24/09/2022
PAPAGLIONTI E LA GROTTA TRISULINA
Nei pressi della città di pietra di Zungri, circondato da ulivi secolari, sorge Papaglionti Vecchia, un borgo fantasma abbandonato negli anni ‘50 del secolo scorso in seguito ad una violenta alluvione e mai più ripopolato. Le vecchie abitazioni hanno lasciato il posto, a breve distanza, ad un nuovo abitato, ma l’antico borgo conserva un particolare fascino e un’aurea di mistero che attrae di certo solo i più curiosi per perlustrazioni fuori i circuiti turistici tradizionali, in quanto è impossibile arrivarci con i mezzi pubblici. Il nome Papaglionti deriverebbe dal greco-bizantino “Paleontos”, corruzione di “Papas Leontios” (prete Leonzio), persona ecclesiastica proprietaria di un casale dal quale ebbe origine il villaggio nato nel primo medioevo. Oggi è preda di rovi ed erbacce, degradata dal tempo e dall’incuria dell’uomo: girando per il piccolo villaggio è possibile notare strutture povere, semplici ma allo stesso tempo attente all’estetica architettonica. Tra quelle che saltano all’occhio, le più importanti sono i resti della chiesa di San Pantaleone, i resti del “Castello Francese” e del Calvario. La chiesa di Papaglionti, del XVIII° secolo, all’esterno si presenta strutturata in mattoni rossi; ha due navate collegate tra di loro da due arcate e nei cespugli si nota un vuoto destinato alla sepoltura. Oggi è completamente fatiscente e pericolante ma è descritta nelle fonti del passato come ricca di quadri, croci dorate e paramenti sacri finemente lavorati. La villa-fortezza della Famiglia Di Francia è l’esempio di Casa Signorile di Papaglionti. La struttura in stile tardo barocco, in muratura di pietra granitica con saette e scaglie di laterizio, risale al 1823, ha una forma rettangolare ed è circa 13 metri in larghezza. Il pian terreno era adibito come deposito di prodotti agricoli, il primo piano invece per la residenza dei proprietari. Il Calvario di Papaglionti è situato lungo la strada che conduce al vecchio borgo e accoglie il visitatore: di forma rettangolare, in muratura di pietra granitica locale regolarizzata con scaglie di laterizio e mattoni, è stato realizzato alla fine del ‘600. Tra le poche strutture rimaste in ottime condizioni, al centro si nota una nicchia all’interno della quale era ospitato un dipinto raffigurante la crocifissione. Ma ciò che rende unico questo borgo fantasma è una cavità artificiale che si trova a poca distanza dal “centro” città: su una collina, sotto terra è nascosta la Grotta Trisulina o Tempio di Santa Rosalia. L’ipogeo è ubicato in un fondo di proprietà privata in un’area di evidente importanza archeologica. I resti sono concentrati sulla cima spianata di una collina che domina la vallata sottostante. Molte sono le teorie sulla funzione di questo luogo, ma nessuna di esse è suffragata da indagini accurate e da scavi archeologici: alcuni scrittori dei secoli passati, come Marafioti e Patari, inventarono la leggenda secondo cui l’ipogeo era parte di un tempio consacrato alla dea cartaginese Cibele fatto costruire per volere di Annibale; è stato segnalato anche come tempio di Proserpina o Pandina. Secondo un’altra leggenda riportata da Albanese e Iannelli e attribuita al Fiore, l’ipogeo fu costruito dal legislatore Caronda per custodire il tesoro della colonia magnogreca di Locri. Padre G. Musolino, studioso del monachesimo italo-greco, riferisce che nel medioevo la struttura fece parte di un cenobio di monaci eremiti ortodossi intitolato a S. Rosalia. Le prime ipotesi scientifiche, comunemente giudicate più verosimili, si devono all’archeologo francese Francois Lenormant secondo cui la struttura interrata era una cisterna annessa ad una ricca dimora di età romana imperiale, del I - II sec. d.C., una delle poche testimonianze del periodo Augusteo in Calabria. Secondo altre ipotesi, l’ipogeo era un ninfeo romano. Dai resti rinvenuti della villa del tipo “a terrazzo”, di cui oggi in superficie rimangono pochissimi segni, si deduce che dovette essere costruita con notevole lusso. L’antica strada di accesso alla villa, di cui sono presenti solo alcune tracce, aveva a lato impianti agricoli e artigianali, tra i quali una fornace. L’ingresso all’ipogeo, scavato in roccia arenaria compatta e interrato in tre lati, viene fornito da due scale laterali, la principale a due rampe e quella secondaria a una sola rampa attualmente inaccessibile. La struttura ha pianta rettangolare e il suo interno è suddiviso in due ambienti ricoperti da volte a botte tra loro comunicanti. Il primo ambiente presenta pregevoli forme architettoniche: è suddiviso in due vani da un sistema di cinque pilastri a sezione quadrata che sorreggono quattro archi a tutto sesto che compongono un cripto-portico. All’interno, si possono ammirare capitelli corinzi in marmo, capitelli a palmette e resti di colonne granitiche che testimoniano lo splendore originario della villa. L’intonaco che riveste l’interno è ben conservato e presenta delle incisioni poco profonde, lineari, abbastanza regolari, tracciate in senso orizzontale e obliquo (“a spina di pesce” o “a spiga”). Sulla parete rivolta a Ovest sono scavate alcune nicchie e un cunicolo di pochi metri di lunghezza, probabilmente tali lavori furono eseguiti in epoca recente da maldestri cercatori di tesori. Il pavimento è ingombro di terriccio ed altro materiale inerte. Al secondo ambiente si accede attraverso un varco realizzato sulla parete rivolta a Sud. Tale ambiente è di minori dimensioni rispetto al primo: l’interno è parzialmente interrato e presenta un vano a pianta semicircolare in corrispondenza del varco di accesso. La volta è rinforzata da archi realizzati in mattoni a vista. Per molti la struttura riprende l’architettura tipica della casa romana con due cortili interni ma in assenza di ricerche archeologiche appropriate questo luogo rimane un enigma. Come ci si aspetterebbe, anche intorno alla Grotta Trisulina ruotano alcune credenze popolari e leggende, come quella della “Tromba del Diavolo”. Secondo questa leggenda all’interno della Grotta Trisulina sarebbe custodito un antico tesoro mai rinvenuto, su cui grava una maledizione: per ottenerlo sarebbe stato necessario sparare tutti i colpi di una pi***la contro una figura misteriosa che apparirebbe all’interno dell’antro e che riguarderebbe proprio “Trisulina”, una donna col volto coperto da un velo nero. Alcuni riconducono il nome della leggenda al fatto che il tesoro fosse protetto dalla Tromba del Diavolo, ossia la pianta Datura metel L. proveniente d’Oriente, un vegetale realmente esistente e fortemente velenoso. Leggende a parte, le emozioni e lo stupore che regala il Comune di Zungri con l’enigmatico Insediamento Rupestre Degli Sbariati e la frazione fantasma di Papaglionti con la sua grotta magica difficilmente si possono trovare in gran parte del Sud Italia. Insieme agli amici di Mystica Calabria abbiamo visitato un angolo della nostra terra dal sapore misterioso, custode di un patrimonio di grande rilevanza storico-culturale che andrebbe rivalutato e valorizzato.
Alfonso Morelli team Mistery Hunters
Foto: Alfonso Morelli, Francesco Propato (copyright © all rights reserved)
Fonte: Commissione Nazionale Cavità Artificiali della Società Speleologica Italiana (CNCA-SSI)