimonierebbe l'utilizzo di queste forme ascetiche e dell'immaginario religioso che esse promuovono, come sistema di coesione sociale su un territorio complesso, difficile da far aderire ad un unico culto centrale.

L'immagine del Siro è incredibile. Incredibile la sua provenienza, da un luogo particolarissimo e da un tempo in cui si pose l'origine dei culti moderni. I Siri discendono dagli Aramei, una popolazione semitica araba. Abitarono parte di quella zona che oggi sarebbe la Siria. Il Patriarcato di Antiochia arrivò a diventare nel V secolo una vera potenza religiosa cristiana che produsse due scismi importanti nello sviluppo dell'immaginario religioso: i monofisiti dell'archimandrita Eutiche e i difisiti di Nestorio di Costantinopoli. I Siri ressero l'impatto ellenizzante dei Seleucidi (con capitale dalle parti di Bagdad) ben prima della nascita di Cristo, modificandone l'idea filosofica a loro consumo. A quei tempi le loro forme religiose erano imperniate sul monoteismo solare. Da quei lidi proviene ad esempio El Gabal - il Sole - ma anche Atargatis e Argatodaimon, entità decisamente neoplatoniche confluite in seguito nelle idee di Mitra, Aion e infine San Michele Arcangelo. Intermediatori metafisici alati (in seguito angeli) che legarono bene i primi substrati cristiani con gli ultimi sprazzi del pensiero ellenico.
Verso il V secolo migrarono da quelle parti gli ultimi filosofi pagani, i diadochi della scuola d'Atene e d'Alessandria che si rifugiarono, in esilio volontario, presso il re Cosroe di Persia. Erano Damascio e i suoi 7 discepoli (tanti quanti i pianeti, a rappresentazione forse del culto astrale a cui erano legati?). Il re che voleva liberarsi dal populismo settario di mazdakidi e altre forme che ponevano in dubbio il suo potere, accolse con benevolenza i pensatori dei quali sfruttò l'idea ellenica per avvalorare la visione regale di quella società e corroborarne la coesione. Fu la base dei pagani di Harran, che si chiamarono poi Sabi, adoratori del dio-Luna Sin, ben oltre i tempi della conquista musulmana.

Erano anni di commistione estrema, quelli! E nulla pareva quel che era. Ce lo scrive anche Procopio di Cesarea, storico bizantino, con un racconto sul prefetto Giovanni di Cappadocia il quale entrava tranquillamente in chiesa coperto da un mantello "come quello di un sacerdote degli elleni".
Intorno al primo secolo furono sotto l'impero dei Sasanidi di Persia anche i Nazareni, chiamati Cristiani di San Giovanni, oppure Mandei. Una comunità religiosa di origine gnostica tuttora esistente il cui nome arabo, al-Ṣābiʾa al-Mandāʾiyyūn, si potrebbe tradurre con Sabi-Mandei, intersezione ancor più evidente di rappresentazioni religiose concomitanti.
Impossibile descrivere in poche righe l'apporto dell'Islam alle diverse idee religiose locali. Basti pensare che dopo la conquista araba, quando un califfo moriva, molti islamizzati tornavano ad essere momentaneamente cristiani e alternavano il loro credo in base alla presenza politica del momento. Altri per paura o per credo rimanevano musulmani, sposando tuttavia solamente donne pagane e allevando i figli maschi come musulmani e le femmine come pagane. Ce lo racconta Ibn al Nadim, un importante erudito storico sciita, poco prima dell'anno 1000.

Da qui, circa cinque secoli prima di questi ultimi fatti, sarebbe partito il Siro, con il suo immaginario legato al culto in grotta, all'eremitismo, al cenobitismo. Non è un caso che il primo cenobita esistente sia considerato San Pacomio, monaco, guarda un pò!, egiziano; vissuto a cavallo fra il III e il IV secolo.

I luoghi di San Lorenzo il Siro, sono praticamente la culla di tutte le forme religiose occidentali di cui siamo a conoscenza. E il culto in grotta, così presente in Italia, mutuando forme già presenti qui da noi, discende proprio da lì.

Marco 😉

17/10/2020

La Grotta del Salvatore mi colpisce sempre! è uno di quei monumenti che proprio non ti aspetteresti di trovare in quel luogo e di quella forma. La tipologia è molto particolare ed è parte di un insediamento rupestre complesso, difficile da leggere a causa dei crolli avvenuti nel tempo.
Siamo a Vallerano (VT)
Facendoti spazio tra i rovi, potresti ritrovartici di fronte senza neanche capire come. Una parte scoscesa ripara appena un altare addossato ad un angolo della roccia. Ci si accede da tre gradini, ricavati dal tufo. L'altare è un blocco con un foro quadrangolare sul lato superiore, forse il ripostiglio delle reliquie. Sopra, un affresco raffigurante una Comunione degli Apostoli, riporta l'epigrafe dipinta:
ANDREAS || VMILIS ABBAS.
La parete a destra ospita due nicchie. La prima, all’altezza dei gradini dell’altare, ha una volta a tutto sesto e sul fondo è dipinta una croce latina in rosso su intonaco bianco, racchiusa da una cornice rossa. Forse serviva come appoggio per gli strumenti delle celebrazioni liturgiche. La seconda nicchia è molto più ampia.
Lungo questa parete è affrescato un lungo corteo di santità: tre donne martiri, Agnese, Sofia e Lucia; una Madonna con Bambino e tre benedettini: Benedetto, Mauro, e Placido. Tutta la larga parete di tufo che sovrastava il dipinto era affrescata. Immagina che meraviglia! Oggi di quelle pitture non rimane più nulla.

Si pensa che il nucleo rupestre possa identificarsi con il cenobio di S. Salvatore de Coriliano, appartenente al monastero romano di S. Silvestro in Capite, come risulta da una attestazione. di un documento del 1112. Le pitture potrebbero essere anche più antiche di un paio di secoli.

Ma la presenza dei santi fondatori dell'ordine monastico più rilevante nella storia di questi luoghi fa pensare anche ad altre ipotesi.

Un elemento fondamentale nello sviluppo dei culti rupestri cristiani è la nascita dell’immaginario eremitico: le leggende agiografiche dei primi eremiti cristiani del III secolo si diffondono da Oriente fino a qui, proponendo un nuovo modello di vita ascetica, contro la disgregazione morale e la mancanza di una regola ferrea. L'ideale fu concretizzato da San Martino di Tours nel V secolo e in seguito proprio da quel San Benedetto, nel VI secolo, rappresentato negli affreschi.
Le forme di ascetismo proposte erano in realtà estreme e quella fu una scelta di pochi, come sottolineato dalla stessa regola benedettina.
Per le piccole comunità monastiche invece, la storia e la diffusione seguirono altri corsi.

Un cenobio di qualche comunità benedettina dipendente dall'Abbazia di Farfa, la cui presenza è largamente attestata a Vallerano e in questa parte della Tuscia, è dunque plausibile. E proprio queste genti potrebbero aver recato con loro l'immaginario orientale dei monaci siriaci fondatori (San Lorenzo), conferendo gli stilemi legati alla roccia che ancora oggi possiamo notare.

Marco

Il Monumento dei Vibii è un reperto eccezionale immerso in un luogo non proprio facile da raggiungere. Un sasso dalla fa...
17/10/2020

Il Monumento dei Vibii è un reperto eccezionale immerso in un luogo non proprio facile da raggiungere.
Un sasso dalla facciata appiattita con una iscrizione latina memorabile.
Sul piano superiore è presente una fossa antropomorfa per sepoltura e tre incavi a pianta circolare. Di questi, soltanto quello centrale è servito come luogo della deposizione di un'urna, mentre quello di destra è poco profondo e di quello di sinistra è inciso soltanto l'abbozzo.

L'iscrizione ancora in buono stato, nonostante l'abbandono del sito, recita così:
Q. VIBIUS. Q. F. ARN. / RUFUS. / VIBIA. Q. L. ARBUSCULA. / Q. VIBIUS. Q. L. FAUSTUS.

La funzione di questo oggetto litico è quella di tomba per due persone e una sua possibile datazione ricavata dagli stilemi epigrafici e architettonici potrebbe andare dalla fine del I sec. a.C. all'inizio I sec. d.C.
Molto interessante è l'analisi della diffusione geografica del gentilizio presente nell'epigrafe. La gens Vibia è attestata a Volsinii, Ischia di Castro, Capena, Tarquinia, Amelia, Otricoli, Narni e Terni. L'etimo nasconde una provenienza certamente etrusca: Vibius; a testimonianza di reminiscenze e tradizioni inglobate nella società dell'epoca augustea.

II problema posto dal monumento è quello della compresenza sulla piattaforma superiore di due tombe del tutto dissimili, un loculo ad incinerazione ed una fossa antropoide per inumazione. Gli altri due loculi sarebbero un caratteristico esempio di 'non finito'. Forse siamo in presenza di una prima fase, rappresentata dalle due tombe giunte fino a noi (loculo e fossa antropoide) e di una seconda fase (tomba in terra ai piedi) successiva alla nascita del monumento rupestre. Alcuni indizi lo suggerirebbero.

la targa epigrafica evidenzierebbe le due fasi distinte dal punto di vista paleografico per le differenti dimensioni delle lettere: la prima potrebbe essere quella della tomba di Q.Vibius Q.L. Faustus e forse di Vibia Q.L. Arbuscula. Il successivo reimpiego sembrerebbe rappresentato dalla sepoltura di Q. Vibius Q.F. Arn(ensis tribu) Rufus
C'è chi pensa che si possa trattare di due liberti (Faustus e Arbuscula) genitori dell'unico defunto ingenuo di nascita (Rufus). Lo attesterebbe la 'L' puntata tra il gentilizio e il 'nomen' che indica, nei reperti epigrafici, proprio lo status di liberto. Altri invece sostengono che si tratterebbe di un ingenuo sepolto con la sua compagna (schiava riscattata) e di un liberto suo cliente.

Siamo nella località chiamata Selva del Sasso, a Vitorchiano e questo è uno dei reperti che prediligo. In esso stilemi e mode della società vengono a mischiarsi tra il passato e il futuro di quel luogo, testimoniando quel sincretismo di forme che ha colorato indefinitamente la nostra cultura.😊

Marco

06/09/2020
06/09/2020
06/09/2020

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