27/05/2022
IL TEMPO DEI METICALITTI
Ad Aidone il direttore della pro loco mi raccontò delle migrazioni degli abitanti della provincia di
Ragusa verso l’entroterra per la spigolatura. I meticalitti erano considerati persone povere ed umili,
venivano compatiti, ma apprezzati per essere dei gran lavoratori. Con rammarico aggiunse che i
suoi compaesani avrebbero dovuto seguire l’intraprendenza dei siciliani della costa, che erano
riusciti a riscattarsi dalla povertà.
Poi ho letto questo racconto di Santiapichi e ho capito quanti sacrifici avessero fatto gli sciclitani.
Il bisogno spingeva, una volta l’anno, i paesani verso i calanchi d’argilla del centro dell’isola. Nei
loro racconti, le terre tra Agrigento, Enna e Caltanissetta parevano oceani fatti di ondate infinite di
grano. Il tempo del passo era giugno inoltrato, quando tutto era stato mietuto e trebbiato nelle
campagne del paese e, invece, nel centro dell’isola, la mietitura era prossima. Nelle due cave, nella
conca dello Xifazzo, nelle vanelle a scalini del Rosario e nel fitto dell’antico Uliveto, era un
concordare sull’ora della partenza e sui luoghi delle tappe del lungo viaggio. Partivano al tramonto
e impiegavano giorni per arrivare. A guardarle dal basso, le filiere di carri, sui tornanti di san
Nicola, parevano colonne sterminate di formiche affannate nel salvare le uova e le provviste di cibo.
I meticalitti, se non erano ritenuti in tutto e per tutto zingari, erano a questi appaiati nell’uso di non
dar loro un compenso salvo la possibilità di arrangiarsi spigolando. A spigolare erano ovviamente le
donne, gli uomini davano una mano di aiuto nel trasporto dei covoni e nel far girare nel cerchio
dell’aia gli animali per sminuzzare le spighe. Alla fine, i meticalitti, accumulato il grano necessario
per saldare l’annata e al rientro la prima informata di pane fatto con la farina delle montagne era
un’offerta al Signore.
Tratto da: Romanzo di un paese di Severino Santiapichi Edizioni del giano 2009