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Eda Kulja Tour Eda Kulja Tour nasce dall'idea di valorizzare e far conoscere il patrimonio culturale del territorio
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Buon "Dies Natalis Solis Invicti"Letteralmente natale significa "nascita". La festività del Dies Natalis Solis Invicti (...
24/12/2019

Buon "Dies Natalis Solis Invicti"

Letteralmente natale significa "nascita". La festività del Dies Natalis Solis Invicti ("Giorno di nascita del Sole Invitto") veniva celebrata nel momento dell'anno in cui la durata del giorno iniziava ad aumentare dopo il solstizio d'inverno: la "rinascita" del sole. Il termine solstizio viene dal latino solstitium, che significa letteralmente "sole fermo" (da sol, "sole", e sistere, "stare fermo").

Infatti nell'emisfero nord della Terra tra il 22 e il 24 dicembre il sole sembra fermarsi in cielo (fenomeno tanto più evidente quanto più ci si avvicina all’equatore). In termini astronomici, in quel periodo il sole inverte il proprio moto nel senso della "declinazione", cioè raggiunge il punto di massima distanza dal piano equatoriale. Il buio della notte raggiunge la massima estensione e la luce del giorno la minima. Si verificano cioè la notte più lunga e il dì più corto dell’anno. Subito dopo il solstizio, la luce del giorno torna gradatamente ad aumentare e il buio della notte a ridursi fino al solstizio d’estate, in giugno, quando avremo il giorno più lungo dell’anno e la notte più corta. Il giorno del solstizio cade generalmente il 21, ma per l’inversione apparente del moto solare diventa visibile il terzo/quarto giorno successivo. Il sole, quindi, nel solstizio d’inverno giunge nella sua fase più debole quanto a luce e calore, pare precipitare nell’oscurità, ma poi ritorna vitale e "invincibile" sulle stesse tenebre. E proprio il 25 dicembre sembra rinascere, ha cioè un nuovo "Natale". Questa interpretazione "astronomica" può spiegare perché il 25 dicembre sia una data celebrativa presente in culture e paesi così distanti tra loro. Tutto parte da una osservazione attenta del comportamento dei pianeti e del sole, e gli antichi, per quanto possa apparire sorprendente, conoscevano bene gli strumenti che permettevano loro di osservare e descrivere movimenti e comportamenti degli astri.

MATTEO TAFURI Nasce a Soleto nel 1492 ( muore sempre a Soleto nel 1585 circa ), discendente da un’antica famiglia “grika...
13/12/2019

MATTEO TAFURI


Nasce a Soleto nel 1492 ( muore sempre a Soleto nel 1585 circa ), discendente da un’antica famiglia “grika” del Salento.
Trascorre i primi anni della sua vita tra Soleto e Zollino, dove, ha l’ opportunità di studiare alla scuola di Sergio Stiso, dove apprende le lettere latine e quelle greche. Come molti intellettuali della sua epoca, affina gli studi a Napoli, ove apprende matematica e medicina, magia naturale, astrologia e fisiognomonia, sia celeste che umana.
Questa sua esperienza di studi sarà cruciale per lo sviluppo del suo pensiero e della sua filosofia e , lo legherà agli ambiente culturali dell’epoca in tutta Italia.
Nell’ambiente partenopeo, egli da prova del suo grande acume e ingegno, riscuotendo sin da giovane fama e successo, tanto da indurlo, anche sotto consiglio dei suoi maestri napoletani, a viaggi dediti al sapere che da allora in poi caratterizzeranno la sua lunga vita, e lo porteranno in Inghilterra, Spagna, Francia e altri luoghi in Europa.
Dopo questi suoi pellegrinaggi, si ferma a Padova, dove approfondisce le filosofie dell’aristotelismo e dell’averroismo.
Intorno al 1525 si trasferisce a Venezia, in un ambiente vivo e stimolante, dove incontra altri esponenti della cultura Salentina, come Marcantonio Zimara e Girolamo Balduino.
Questo periodo è per il Tafuri molto proficuo, entra nel cenacolo dei dotti della Serenissima e riveste anche alcune cariche pubbliche, e cosa più importante, grazie alle sue conoscenze, riesce a recarsi in Inghilterra al seguito dell’ambasciatore Lorenzo Orio.
Sempre a Venezia, prima del suo viaggio in Inghilterra, nasce la contesa con l’astrologo Luca Gaurico ( cui Tafuri ai tempi di Napoli dedica una breve sezione del suo Tractato Astrologicus ) culminante con la “sfida “ di profezie, che vede il Gaurico prevedere la sconfitta Francese nella guerra contro gli Spagnoli, al contrario del Tafuri.
A causa della sua errata previsione, il Tafuri si vide costretto a lasciare Venezia e tutti i suoi titoli li conseguiti.
In Inghilterra le cose non andavano meglio, a causa di un’altra sua previsione errata sulla morte di Carlo V che non si verificò, l’episodio infastidì la regina d’Inghilterra Caterina d’Aragona che decise di cacciare l’astrologo, il Tafuri si vide costretto a dirigersi verso l’Irlanda, dove venne processato dalla Santa Inquisizione per aver praticato la Magia, fù subito scarcerato grazie all’intervento dello stesso pontefice.
Da quel momento in poi la sua vita sarà gravata spesso da problemi economici, anche se egli non rinuncerà agli studi e ad alcuni viaggi, come quello a Parigi, dove alla Sorbona, prenderà il dottorato in filosofia e medicina, di cui si pregerà per tutta la vita, come Doctor Parisiensis.
Dopo il 1550 ormai stanco e sempre più povero, rientra in Puglia, dove a causa di un sospetto di eresia dovrà nuovamente partire per Roma e subire nel 1569-70 un processo per eresia, che gli costerà un breve soggiorno nelle carceri dell’Inquisizione.
Al suo rientro a Soleto oramai anziano e rassegnato ( nonostante tutti lo reputino un grande filosofo e astrologo ) si ritira dalla vita mondana e dalle dispute astrologiche e filosofiche, vestendosi come un filosofo greco e orgoglioso di se stesso, tanto da far incidere sulla finestre della casa ( ancora oggi visibile ) la scritta “ Humile so et umiltà me basta, drago diventarò se alcun me tasta”.
Alcuni lo videro con sospetto, altri come un innovatore che interpretò la teologia cristiana, dal punto di vista di un laico, ammettendo la validità delle scienze naturali e disprezzando le dispute teologiche fini a se stesse, e che non erano più in grado di spiegare i misteri dell’anima umana e appagarne i desideri.

Giuseppe Candido (Lecce 1837 – Ischia 1906)Nasce a Lecce il 28 ottobre del 1837, eccellenza del territorio, già da ragaz...
20/11/2019

Giuseppe Candido (Lecce 1837 – Ischia 1906)
Nasce a Lecce il 28 ottobre del 1837, eccellenza del territorio, già da ragazzo dimostra spiccate doti per la matematica e la fisica nel Reale Collegio dei Gesuiti, una delle più prestigiose scuole del Regno. Finito gli studi nel 1857 è decorato del Giglio d’Oro, massima onorificenza per i migliori alunni. In questi anni in collegio si appassiona allo studio dell’elettricità e, nel 1859 insieme a P. Nicola Minozzi, suo insegnante, partecipa al primo esperimento di illuminazione pubblica alla presenza del Re Ferdinando II, in visita a Lecce.
Laureatosi a Napoli in matematica e fisica, torna a Lecce dove apre una scuola privata nella sua abitazione in via Regina Isabella (dove oggi si trova una stele commemorativa in suo onore). Oltre che centro di studi, la scuola diviene il suo laboratorio, dove inizia ad inventare svariati dispositivi elettrici, veri e propri precursori di apparecchi ancora in uso oggi, come gli interruttori e i temporizzatori a mercurio.
La sua principale opera è costituita dalla rete di orologi pubblici elettrici SINCRONI, ideata e realizzata tra il 1868 e il 1874 a Lecce e prima del genere in Italia, nonché una delle prime in Europa, che rimasero in funzione fino al 1937.
Tra le sue altre ideazioni troviamo la pila a diaframma regolatore, che brevettata nel 1867 ottenendo una menzione onorevole all’Esposizione Internazionale di Parigi. Ideò anche un pendolo elettromagnetico sessagesimale, che avrebbe dovuto sostituire il pendolo meccanico della rete di orologi elettrici.
Nel 1881 Leone XIII lo nomina vescovo di Lampasco e coadiutore del Vescovo di Nicastro in Calabria e nel 1888 fu inviato a reggere la diocesi di Ischia. Lì brevettò un gassogeno automatico a prova di esplosione, per l’impianto di illuminazione dell’Episcopio e del Seminario. Costretto a rinunciare alla carica di Vescovo per una grave malattia, morì il 4 luglio 1906 a Ischia, dove è sepolto.
Fonte: scienzasalento.unile.it

IL MIELE E LA SUA BEVANDA SACRAL’uomo conosce il miele sin dall’antichità il suo uso è attestato nell’età della Pietra.P...
11/11/2019

IL MIELE E LA SUA BEVANDA SACRA

L’uomo conosce il miele sin dall’antichità il suo uso è attestato nell’età della Pietra.
Partendo dai “ladri di miele “ che si arrampicavano su alti alberi dove le api costruivano gli alveari, si evolvono i metodi, ottenendo il miele dai fiori stessi o addomesticando le api, quindi selezionando quelle meno aggressive.
Un ulteriore evoluzione si ebbe con la creazione della bevanda inebriante a base di miele, definita più tardi hydròmeli, dato che nella preparazione come vedremo si aggiungeva l’acqua.
Questa bevanda, riservata agli dei, considerato che il miele era il cibo degli dei, ( Zeus evira suo padre Crono approfittando del fatto che fosse ubriaco di miele di api ) e ai loro riti, si scopri avere effetti euforici, non di ubriachezza.
I termini greci arcaici per indicare l’euforia da miele « essere ubriaco o ubriacare » sono methyein e methyskein.
Nel culto greco la bevanda di miele mantenne a lungo il primato sul vino, oìnos , in quanto la coltura della vite è antecedente al miele, infatti nelle istruzioni dei sacrifici funebri dell’ Odissea « prima di miele e latte ( melìkraros), poi di vino soave! »
Per la preparazione era importante il ruolo dei numeri, 3x3 nella mistura per rendere la bevanda più sana, base della proporzione tra miele e acqua.
Da un accenno di Plinio il Vecchio, apprendiamo che oltre al numero sacro di 3, si rispettavano anche dei periodi di tempo stabiliti per la preparazione della bevanda.
« L’acqua celeste » , così Plinio definiva l’acqua piovana per la mistura, deve essere conservata per 5 anni e poi unita al miele.
Questo lungo corso ciclico corrisponde a una grande festa greca, le Penteteride , durante i quali si svolgevano anche i Giochi Olimpici.
Spiega Plinio « fanno bollire l’acqua sino a ridurla ai 2/3, poi aggiungono 1/3 di miele vecchio e lasciano riposare la mistura al sole per 40 giorni , nel periodo del sorgere mattutino di Sirio ( canis ortu in sole habent ) » .
Il tutto chiaramente stava all’interno di un recipiente chiamato askòs un otre in pelle di animale, impermeabile ma che lasciava passare l’aria tramite un collo che si poteva legare.
Quindi così strutturata lasciava spazio al movimento del liquido e alla sua fermentazione, Plinio ci racconta che al decimo giorno , dopo che il liquido aveva iniziato a traboccare ( diffusa ), provvedevano ad una salda otturazione ( obturant ).
Risulta chiaro la scelta di un periodo di particolare luminosità , coincidente con il momento massimo di calore , la fermentazione doveva raggiungere il suo apice in un momento ben determinato , questo viene esplicitamente identificato con l’inizio dell’anno di Sirio.

Bibliografia; Dioniso, K.Kerènyi, p. 47-52, Ed. Gli Adelphi, 2015-18
Fonte Foto; https://www.taccuinigastrosofici.it/
https://www.youwinemagazine.it/

Origini di Halloween Il nome Halloween (in irlandese Hallow E’en), deriva dalla forma contratta di All Hallows’ Eve, dov...
31/10/2019

Origini di Halloween

Il nome Halloween (in irlandese Hallow E’en), deriva dalla forma contratta di All Hallows’ Eve, dove Hallow è la parola arcaica inglese che significa Santo: la vigilia di tutti i Santi, quindi. Ognissanti, invece, in inglese è All Hallows’ Day.
La festa, (non quella commerciale americana ) ha origini e testimonianze antiche in Irlanda. Halloween infatti corrisponde a Samhain, il capodanno celtico, tradizione che poi fù portata negli Stati Uniti dai migranti irlandesi nell’800.
I Celti erano un popolo dedito alla pastorizia, quindi i loro tempi erano scanditi dall’allevamento del bestiame, a differenza di alcune culture europee che scandivano il loro tempo in base al lavoro dei campi.
Il nuovo anno iniziava il 1 novembre, quando i pastori riportavano a valle le loro greggi per prepararsi all’arrivo dell’inverno, quando terminava la stagione calda, e iniziava il lungo periodo delle tenebre e del freddo.
Questo passaggio veniva festeggiato con una serie di celebrazioni, tra cui lo Samhain, (pronunciato sow-in, dove sow fa rima con cow), che deriverebbe dal gaelico samhuinn e significa “summer’s end”, fine dell’estate.
La morte era il soggetto principale delle celebrazioni, in sintonia con i mutamenti che avvenivano in natura a causa dell’inverno, da qui l’accostamento con il culto dei morti.
Secondo la tradizione celtica, il 31 ottobre, Samhain richiamava a se tutti gli spiriti dei morti, che vivevano in una terra chiamata Tir nan Oge, in uno stato di eterna giovinezza.
E proprio in questo giorno, gli spiriti richiamati, potevano interagire con il mondo dei viventi, fondendo lo spazio dei due mondi, quello dei vivi e quello dei morti.
Samhain era, dunque, una celebrazione che univa la paura della morte e degli spiriti all’allegria dei festeggiamenti per la fine del vecchio anno.
Con l’arrivo del cristianesimo e con la conseguente evangelizzazione dell’isola, questo culto venne “accorpato” al cristiano rito di Ognissanti il 1 novembre ( in origine la festa era il 13 maggio ) e il 2 dei defunti.

Fonte foto: globalist.it ,dailybest.it

CRIPTA DELLE MUMMIESotto la  Cattedrale di Oria è situata la cosiddetta cripta delle Mummie, probabilmente uno dei pochi...
28/10/2019

CRIPTA DELLE MUMMIE

Sotto la Cattedrale di Oria è situata la cosiddetta cripta delle Mummie, probabilmente uno dei pochissimi casi di laici mummificati.
Secondo la tradizione locale la cripta venne realizzata nel 1484 come luogo di preghiera e di memoria dei martiri causati dalle incursioni turche in Terra d’Otranto (1480-1481).
Nel 1598 Mons. Del Tufo, pose la Compagnia sotto la protezione e titolo di Maria SS. del Carmine, appellandola Confraternita della Morte, sotto il titolo del Carmine.
Sui lati della piccola cripta, furono ricavate 22 nicchie, dove trovavano posti i resti mummificati dei confratelli che ne avessero fatto richiesta, a partire dai reduci della crociata contro i turchi, al fine di dare loro una sorta di memoria e culto eterno.
Il 12 giugno del 1804 la Francia di Napoleone Bonaparte adotta l’Editto di Saint Cloud (recepito nel 1806 nelle repubbliche napoleoniche italiane), con il quale, fra l’altro, si vietano le mummificazioni, che ad Oria però continuarono sicuramente clandestinamente, se si considera che delle 11 mummie presenti solo una è risalente all’anno 1871 e quindi ad epoca antecedente all’editto stesso. Le altre 10 mummie recano data successiva al 1804 e l’ultimo confratello che ha subìto il processo di mummificazione è Michele Italiano, deceduto nel 1858.
Il corpo da mummificare veniva completamente eviscerato e si aspirava la materia cerebrale dalla narici, al posto degli organi interni veniva messa una miscela di sali disidratanti insieme a calce vergine polverosa, per poi ricucire il tutto e calarlo in una vasca in cui c’erano le stesse sostanze messe all’interno del corpo. Perchè avvenisse la completa disidratazione e disinfezione il ca****re rimaneva dentro la vasca per un periodo di tempo (due anni, due anni e mezzo) che variava in base alla corporatura del defunto.
Dopodiché, alla presenza obbligatoria di almeno due familiari, il ca****re ormai disidratato, mummificato, veniva ripescato, ripulito, trattato con degli unguenti, ricoperto con la tunica personale e posto in una delle nicchie.

Fonte testo e foto: Fondazione Terra d'Otranto

IPOGEO PALMIERIL'ipogeo "Palmieri" è un' eccezionale esempio di architettura funeraria di età messapica della città di L...
23/10/2019

IPOGEO PALMIERI

L'ipogeo "Palmieri" è un' eccezionale esempio di architettura funeraria di età messapica della città di Lecce. Si trova in Via Palmieri, all'interno del cortile di uno dei numerosi Palazzi nobiliari che costellano il centro storico, palazzo Guarini.
L'intera struttura è ricavata direttamente nel banco di roccia calcarea, scavato a circa 3 metri di profondità dal piano di calpestio, il cui accesso era scandito da un un lungo corridoio dotato di scala (dromos), che veniva adeguatamente chiuso da lastre di pietra solo dopo la deposizione funeraria.
Ai lati del vano di ingresso, in origine intonacato e dipinto di rosso, si possono ammirare due fregi di eccezionale fattura: uno rappresenta scene di battaglia tra greci e barbari, l’altro un elegante fregio con motivi vegetali.
La cerimonia funeraria prevedeva che il corpo del defunto, adeguatamente ornato di gioielli e avvolto nel sudario, fosse trasportato lungo il dromos fino ad essere depositando nello spazio a lui riservato ed accanto agli altri familiari.
Erano ambienti di medie dimensioni, alle quali si accedeva da una porta con architrave, sorretta da pilastri sormontati da capitelli ionici, ornati da elementi vegetali e animali. Le pareti dovevano essere decorate da stucchi di vari colori, tendenzialmente a imitazione delle più costose lastre di marmo.
Il vano funerario in cui si svolgevano le funzioni, era quello davanti alla scala, e li sotto era depositato il corpo di un antenato guerriero circondato da oggetti legati al rango di appartenenza.
La cerimonia culminava con il pianto e il lamento tormentato, unito alle offerte a suffragio del defunto.
La straordinaria scoperta è da collocare durante il Settecento, ad opera della stessa famiglia che, proprio in quel luogo, aveva deciso di intraprendere la costruzione dell'abitazione.
Durante gli scavi per la fondazione della casa, alcuni operai scoprirono i blocchi di ingresso dell’antico sepolcro, già precedentemente depredato. Una volta ripuliti gli ambienti e considerata la natura stessa del clima dell’ipogeo, decisero di destinarne l'uso a cantina, abbassando il piano dei vani sotterranei di più di un metro e lasciando comunque inalterata la struttura principale, senza allargare la cubatura della struttura che ne avrebbe irrimediabilmente modificato l’originale testimonianza di questo luogo.

Fonte Testo: F.D’Andria, Messapia Illustrata, Congedo editore.
Fonte Foto: Italab Ibam Cnr Lecce, storienogastronomiche.it

CHIESA DI SANT’ ANTONIO DA PADOVA DETTA DELLA PIAZZA                                                                    ...
11/10/2019

CHIESA DI SANT’ ANTONIO DA PADOVA DETTA DELLA PIAZZA


La chiesa si trova in via dell’Acaya, noto architetto, il cui nome è legato alla risistemazione delle fortificazioni della città di Lecce e del suo castello, oltre che allo splendido borgo fortificato di Acaya.
Nel 1548 Giangiacomo promosse la costruzione della chiesa affidandola ai Padri Osservanti.
I lavoro, iniziati dopo la donazione, durarono sino al 1589, e videro impegnata la migliore manovalanza locale dell’epoca, alla cui guida c’era Gabriele Riccardi, architetto e scultore, simbolo dell’arte barocca a Lecce ( a lui si deve il disegno della pianta e della facciata della Basilica di Santa Croce ) e nel Salento.
La chiesa si presentava a pianta unica, con il tetto ligneo, aveva il portale principale rivolto verso occidente e l’altare maggiore ubicato a oriente.
Il portale d’ ingresso era costituito da due coppie di colonne scanalate, sormontate da scenografici capitelli che sosteneva un elegante trabeazione di gusto rinascimentale , sula quale si legge in latino “ deipare divoq (ue) Antonio/Ferdinan(dus) Caracciulus Aerolae Dux / ostium ornavit MDL###V ” tradotta – in onore di Sant’Antonio Ferdinando Caracciolo Duca di Airola realizzò il Portale nel 1585.
Durante il XVIII secolo i frati decisero di ingrandire la ca****la originaria affidando i lavori al religioso C.Regina . Fù in questa occasione che murarono l’ingresso principale in via dell’Acaya ( riportato alla luce in un recente restauro ) , spostando l’accesso in via Maremonte.
All’interno della chiesa originaria trovava posto anche un altare proveniente dalla ca****la privata del Palazzo della famiglia di Giangiacomo dell’Acaya, ai cui componenti era riservato il diritto di patronato sul tempio.
Nel 1824 la chiesa fù affidata alla confraternita di San Giuseppe (ciò indusse la cittadinanza a indicare la chiesa come quella di San Giuseppe, dimenticando nel tempo, l’originaria consacrazione a Sant’Antonio da Padova ).
Da notare per i visitatori, una stupenda opera, quella del coro ligneo del ‘500, alle spalle dell’altare maggiore, situato al centro del presbitero.
Il coro si articola in due ordini di stalli. Nella parte superiore sono scolpite le statue dei santi, nella parte inferiore sono scolpite figure allegoriche, come il grifone, l’aquila e la sfinge.
Queste figure servivano per far conoscere la vita dei santi e dei martiri a tutti i fedeli, anche quelli non colti i quali, non riuscendo a leggere , apprendevano per immagini i contenuti e la storia dei protagonisti della Chiesa.

Fonti: La chiesa di Sant’Antonio da Padova detta della Piazzetta o chiesa di San Giuseppe, Valerio Terragno

TEATRO ROMANOQuesta stupenda struttura di età Augustea, fù riportata alla luce nel 1929, a una profondità di circa 5 met...
04/10/2019

TEATRO ROMANO

Questa stupenda struttura di età Augustea, fù riportata alla luce nel 1929, a una profondità di circa 5 metri, durante gli scavi per la fondazione di una casa.
Questi scavi fecero emergere parte della cavea, con i sedili che poggiavano sul banco roccioso e alcune sculture di marmo.
Gli scavi ripresero nel 1938 e misero in evidenza l’orchestra, il palcoscenico e la parte inferiore della cavea.
L’ingresso orientale dell’orchestra, chiamato aditus, fu scavato per tutta la sua lunghezza di ben 22.50 m. e coperto con una volte a botte per sostenere il soprastante vico della Cartapesta, che allora si chiamava vico dei Marescialli.
Sino agli ’40 il teatro fu oggetto di restauro, i sedili della cavea, le scalette radiali, furono in parte reintegrati con blocchi di calcarenite e l’area venne finalmente recintata.
Nel corso dello scavo vennero ritrovate numerose lastrine di marmo, provenienti dall’Algeria ( Cap de Garde ) che facevano parte del rivestimento dell’edificio scenico.
Per evitarne la dispersione vennero riutilizzate per rivestire il basso muro del balteo intorno all’orchestra e il muro di fondo del palpitum.
Negli anni ’50 inizia il lento declino del monumento, che a volte viene definito, in modo errato, odeion, in alcuni casi teatro greco!
Come estremo oltraggio, una conduttura fognaria viene fatta passare dentro l’aditus .
In generale la struttura vessa in un profondo stato di abbandono e incuria, spesso correlato con un profondo degrado e sporcizia.
Si dovranno aspettare la fine degli anni ’90 per ridare dignità a questo monumento e alle zone limitrofe, di interesse storico, come piazzetta Orsini e il Convento di Santa Chiara.
Andiamo a descrive ora la cavea e la facciata scenica.
La cavea, aperta verso nord, era divisa in 6 cunei da 5 scalette radiali, attualmente si conservano 12 file di gradini.
Appare molto chiaro che la cavea si concludesse nella parte superiore con una galleria , ornata da un colonnato di marmo. La recinzione inferiore era segnata dal balteo, un basso muretto che segnava l’ ima cavea, in cui erano collocati i seggi in legno delle autorità.

Nel corso degli scavi tra il 1929/38 furono portate alla luce 11 sculture di marmo, riferibili alla decorazione della facciata dell’edificio scenico, sculture oggi esposte presso il Museo Provinciale “ S.Castromediano ” di Lecce.
Si distinguono tre nuclei di opere; i rilievi, le statue “ideali” e le statue ritratto della famiglia imperiale.
I due rilievi, medaglioni simili a grandi scudi, racchiudono al centro un personaggio, nei due medaglioni sono rappresentati la dea Atena e Asclepio.
Le statue “ideali” comprende repliche e rielaborazioni di capolavori della plastica greca, divinità atleti ed eroi del vasto repertorio dell’arte greca. LE statue rinvenute sono tutte acefale e prive di parte delle braccia e delle gambe.
Fra le statue sono rappresentate 4 divinità, Atena, Artemide, Eracle, Ares.
Sul fronte scena oltre agli dei spesso erano rappresentati statue di personaggi appartenenti al mondo del mito, il riferimento è alla statua dell’Amazzone del Doriforo, e una testa marmorea di Alessandro Magno.
Tra le statue ritrovate, da segnalare anche un loricato di cui si conservano parte delle gambe e del torso coperto dalla corazza con decorazioni a rilievo, sotto la corazza una tunica.
Secondo le ultime ricerche stilistiche, questo loricato, raffigurerebbe Augusto.

Bibliografia :
Lecce Romana e il suo Teatro, Fondazione Memmo, F.D’Andria
Lecce Sotterranea, De Giorgi

Fonte Foto:
salentoacolory.it

È partito oggi il primo di una serie di appuntamenti che toccheranno temi culturali, storici, archeologici uniti al simb...
29/09/2019

È partito oggi il primo di una serie di appuntamenti che toccheranno temi culturali, storici, archeologici uniti al simbolismo e i suoi miti. Grazie a tutti coloro che hanno deciso di condividere con noi questa passeggiata.

L’immobile denominato Ospedale dello Spirito Santo ( Porta Rudiae ) costituisce uno dei pochi, se non l’unico, esempio d...
25/09/2019

L’immobile denominato Ospedale dello Spirito Santo ( Porta Rudiae ) costituisce uno dei pochi, se non l’unico, esempio di architettura civile con destinazione ospedaliera del periodo rinascimentale a Lecce.
Fondato da Giovanni D’Aymo nell’anno 1392 sul modello dell’ospedale viterbese di S.Maria in Gradi quando era vescovo di Lecce Antonio da Viterbo. La nuova opera pia sostituì una precedente dedicata a S.Giovanni Battista e fu affidata ai Padri Predicatori. Nel 1548, dopo varie e contrastanti vicissitudini che avevano coinvolto nella gestione l’Università cittadina, il vecchio edificio medievale divenuto fatiscente ed inidoneo ai bisogni della comunità, fu quasi del tutto abbattuto e ricostruito sui disegni di G.Giacomo Dell’Acaya. L’architetto, che in quegli anni si trovava in città, era impegnato oltre che come amministratore (Rettore) dello stesso ospedale anche come sovrintendente ai lavori di ampliamento della cinta urbana e del castello. Nel corso dei secoli l’Ospedale si arricchì di lasciti e donazioni da parte di molti malati e di elargizioni liberali fatte da nobili famiglie leccesi tanto da divenire il più ricco e accorsato nosocomio cittadino. Una importante serie di interventi riferibili fra il 1845 e il 1880 sono quelli progettati dall’ing. O. Torsello, improntati a ragioni di natura prettamente funzionale, ragioni di igiene, di illuminazione. A questo periodo è ascrivibile l’inserimento e la sistemazione dell’orologio sulla facciata che iniziò a far sentire i suoi rintocchi il 7 settembre 1872; orologio che fa parte della rete di 4 orologi da torre ideati dall’abate Giuseppe Candido tra il 1868 e il 1874 attivati elettricamente da un unico pendolo meccanico.
Nel primo ventennio del XX sec con la nascita del nuovo Ospedale cittadino “Vito Fazzi” l’antico nosocomio cambiò destinazione e divenne sede per la visita di leva, prima, e successivamente una parte fu assegnata al Monopolio di Stato quale sede della Manifattura Tabacchi, che vi ha operato fino a circa trenta anni fa. Dal 2011 l’immobile è sede istituzionale della Sbeap Lecce.

Fonti testo:sabap-le.beniculturali.it
Fonti foto: salentoacolori.it

25/09/2019

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Palazzo Perrone, via dei Perrone n.14Leggenda della ciambella di pane (“cuddhrura” ciambella di pane dolce che le massai...
21/09/2019

Palazzo Perrone, via dei Perrone n.14
Leggenda della ciambella di pane (“cuddhrura” ciambella di pane dolce che le massaie salentine preparavano durante il periodo pasquale)

Si narra che durante la settimana santa del 1219, San Francesco d’Assisi, nel suo pellegrinare si trovasse a Lecce, e qui, affamato entrò nella città da Porta San Biagio.
Spossato e affamato dal lungo viaggio , si introduce in città per elemosinare un tozzo di pane, bussando alle porte delle case.
La prima casa che trova aperta nel suo cammino ( entrando da porta San Biagio ) è Palazzo Perrone.
Qui bussa alla porta, e con gran stupore appare una figura quasi eterea, che porge al santo una ciambella di pane appena fatta.
Pochi istanti dopo appare un servitore, e quella figura eterea scompare, i due si guardano increduli, resisi conto del fatto che sono stati testimoni di un miracolo.
Da quel giorno, per ricordare l’accaduto venne scolpito e posizionato sulla chiave di volta un angelo discendente dal cielo con una ciambella di pane.

Esistono diverse versioni di questa miracolosa storia, qui ne abbiamo riportata una delle più affascinanti.

L’orologio delle Meraviglie, questo è il suo nome, non a caso! Commissionato dalla Banca Commerciale intorno al 1952 all...
20/09/2019

L’orologio delle Meraviglie, questo è il suo nome, non a caso!
Commissionato dalla Banca Commerciale intorno al 1952 allo scultore salentino Francesco Barbieri ( San Cesario di Lecce, 1908-Roma, 1973 ), è stato considerato ai suoi tempi, il più grande orologio del mondo, con i suoi 20 quintali di peso complessivi, 10 metri di altezza, 3 metri di larghezza, 3 anni e 6 mesi di lavoro, di cui 9 mesi furono impiegati solo per unire i vari pezzi, circa 52 fusioni.
Un lavoro certosino e complesso, in stile barocco, che ben si amalgama allo stile delle chiese e dei palazzi del centro di Lecce.
La sua iconografia è assai complessa e ricca di influenze, unisce il sacro al profano, le fini e piccole decorazioni ai grandi dettagli che quasi passano inosservati, un pullulare di immagini e figure da scovare, quasi un rimando al complesso figuratismo della facciata di Santa Croce , dove, anche lì, l’ osservatore è portato ad aguzzare la vista per “ trovare” tutti i più piccoli particolari.
Possiamo “dividere” l ‘orologio in tre parti inferiore, centrale e superiore.
Nella parte inferiore subito salta alla vista il quadrante dell’orologio dalla forma di un occhio ( un dettaglio grande che come detto, spesso passa inosservato) la cui iride, smaltata in azzurro, ospita i numeri romani che segnano le ore intervallate da figure prese in prestito dai tarocchi: l’amore, la giustizia, la fortezza, il diavolo, l’asso di denari, l’asso di bastoni, il sette di denari, i principi, la spada con la corona, i gemelli col Sole, l’acqua, il vaso di fiori.
Alzando di poco lo sguardo sul “grande occhio”, la pupilla, colorata con uno sgargiante smalto rosso, viene trafitta dalle lancette: all’estremità di quella che segna le ore si trovano la Stella Polare e il Serafino, il gallo canterino e la prima fase della luna invece, decora quella che segna i minuti; l’orbita infine, é una conchiglia che offre dimora a Eolo, ad una bussola e alle stelle accompagnati dalle fasi lunari.
Nella parte centrale è presente la Costellazione dell’Orsa Maggiore e la Stella Polare, elementi centrali della composizione, ai cui lati, a mo’ di casetta, 12 caselle smaltate con un azzurro sfumato, racchiudono i mesi dell’anno, chiaro riferimento astrologico alla parte superiore che andiamo a descrivere.
Questa si sviluppa con elementi decorativi che rendono omaggio allo stemma della Terra d’Otranto, con l’aggiunta del sole e rami di olivo e melograno, piante simbolo del Salento e di ricchezza e fecondità
Il richiamo astrologico della parte centrale, come detto,si ricollega ai 12 segni zodiacali posti in una cornice semicircolare, segni che sono tutti di natura femminile e intenti al lavoro della terra. Verso l’esterno, a sinistra l’Arcangelo Gabriele con le braccia alzate e a destra la Vergine che riceve l’Annuncio.
La parte superiore si conclude con un’esplosione di colore e dinamicità, il Sole esplode con il suo smalto color giallo e i raggi in bronzo, riportando l’attenzione verso il centro, dove nella cornice dello zodiaco il Carro del Sole, con la sua quadriga di cavalli, trasporta Febo.

fonte foto: pagina fb restauro orologio delle meraviglie

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