Parco Letterario "Leggende popolari del Pollino"

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Parco Letterario "Leggende popolari del Pollino" I paesi, i paesaggi, gli angoli caratteristici, le ambientazioni, gli scenari delle storie de "Le leggende popolari del Pollino"

La pagina raccoglie storie leggendarie e superstiziose credenze della cultura orale e dell’ immaginario popolare che, attraverso il calendario delle stagioni, davano senso al fluire di un tempo condizionato dagli influssi positivi e negativi della natura testimone di rituali legati ai ritmi del lavoro quotidiano, ancora vivi e presenti nella memoria dei nostri anziani. Sono storie fantastiche e mi

steriose di grotte e di castelli, di case assolate e di lente processioni di santi per le vie di paese, di segreti e di miti. Le leggende popolari del Pollino raccontano anche di maledizioni e di formule magiche, di ricchezze nascoste e di uomini d’altri tempi, incredibili e sorprendenti. «Innumerevoli superstizioni accompagnano l’uomo dalla culla alla fossa. Fattucchieri e fattucchiere abbondano specialmente nella gente di campagna e cacciano il diavolo, quello che non si nomina, quello che entra nei corpi degli uomini, quello che spacca monti e apre voragini con un calcio, ma a lui bisogna raccomandarsi e fare atto di ossequio per ottenere la fecondità. Gli angeli portano sacre immagini da un luogo all’altro, i paesani le rubano ai vicini. Le fiere, i mercati, le processioni nelle feste dei santi, o per implorare la pioggia nelle siccità estive, sono chiassose, numerose, canore e sonore, luminose, orribilmente rintronanti di spari[...]. Un mondo
vasto di leggende sull’antichità dei paesi, con eroi eponimi, e fate,
orchi, regine, re, maghi, palazzi incantati popola fantasie e racconti orali. I briganti entrano nei racconti di ogni veglia invernale, specialmente nelle campagne, dove risuona ancora l’eco paurosa delle scene orrende tra il 1860 e il 1865: grotte, rifugi, delitti, orecchie mozzate, ricatti, manutengoli, “faccia a terra” e “in alto le mani” risuonano tristemente ancora». Dai rituali della superstizione alle credenze popolari, dagli aneddoti sugli influssi negativi del maligno agli antichi racconti orali, così nascono le leggende che, come ci ricorda la sua radice latina sono «cose degne di essere lette» e, come le fiabe, le favole e i miti, «appartengono al patrimonio culturale del popolo che le ha inventate e create, fondendovi nella narrazione il meraviglioso e il reale». Rispondendo fantasiosamente ai tanti perché di un popolo, le leggende celebrano fatti e personaggi che hanno fatto la storia di quel popolo, spiegano eventi, rituali e regole di cui non si comprende il senso e servono «a scacciare alcune paure ancestrali, a rallegrare i bambini, a trasformare una persona in un eroe, a spiegare l’inspiegabile, a rendere più interessante un aspetto noioso della realtà e a insegnarci a vivere in armonia tra di noi e con la natura che ci circonda». Ogni leggenda è la memoria stessa di un popolo, di una comunità
ed è da preservare. Fanno da sfondo i paesi del Parco Nazionale del Pollino, sia del versante calabro che di quello lucano, per divulgare il loro patrimonio storico-artistico,per valorizzare le bellezze naturalistiche e urbanistiche dei borghi antichi, La pagina è un vero e proprio Parco Letterario delle Leggende popolari del Pollino, con particolare riferimento ai luoghi descritti nel tre volumi omonimi curati da Ines Ferrante ed editi da Promoidea Pollino

Tra Fate e Cielo Da sempre, contadini, pastori e pescatori calabresi hanno creduto che  il cielo notturno, la luna e le ...
06/11/2023

Tra Fate e Cielo
Da sempre, contadini, pastori e pescatori calabresi hanno creduto che il cielo notturno, la luna e le stelle fossero “il lievito del tempo” cioè indispensabili per «leggere» gli eventi atmosferici del giorno seguente, la pioggia o il clima mite, il mare pescoso o in burrasca. Per millenni hanno creduto che se le stelle, di notte, si presentavano diradate sarebbe stata una bella giornata, ma se si presentavano molto vicine tra loro e brillanti, avrebbero portato la pioggia. Dalle Pleiadi, “a puddara” hanno tratto anche la misura del tempo proprio come un orologio poiché d'inverno giunte perpendicolarmente sulla terra, segnavano la mezzanotte. I pastori, in particolare, quando scorgevano nel cielo il gran Carro e la stella polare,la chiamavano “la costellazione dei ladri" che dopo aver rubato due buoi e aver appeso alle loro corna una lanterna per illuminare la strada buia, li condussero via, seguiti dal proprietario della stalla con la sua lanterna, dalla moglie con in braccio il piccolo figlioletto e un' altra lanterna e dal loro giovane garzone, anche egli con una lanterna, ma più lontano e prudente, tutt’insieme,senza mai raggiungersi, ma sconfinando nel cielo. Cosi nelle notti di plenilunio, puntando le dita alla luna, indicavano il profilo di un ragazzo con il cappello da pecoraio, l'otre di pelle tenuto tra le braccia e le trombe della zampogna: era un giovane zampognaro che stregato dal suono del suo strumento suonando dall'alba a notte fonda fini per perdersi nello spazio infinito e ritrovarsi sulla luna. Per i contadini invece l'ombra sulla Luna era quella di un uomo dal volto sinistro e misterioso che porta una fascina sopra le spalle, Marcufo, il brutto ed astuto contadino che contrappose alla nobiltà e alla saggezza di Re Salomone la sua “sapienza" popolare, semplice e spesso volgare.
Eppure questa saggezza semplice e popolare sapeva immaginare e riconoscere persino le Fate, le misteriose, bizzarre e capricciose Fate calabresi, bellissime, dalla pelle bianchissima come la neve e con grandi e luminosissimi occhi, vestite di abiti tessuti con le foglie, con l'erba e con il muschio. Secondo gli antichi contadini calabresi le Fate apparivano al crepuscolo, ma apparivano e scomparivano talmente velocemente che l'occhio umano non riusciva facilmente a scorgerle. Le loro dimore preferite erano le primule dove si addormentavano e gli alberi. La loro lingua era chiamata “crepuscolare”comprensibile soltanto attraverso una conoscenza non razionale. Eppure pare si potesse vederle e comunicare con loro attraverso il flusso sottile dell'energia nei fenomeni naturali che vorticano, mutano e si mischiano, in un tempo senza tempo che c'è sempre stato, che c'è e che sempre ci sarà…

La Proneta, una creatura o una visione? Le montagne e i campi del massiccio del Pollino, gli ombrosi, ripidi e stretti s...
01/11/2023

La Proneta, una creatura o una visione?
Le montagne e i campi del massiccio del Pollino, gli ombrosi, ripidi e stretti sentieri nascosti tra boschi e le verdi distese erbose, spesso erano duri da percorrere e spesso pastori e contadini li attraversavano in rigorosa solitudine. Si dice che qualcuno da lì non sia più tornato, smarrito chissà dove e che qualche altro, al suo ritorno, abbia narrato strani fatti che poi hanno dato vita a numerose, diverse leggende. Una di queste leggende ricorda la proneta o pianeta, una creatura che vive nei pressi dell’acqua, solitamente una fonte, una sorgente, un pozzo,
un acquitrino e che, assumendo sembianze di giovinetta o di vecchia, attira i vivi, li allontana dalla “retta
via” e li fa precipitare giù nell’ abisso. Per i pastori e i contadini del Pollino la proneta, però, era il proprio destino e incontrarla significava imbattersi con la propria sorte la quale, se appariva come una bellissima fanciulla, con lunghi capelli scompigliati dal vento, il futuro sarebbe stato splendido e felice, ma se appariva sotto forma di una br**ta vecchia con abiti logori, il futuro non avrebbe riservato
nulla di buono. Pare che ognuno di noi, durante l’arco della propria vita, nonostante tenti di evitare questo momento, la incontri e che anzi, molti non si accorgano nemmeno di averla incontrata. Secondo la tradizione popolare la proneta non vorrebbe fare del male e non porterebbe alcuna sventura, ma soltanto mostrare e farci comprendere “quel che sarà”.

...Non accettate l'invito...I nostri contadini erano convinti che alcune anime defunte vivessero tra il cielo e la terra...
01/11/2023

...Non accettate l'invito...
I nostri contadini erano convinti che alcune anime defunte vivessero tra il cielo e la terra e che avessero anche l’abitudine di visitare, di notte, le loro famiglie, scaldandosi al fuoco delle case. Credevano anche che queste anime organizzassero grandiose e macabre feste nelle campagne e nelle radure e invitassero i vari passanti. Chi si trovava nei paraggi veniva sempre chiamato ad aggregarsi allo spettrale gruppo e a partecipare ai suoi macabri eccessi goliardici. Molti nostri nonni, quando, all’alba, andavano in campagna a piedi o rincasavano all’imbrunire, si sono imbattuti in questi
strani festini ai quali però era meglio non accedervi o, comunque, giungervi avendo in tasca del pane (a tal proposito sembra che i rami di olivo benedetto distribuiti nel giorno della domenica delle Palme fossero molto efficaci per liberarsi dall’invito di questi spettri)

27/08/2023

Credete nelle Fate? No, sicuramente no! Io,dopo averle cercate per tutta la vita, credo proprio di averle trovate! Nessun filtro, nessun ritocco, nessun fotomontaggio. Dove? Nel luogo più magico e fatato che abbiamo…ma mistero!

Le quattro stagioni magiche e incantate del Parco nazionale del Pollino, un Mondo di Mezzo che solo i puri di cuore poss...
24/07/2023

Le quattro stagioni magiche e incantate del Parco nazionale del Pollino, un Mondo di Mezzo che solo i puri di cuore possono attraversare. Tra gli alberi maestosi cose invisibili si svelano all’improvviso, il tempo fantastico e’ infinito e possibile e un Regno misterioso e perduto, ricco di magia, esiste, oltre i limiti dei nostri sensi e soltanto in pochi lo sanno trovare.

Sortilegi e magarie nelle notti di San Giovanni: credenze pagane, riti sacri e profani, culti mistici e superstizioni av...
23/06/2023

Sortilegi e magarie nelle notti di San Giovanni: credenze pagane, riti sacri e profani, culti mistici e superstizioni avvolgono le notti tra il 23 e il 24 giugno. Mistero e magia: secondo l'immaginario collettivo in questi due giorni Sole e Luna, fuoco e acqua, luce e ombra, maschio e femmina, positivo e negativo, si uniscono e si fondono, generando energie positive e benefiche sull'intero pianeta. Il sole sposando la luna concede agli uomini gli usi arcani del fuoco e della rugiada, di tutte le piante e le erbe della terra che vengono influenzate con particolare forza e potere. Secondo una leggenda popolare in queste sere, all’imbrunire, le magàre si davano convegno attorno al più antico albero di noce (piantato dai contadini a distanza dagli altri alberi da frutto perché la sua influenza negativa non contagiasse il terreno su cui poggiava) per compiere i loro sortilegi e, con i frutti di questo albero ermafrodita, colti ancora verdi e madidi di rugiada, preparavano il nocino, il portentoso liquore con cui si ricavavano pozioni ritenute magiche. Per difendersi dalle magàre i contadini, prima di andare a dormire, ponevano dietro la porta di casa delle scope. Sembra che alla vigilia di San Giovanni, le magare si impossessassero dell'aria intorno ai villaggi e si potessero allontanare solo con gli strepiti dei tamburelli e di altri strumenti improvvisati o con particolari scongiuri che dovevano essere recitati di notte in una chiesa.
(Castrovillari, 'U suppurtu d'i magare, foto Fedele Tocci)

Vademecum per la vigilia di San Giovanni: ponete una piccola brocca in giardino o sul davanzale, per tutta la notte; all...
23/06/2023

Vademecum per la vigilia di San Giovanni: ponete una piccola brocca in giardino o sul davanzale, per tutta la notte; all’alba del 24 giugno potrete raccogliere le gocce purificatrici di rugiada che, si diceva facessero crescere i capelli, favorissero la fecondità, curassero la pelle ed allontanassero le malattie. Potete, anche stendere candide lenzuola che s’impregnino di stillante rugiada e, per le giovani donne desiderose di avere figli, avvolgervi in esse all’alba. Anche le lumache, in questa notte, assumono un significato particolare: le corna delle lumache simboleggiano la luna e il suo ciclo di crescita e decrescita, rappresentato dalle cornine, per cui, cucinarle e mangiarle scongiurerebbe malanni e rischi di "corna" in casa, preservando anche dalla sfortuna e dal malocchio. Astenetevi,invece, dal raccogliere la menta perchè un tempo le contadine dicevano che facesse avvizzire il petto.

‘A Proneta Un tempo le montagne e i campi del massiccio del Pollino, gli ombrosi e stretti sentieri nascosti tra i bosch...
07/06/2023

‘A Proneta
Un tempo le montagne e i campi del massiccio del Pollino, gli ombrosi e stretti sentieri nascosti tra i boschi e le verdi distese erbose, spesso
erano duri da percorrere e spesso pastori e contadini li attraversavano quotidianamente in rigorosa solitudine. Si dice che qualcuno da lì non sia più tornato, smarrito chissà dove e che qualche altro, al suo ritorno, abbia narrato strani fatti che poi hanno dato vita a numerose, diverse leggende. Una di queste leggende, pur con alcune varianti, ricorda di misteriosi incontri con quella che chiamavano ‘a proneta, una creatura che viveva nei pressi dell’acqua, vicino ad una fonte, ad una sorgente, ad un pozzo, ad un acquitrino e che, assumendo sembianze di anziana donna o di bella giovinetta, attirava i vivi allontanandoli dalla strada maestra. Per i pastori e i contadini del Pollino ‘a proneta, era la personificazione del proprio destino e incontrarla significava imbattersi nella propria sorte la quale, se appariva come una bellissima fanciulla, con lunghi capelli scompigliati dal vento, il futuro sarebbe stato splendido e felice, ma se appariva sotto forma di una br**ta e raggrinzita vecchia con abiti logori, il futuro non avrebbe riservato nulla di buono. Pare che ognuno di noi, durante l’arco della propria vita, nonostante tenti di evitare questo momento, la incontrerà e che anzi, molti non si accorgano nemmeno di averla incontrata. Secondo la tradizione popolare ‘a proneta, però, non farebbe alcun male e non porterebbe alcuna sventura, ma cercherebbe di farci comprendere “quel che sarà” la nostra vita.

La leggenda del cuculo e di ‘za Marianna.Narrano gli antichi contadini di Mormanno che il cuculo, ‘u cuccu, conoscesse i...
22/05/2023

La leggenda del cuculo e di ‘za Marianna.
Narrano gli antichi contadini di Mormanno che il cuculo, ‘u cuccu, conoscesse il destino di ogni uomo e fosse in grado di rivelare con il suo canto il momento del matrimonio e della morte: ogni gorgheggio corrispondeva ad un anno. Così, tanto tempo fa ‘za Marianna, una anziana signora, si rivolse allu cuccu, con un’antica filastrocca, per sapere quanti anni le restavano ancora da vivere. Dopo diversi ritornelli la vecchietta ricevette la risposta dal cuculo con tre canti ripetuti: Cucù, cucù, cucù. La donna, già in età avanzata, credendo che gli sarebbero rimasti soltanto tre anni di vita, consumò tutti i suoi beni, ma allo scadere del terzo anno non morì affatto e si ritrovò, suo malgrado, senza alcunché per poter sopravvivere. La poveretta, colpita dalla sfortuna ed ingannata dall’uccello, fu costretta a mendicare e, mentre chiedeva l’elemosina, ripeteva, lamentandosi all’infinito la seguente cantilena: ‘za Marianna jè arraggiata, ca ‘u cuccu ‘a ‘ngannata. Faciti ‘a limosina a ‘za Marianna, ca ‘u cuccu ha rubato l’anni.
(Un esemplare di falco cuculo femmina dalla piana di Sibari)

La leggenda dell'altalenaIl gioco dell'altalena è un rituale antico che, secondo la tradizione popolare, accompagnato da...
14/05/2023

La leggenda dell'altalena
Il gioco dell'altalena è un rituale antico che, secondo la tradizione popolare, accompagnato da canti ritmati, portava fecondità alle campagne e buona fortuna alle donne. Un'antica leggenda, calabrese, infatti, raccontava che tantissimo tempo fa un contadino, lavorando la terra, trovò un mortaio d’oro; egli volle portarlo al re, ma sua figlia lo sconsigliò. Il re, infatti, visto il mortaio, impose al contadino di ritrovare anche il pestello entro otto giorni. La figlia suggrì allora al povero padre, di mentire al re e di fargli credere che il pestello non si era potuto trovare, ma il re, immaginando che ci fosse un inganno, volle provocare il contadino e gli chiese che sua figlia traesse cento canne di tela da un mantello di lino cardato che egli le avrebbe donato. L’uomo disperato tornò a casa ma la giovane, furba e ingegnosa, rimandò il padre dal re con un pezzo di carta pieno di lische. “Mia figlia chiede che prima voi, o re, le facciate il telaio con queste lische, poi provvederà a tessere”. Al re che chiedeva come questo fosse possibile il contadino rispose: “Nello stesso modo di come mia figlia può fare cento canne di tela con una manna di lino”. Infastidito dall’arguzia e dalla sfrontatezza della ragazza, il re disse al padre che la sera sarebbe passato per conoscere la figlia, ma dall’uscio della casa avrebbe voluto trovarla né dentro, né fuori. La giovane per nulla intimorita sistemò un’altalena all’ architrave della porta e cominciò a dondolarvi allegramente, intonando una dolce filastrocca. Quando il re arrivò, comprese dell’intelligenza della ragazza e pensò che dovesse sposarla perché in tutto il regno non avrebbe trovato nessun’altra tanto pronta di spirito e di parola e dunque le avrebbe portato felicità e prosperità.

La leggenda della Sirena calabreseTanto, tanto tempo fa quando le bambine calabresi non volevano farsi pettinare le madr...
13/05/2023

La leggenda della Sirena calabrese
Tanto, tanto tempo fa quando le bambine calabresi non volevano farsi pettinare le madri le raccontavano che se i capelli si fossero aggrovigliati e annodati, avrebbero attirato qualche sirena che l'avrebbero tenute prigioniere per sempre. Un'antica leggenda, infatti, narrava che in un piccolo paese calabrese vicino al mare, una giovinetta non voleva mai lasciarsi pettinare i capelli. I paesani temendo quei i pidocchi che ormai crescevano numerosi sulla sua testa, la trascinarono al mare e ve la gettarono. Una sirena ebbe compassione della giovinetta, se ne innamorò e la condusse nel suo palazzo, legandole una catena d'oro al piede destro nel timore di una sua fuga. Ogni giorno la madre della fanciulla gridava il suo dolore sulla spiaggia e, piangendo, ripeteva: «Mare, mio mare, quante pene mi fai fare; fammi affacciare la figlia mia bella che con lei voglio parlare». Un giorno la fanciulla emerse dalle onde e raccontò come era prigioniera della sirena che la teneva incatenata. La madre, allora, le suggerì di far ubriacare la sirena con del vino rosso e di cercare di strapparle il segreto per spezzare la catena. La fanciulla così fece e quando la sirena fu ebbra, la invitò a posare il capo sul suo seno per dormire e con domande insidiose la fece confessare. La sirena le rivelò che quella catena poteva essere spezzata soltanto con i colpi d'una mazza da cento quintali fabbricata di venerdì da un fabbro nato in quello stesso giorno. Quando la fanciulla tornò di nuovo sulla riva del mare raccontò tutto alla madre. Allora la madre trovò la mazza e il fabbro che riuscì a spezzare la catena e la giovinetta tornò a casa. Quando la sirena capì di averla perduta iniziò una lungo e penoso lamentò che per giorni sovrastò il rumore del mare, poi, per il dolore, morì.

Il fiore dell’oblio e della libertà, il fiore del sacrificio e della dimenticanza…Fiore magico per eccellenza usato da s...
13/05/2023

Il fiore dell’oblio e della libertà, il fiore del sacrificio e della dimenticanza…Fiore magico per eccellenza usato da secoli per pozioni e incantesimi, mettendo a macerare a caldo i suoi pistilli si procurava uno stato di sonnolenza e dolce torpore, fino a raggiungere un lungo sonno….
(Piccolo campo di papaveri rossi a Morano Calabro)

'U Ritu d'i majiu.   Secondo un'antica credenza  'u Ritu d'i Majiu, ossia il rito di Maggio consisteva nel porre all’ es...
01/05/2023

'U Ritu d'i majiu.
Secondo un'antica credenza 'u Ritu d'i Majiu, ossia il rito di Maggio consisteva nel porre all’ esterno delle porte d'ingresso delle case un ramoscello di faggio fiorito. Tale gesto si compiva ogni anno puntualmente, il 1º maggio ed era di buon augurio per l’avvento della bella stagione che nelle nostre montagne arrivava proprio in questo periodo. Anticamente contadini e pastori credevano che se non si avesse posto il ramoscello di faggio alla porta non si sarebbe vista l’alba del giorno successivo.

Calendimaggio Sono gli antichissimi riti arborei che celebrano la rigenerazione non soltanto materiale ma anche spiritua...
29/04/2023

Calendimaggio
Sono gli antichissimi riti arborei che celebrano la rigenerazione non soltanto materiale ma anche spirituale, celebrati il 1° maggio che segnava l'inizio del trionfo della luce sulle tenebre, il tempo del risveglio della natura, l’inizio della stagione calda e delle giornate piene di sole, il tempo della piena fioritura dei biancospini, il tempo del latte e del miele. Nella notte della veglia, tra il 30 aprile e il primo maggio, si accendevano fuochi attraverso i quali si passava per purificarsi, mentre contadini e pastori trascinavano un albero dal bosco collocandolo in mezzo al paese, nel ventre di Madre Terra, sfrondato ma adornato di nastri e innalzato verso il cielo, simbolo dell'Albero Cosmico, simbolo di energia, dispensatore di abbondanza e di vita. La gente vi danzava intorno allegramente, mentre i giovani raccoglievano fiori nei campi, trascorrendo la notte sotto le stelle e intrecciavano ghirlande di nastri rossi e bianchi per propiziare amore, fortuna o guarigione, bevendo ritualmente vino rosso e consumando dolci. Era il tempo per festeggiare e per gioire, il tempo per rigenerarsi e trasformarsi e poiché anche l’acqua riceveva maggior potere dal sole si raggiungevano facevano le sorgenti sacre per aspergersi con la loro acqua. Così la rugiada raccolta all’alba del primo maggio avrebbe dato bellezza al viso delle donne e abilitá alle mani degli uomini.

Il tricche-tracche delle fate.Se andate tra i boschi del Pollino o lungo le rive del fiume Coscile dovrebbe esserci, imm...
20/03/2023

Il tricche-tracche delle fate.

Se andate tra i boschi del Pollino o lungo le rive del fiume Coscile dovrebbe esserci, immerso nella natura, qualche pioppo singolare: questo tipo di albero ha le foglie giallo-oro che, soprattutto d’estate, emanano una luce vivissima. Ebbene, dovete sapere che con i rami di questi pioppi, le Fate costruiscono telai al loro interno, ma anche all’interno di grotte o sotto enormi macigni di pietra (se ne vedono tanti nel nostro territorio!), su cui tessono drappi di seta dall’alba al tramonto con petali di fiori meravigliosi, variopinti e vellutati, Se vi capita di poggiarvi l’orecchio, soprattutto nei giorni senza vento, potrete udire il tricche-tracche dei telai, il fruscio dei tessuti ed il bisbiglio delle fate che tessendo, raccontano storie fantastiche.

La penna del grifone o l' “osso che canta”.Un'antica leggenda popolare narrava che tanto tempo fa c'era un re che aveva ...
19/03/2023

La penna del grifone o l' “osso che canta”.
Un'antica leggenda popolare narrava che tanto tempo fa c'era un re che aveva due figli maschi, divisi dall’avarizia e dalla brama di potere. Entrambi i giovani erano belli, ma il più piccolo aveva il cuore buono onesto e generoso, mentre il maggiore era prepotente e furbo. Il re decise un giorno di mandare entrambi i figli alla ricerca della penna del grifone, un rapace raro e dalle doti magiche. Colui che fosse riuscito ad afferrare la piuma sarebbe salito al trono. I fratelli si incamminarono nel bosco, attraversando pianure e monti, fiumi e laghi, divisi anche nel cammino, quando avvenne che, in cima a una montagna, il più giovane s'imbattè in un uomo così vecchio che gli era cresciuta l'erba sul collo, il quale gli domandò: "Come mai ti trovi da queste parti?" Il giovane gli raccontò di suo padre e il vecchio gli disse. "Prendi questo pugno di crusca e vai avanti. A un tratto vedrai tre uccelli che verranno a mangiare la crusca. Quello che sta in mezzo è il grifone. Se tu sei bravo ad avvicinarti mentre lui mangia, gli stacchi una penna e quello neanche se ne accorge; altrimenti non sarà possibile." Il giovane fece come il vecchio gli aveva consigliato e riuscì a strappare la penna al grifone, poi la nascose nella scarpa per non perderla e perché nessuno gliela rubasse. Sulla via del ritorno, quasi nei pressi della città, ritrovò l'altro fratello che gli domandò se avesse trovato il grifone, ma egli negò. Il fratello non gli credette, frugò tra i suoi vestiti, gli tolse le scarpe e trovò l'agognata penna.
“O’ pastore mio che mi tieni in braccio,
tienimi stretto, non mi lasciare!
Pe na’penna e n’uccello grifone
fratm è stat ‘nu traditor.
M’ha accis e m' ha scannato
Sotto 'na terra m’ha sotterrato
Pe se piglià la mia corona”.
Il pastorello, per incuriosire la gente, fece ascoltare questa filastrocca in giro, per le strade e sulle piazze, fino a quando arrivò all'orecchio del re, il quale capì e, addolorato e sgomento, esiliò dal regno il figlio maggiore imprigionandolo in un carcere buio e orribile e tenne con sé il pastorello che poi nominò re.
(un grifone, Civita)

In attesa dei nostri laboratori per realizzare la pupattola segnatempo del 2024, impariamo la leggenda della Corajisima:...
07/02/2023

In attesa dei nostri laboratori per realizzare la pupattola segnatempo del 2024, impariamo
la leggenda della Corajisima:
Un tempo lontano ai bambini calabresi veniva raccontata un'antica leggenda popolare per evitare che anche i più piccoli tentassero di violare la legge della quaresima, cioè mangiare cibi vietati fino alla Pasqua. Si narrava loro, terrorizzandoli, che la vecchia e misteriosa Corajisima, non si sa bene se moglie o sorella di re Carnevale, dopo i bagordi della festa carnascialesca se ne stava in una zona abbandonata del paese, sempre in agguato e teneva grossi pentoloni sul fuoco per scaldare l’acqua in attesa 'i cucinà ‘u cannaruzzu, cioè di cucinare di un bambino che avesse osato mangiare della carne di maiale o dolciumi.
(nella foto una bellissima Corajisima realizzata nel 2022)

05/02/2023

In occasione della 65ma edizione del Carnevale di Castrovillari proponiamo il “LABORATORIO DI TRADIZIONI
POPOLARI: ‘A CORAJISIMA
(antico calendario segnatempo).
Il laboratorio si potrà svolgere
DAL 12 FEBBRAIO AL 21 FEBBRAIO 2023 SU PRENOTAZIONE, CONTATTANDO L’ASSOCIAZIONE MYSTICA CALABRIA (3470737204).
Il laboratorio è rivolto alle scuole, agli insegnanti e a tutti gli appassionati.
Il laboratorio prevede una lezione propedeutica per presentare la tematica proposta, la tecnica e i materiali di realizzazione e la creazione della pupattola segnatempo.

LA CANDELORA O DELLA PURIFICAZIONESecondo la legge ebraica la presentazione del primogenito al tempio e la purificazione...
02/02/2023

LA CANDELORA O DELLA PURIFICAZIONE

Secondo la legge ebraica la presentazione del primogenito al tempio e la purificazione rituale della madre dovevano avvenire il quarantesimo giorno dalla nascita, dunque per la chiesa cristiana il 2 di febbraio indicava la Purificazione della beata Maria Vergine e la Presentazione del Gesù al Padre (essendo il Natale già fissato al 25 dicembre),forse anche per allontanare certe reminiscenze pagane, venendo a coincidere con il mese dedicato, nella Roma pagana, ai riti purificatori del fuoco, a Iunio Februata (dal latino februare cioè purificare, espiare) e al rito di fertilità e fecondazione dei Lupercali in cui i Romani chiedevano agli dei fortuna e buoni raccolti. La festa è chiamata Candelora dal tardo latino “candelorum“ (festa delle candele) perché si benedicono e si distribuiscono ai fedeli candele cui la pietà popolare attribuisce virtù protettive contro le calamità, le tempeste e anche durante l'agonia. I devoti, infatti, conservavano in casa i ceri benedetti e li accendevano durante un violento temporale o in attesa di un caro lontano di cui non si avevano più notizie, o per assistere un moribondo. Un tempo le candele venivano accese con un cero in una cerimonia analoga a quella della veglia pasquale, mentre oggi sono semplicemente benedette. La cerimonia antica con l'accensione delle candele aveva due significati: l'uno collegato alla universale religione cosmica che il cristianesimo ha accolto nella sua liturgia; l'altro collegato all'insegnamento evangelico. Secondo il primo, il cero speciale acceso è il simbolo del nuovo fuoco vitale che riapparve nella natura per grazia divina, preparando la primavera: fuoco purificatore e fecondatore, lo si potrebbe paragonare simbolicamente alle corregge brandite dai Luperci. Secondo la tradizione popolare durante la Candelora si doveva smontare il presepe, si toglieva il malocchio, si vaticinava il futuro e si poteva interpretare l’andamento climatico della stagione poiché se quel giorno fosse stato freddo e nevoso, la Pasqua sarebbe stata bella, se invece il giorno fosse stato sereno, a Pasqua sarebbe caduta la neve. Secondo altre antiche credenze particolari abitudini di alcuni animali avrebbero indicato pronostici sul clima giacché se l’orso, ad esempio, si fosse svegliato dal letargo ci sarebbero stati altri quaranta giorni di inverno. I piatti tipici di questa festa sono tutti a base di latte e uova, quindi ricotta e formaggi freschi, pizze, polpette e crespelle dolci e salate. In Calabria è anche usanza nel giorno della Candelora consumare portate a base di carne di maiale (frittole, gelatina e pasta fatta in casa con il sugo di maiale),anche perché la festa cade nel periodo della macellazione dei maiali, e preparare gli involtini di verza.

La paurosa leggenda di don Paolo Tolone (tradotta in italiano dal dialetto)Una sera di tantissimo tempo fa, a Castrovill...
01/11/2022

La paurosa leggenda di don Paolo Tolone (tradotta in italiano dal dialetto)
Una sera di tantissimo tempo fa, a Castrovillari, le campane rintoccavano l'Avemaria quando otto o nove uomini riunitisi in mezzo alla via attendevano impazienti che giungesse l'ora stabilita. Ah, il loro unico pensiero era l'immensa quantità di monete d'oro e d'argento di quel tesoro. Finalmente quando le campane annunciarono l’ora, gli uomini si diressero verso la periferia del paese, salendo per la chiesetta di Santa Lucia. A loro si aggregò anche un monaco, padre Nerino, esperto di magie e di incantesimi. Giunti alla ca****la dell’Angelo Custode il monaco si rivolse agli uomini e disse loro di accendere un fuoco perché erano giunti al luogo dove era nascosto il tesoro. Subito essi prepararono la legna e accesero una piccola fiamma, mentre padre Nerino, vestiti i paramenti sacri, incominciò la messa e, grave sacrilegio a dirsi, diede la comunione anche ad una capra che avevano condotto lì, quindi con un coltello affilato, tagliò la testa al povero animale. Era iniziato, così, un vero e proprio rito di magia nera: il monaco leccando la lama del coltello scorticò la capra e la mise sulla brace, mentre con il sangue disegnò una croce, il simbolo della morte e il diavolo. Quando la capra fu arrostita, tutti gli uomini ne mangiarono una porzione poi si spostarono e il monaco incominciò a recitare uno scongiuro, con voce solenne, evocando uno spirito dall’oltretomba: “Esci Don Paolo fuori dal tuo sepolcro perché noi ti vogliamo qua per sapere dove hai nascosto l’oro e l’argento che ti arricchì in vita. Non avere paura, raccogli le tue ossa ed esci subito fuori dalla tua fossa”. Dette queste parole gli uomini impallidirono e nascosero la testa tra le mani, mentre la terra cominciò a tremare e fulmini e tuoni squarciarono il cielo. Il monaco allora disse “Il rito è compiuto! Ora uno di voi che abbia coraggio deve andare a prendere don Paolo. Un uomo scelto, dunque, tra i presenti, si recò dall’altra parte della città, alla ca****la di san Giacomo, sotto la Madonna del Castello, per riportare in vita lo spirito di don Paolo Tolone. L’uomo giunto velocemente sul colle della Civita chiamò ad alta voce il defunto. Immediatamente una pietra tombale cominciò a sussultare e si aprì una sepoltura nascosta nel terreno, dal quale provenne una voce lugubre e spettrale “Chi viene a disturbare il mio riposo? Neanche qui sotto posso stare sicuro e in pace? Dall'oscurità venne fuori uno scheletro che si ricompose e divenne un uomo in carne e ossa e che con un salto sovrannaturale si pose sulle spalle di quello che lo aveva evocato. Questi, con quel peso addosso, tra grida di dolore, cominciò a correre all'impazzata e arrivò senza fiato alla ca****la dell’Angelo, dove lo attendevano gli altri compagni. Alla vista dello spettro di don Paolo il monaco esclamò: “Allora dove lo hai nascosto il tuo grande tesoro? Lo spettro torse la bocca e mettendosi le mani tra i capelli urlò: “Sono più di trecento anni che sono morto e voi, uomini malvagi, mi chiamate dal sonno eterno invitandomi a questa festino dannato? Don Paolo, con il viso rosso di rabbia, alzò il braccio, fece tremare tutt'attorno e riportò in vita anche la capra che quelli avevano sgozzato, lasciando gli uomini con la bocca e gli occhi spalancati. Quindi incominciò a ruotare le mani e le braccia e a inveire contro di loro: a chi ruppe un braccio, a chi una gamba a chi sfregiò il viso e la testa. Lamentandosi disperati essi si ritrovarono miglia e miglia lontani l'uno dall'altro: chi a Lungro, chi a Cassano, chi a Mormanno. Soltanto l'uomo che avevo portato sulle spalle don Paolo era rimasto lì, così lo spettro gli ordinò con voce spaventosa: “Avanti su, riportami dove ero!” L’uomo riportò il defunto al luogo di sepoltura e ritornò velocemente a casa affannando, tutto sudato, sfinito dalla fatica ed alla paura ! Quando lo vide la povera moglie, sbigottita, gli chiese cosa fosse accaduto ed egli sussurrò “Moglie mia prega, prega, non smettere di pregare sennò mi raggiunge anche qui! “Chi chi?" chiese la moglie incredula “Non farmelo nominare, non farmelo nominare!”, rispose il pover'uomo. “Oh Dio com'era brutto, oh Dio com'era spaventoso, oh Dio ora viene anche qui, e mi salta addosso...". L'uomo incominciò a farneticare e cadde in delirio per giorni e giorni, mentre la moglie continuò a ripetergli invano: “Non avere paura, non avere paura, qui non c'è nessuno…”

Si narra che nei boschi del Pollino i poveri pastori temessero la vista di creature mostruose tra cui quella d’u lifande...
22/10/2022

Si narra che nei boschi del Pollino i poveri pastori temessero la vista di creature mostruose tra cui quella d’u lifande-serpende. Molti giurarono di averne incontrato diversi lifandi-serpendi, attorcigliati agli alberi e svettanti dalle viscere della terra. I lifandi-serpendi erano rettili mostruosi per metà elefante e per metà serpente e che con una lunga proboscide risucchiavano tutto ciò che gli passava accanto, sebbene le loro prede preferite erano le capre al pascolo. Si racconta che un giorno i proprietari di alcune greggi, pur temendo grandemente di essere risucchiati da un enorme e terribile lifande-serpende, si fecero coraggio ed escogitarono uno straordinario piano per ammazzarlo. Trovarono un uomo abile nell’addomesticare sia i serpenti che gli elefanti, una sorta di magaro, un vero e proprio stregone e gli incaricarono di posizionarsi dalla parte opposta al rifugio della bestia e di attirarla con rumori, suoni e gesti vari. Finalmente la creatura uscì dal rifugio, ma subito sprofondò nella gola sottostante, provocando un assordante boato. Nonostante la tremenda caduta, ‘u lifande-serpende non morì e continuò a seguire con attenzione sinistra e malvagia quei rumori e quei suoni che faceva il magaro, fino a quando giunse dinnanzi a lui. Fu così che finalmente i pastori lo assalirono e, sopraffacendolo, lo uccisero.

Avete mai visto una pannocchia rossa? No, non gialla, non arancione, una tutta rossa, in mezzo a tutte le altre del colo...
20/10/2022

Avete mai visto una pannocchia rossa? No, non gialla, non arancione, una tutta rossa, in mezzo a tutte le altre del colore dell’oro? Una pannocchia originale, molto, molto desiderata...! I contadini ricordano ancora, con nostalgia e sentimento, che, quando era giunto il tempo dovuto ed il mais era già bello maturo, sul far dell’alba, ‘i gualani si davano un gran da fare, con donne, giovani e bambini, per raccogliere le pannocchie che, all’imbrunire, venivano sistemate sotto un grande albero. Così, alla sera, mentre gli uomini accendevano il fuoco, si preparava la cena, una cena frugale, saporitissima, accompagnata dall’ immancabile vino rosso, dolcissimo. Al termine della cena, incominciava la spannocchiatura, cantando canzoni d’amore e di gelosia, raccontando antiche e allegre parmidìe. Ciò allontanava la stanchezza e il sonno ed aiutava il
sopraggiungere della notte a tingersi di magia, perché tutti aspettano, smaniosi, di trovare ‘a “spiga russa”, una pannocchia, particolare, grossa e bella, dal caratteristico colore rossiccio. Secondo la consuetudine popolare, colui o colei che l’avesse avuta tra le mani, avrebbe potuto, anzi dovuto, baciare e stringere tra le braccia chi preferiva di più tra i presenti. Scherzi, vergogne, rifiuti, sdegno e passione portava quella spiga rossa, sgusciata fuori all’improvviso, spogliata del suo involucro misterioso, in un’atmosfera fantastica e sfuggente!

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