06/11/2023
Tra Fate e Cielo
Da sempre, contadini, pastori e pescatori calabresi hanno creduto che il cielo notturno, la luna e le stelle fossero “il lievito del tempo” cioè indispensabili per «leggere» gli eventi atmosferici del giorno seguente, la pioggia o il clima mite, il mare pescoso o in burrasca. Per millenni hanno creduto che se le stelle, di notte, si presentavano diradate sarebbe stata una bella giornata, ma se si presentavano molto vicine tra loro e brillanti, avrebbero portato la pioggia. Dalle Pleiadi, “a puddara” hanno tratto anche la misura del tempo proprio come un orologio poiché d'inverno giunte perpendicolarmente sulla terra, segnavano la mezzanotte. I pastori, in particolare, quando scorgevano nel cielo il gran Carro e la stella polare,la chiamavano “la costellazione dei ladri" che dopo aver rubato due buoi e aver appeso alle loro corna una lanterna per illuminare la strada buia, li condussero via, seguiti dal proprietario della stalla con la sua lanterna, dalla moglie con in braccio il piccolo figlioletto e un' altra lanterna e dal loro giovane garzone, anche egli con una lanterna, ma più lontano e prudente, tutt’insieme,senza mai raggiungersi, ma sconfinando nel cielo. Cosi nelle notti di plenilunio, puntando le dita alla luna, indicavano il profilo di un ragazzo con il cappello da pecoraio, l'otre di pelle tenuto tra le braccia e le trombe della zampogna: era un giovane zampognaro che stregato dal suono del suo strumento suonando dall'alba a notte fonda fini per perdersi nello spazio infinito e ritrovarsi sulla luna. Per i contadini invece l'ombra sulla Luna era quella di un uomo dal volto sinistro e misterioso che porta una fascina sopra le spalle, Marcufo, il brutto ed astuto contadino che contrappose alla nobiltà e alla saggezza di Re Salomone la sua “sapienza" popolare, semplice e spesso volgare.
Eppure questa saggezza semplice e popolare sapeva immaginare e riconoscere persino le Fate, le misteriose, bizzarre e capricciose Fate calabresi, bellissime, dalla pelle bianchissima come la neve e con grandi e luminosissimi occhi, vestite di abiti tessuti con le foglie, con l'erba e con il muschio. Secondo gli antichi contadini calabresi le Fate apparivano al crepuscolo, ma apparivano e scomparivano talmente velocemente che l'occhio umano non riusciva facilmente a scorgerle. Le loro dimore preferite erano le primule dove si addormentavano e gli alberi. La loro lingua era chiamata “crepuscolare”comprensibile soltanto attraverso una conoscenza non razionale. Eppure pare si potesse vederle e comunicare con loro attraverso il flusso sottile dell'energia nei fenomeni naturali che vorticano, mutano e si mischiano, in un tempo senza tempo che c'è sempre stato, che c'è e che sempre ci sarà…