02/11/2024
I viaggi della neve e la storia di Don Puddru
I viaggiatori che sin dal Seicento visitarono la Sicilia vennero a contatto con un elemento che attirò la loro attenzione e curiosità: si trattava della neve ghiacciata, utilizzata da ingegnosi cuochi come base principale per la manifattura di sorbetti di gusto diverso e per il rinfresco di bevande.
La neve arrivava in tutta l’Isola sulle mense dei monaci e dei nobili siciliani grazie a una rete di neviere poste a un’altitudine variabile dai 1100 a oltre 2800 metri, in siti oggi impensabili.
Sui monti più bassi, al di sotto dei 1000 m., bisognava costruire delle neviere ad hoc a dammuso o a cupola. Ben diversa la situazione sul territorio dell'Etna: si sfruttavano gli anfratti naturali o le grotte di scorrimento lavico, sempre poste a bacio. Se ben conservato, il contenuto poteva durare anche un anno ed essere impiegato in vari usi.
Infatti, veniva impiegata non solo a scopi alimentari, ma anche nella medicina, per bloccare febbri ed emorragie. La neve dell'Etna arrivava anche all'ospedale di Malta, e navi provenienti da Catania rifornivano anche la Tunisia. Il ghiaccio poteva essere opaco o cristallino: il primo era di poca durata e pieno di impurità e di residui vegetali, mentre il secondo, più pregiato, si formava molto più lentamente e rimaneva trasparente.
La tecnica di conservazione era sofisticata. La neve si accumulava da sé in grandi insenature, dette “tacche”. A ottobre venivano ripulite, togliendo pietre o sudicerie rimaste dall’estrazione di neve dell’anno precedente. Dopo che, a febbraio, la neve si era accumulata nelle infossature del suolo, una squadra di 50 o 60 operai si recava, in marzo, sulla montagna e con lunghe aste di ferro graduate registrava la profondità dello strato nevoso. Lo scavo si faceva nei punti dove lo spessore della neve raggiungeva i tre metri.
Il vero lavoro di preparazione dello scavo si faceva solo di notte, poiché di giorno sarebbe stato troppo faticoso a causa del calore solare che faceva fondere la superficie nevosa. Al lume della luna e delle torce, gli operai ricoprivano la superficie utilizzabile con uno strato di cenere alto 30 centimetri, con uno spessore doppio agli orli: lo scopo di tale copertura era difendere la neve dall’azione dei caldi raggi solari. In tal modo, si preparavano quattro o cinque tacche, a seconda dell’abbondanza della neve, che venivano aggiudicate a un imprenditore, passibile di una fortissima multa nel caso lasciasse Catania priva di neve.
Giunta l’estate, per raccogliere la neve si toglieva il mantello di cenere e si divideva la superficie in una rete di tanti rettangoli per mezzo di strumenti di ferro che raggiungevano fino a 1,50 metri di profondità. Durante il giorno, un po’ di neve fondeva al sole, e l’acqua che penetrava nei solchi scavati nella massa si congelava durante la notte seguente. In questo modo, la neve poteva essere divisa in blocchi parallelepipedi con le facce congelate. Questi blocchi venivano coperti con foglie di felci e di castagni, poi chiusi entro sacchi e trasportati con i muli, un paio per ogni animale. La neve veniva poi distribuita a Catania e nelle altre città vicine.
La proprietà della neve etnea apparteneva al vescovo di Catania, grazie alla donazione del Gran Conte Ruggero nel 1092. Nel 1412 Alfonso il Magnanimo emanò un privilegium riguardante diversi prodotti della Mensa Vescovile, inclusa la neve.
Solo nei primi decenni del XVI secolo si iniziò lo sfruttamento sistematico della neve, probabilmente per una crescente richiesta di sorbetti e per scopi terapeutici, consigliati dai medici per febbri forti, contusioni, malattie intestinali e, soprattutto, per le frequenti emorragie durante i parti.
Da quei tempi antichi, la raccolta della neve in concessione fu un'importante fonte di reddito per la curia. Numerose furono le vertenze legali con il senato di Catania nei secoli, di cui abbiamo traccia. Il vescovo rilasciava concessioni a potenti nobili per lo sfruttamento, mentre il senato imponeva dazi, scatenando le ire della curia. A volte, inoltre, l'Etna copriva con le sue colate i nevai, rallentando la produzione.
Con l'unità d'Italia, dal 1860 al 1871, la gestione clericale delle neviere venne sospesa, poi ripristinata con editto reale.
Alla fine del XIX secolo, a Catania sorsero fabbriche di ghiaccio artificiale. Il Cardinale Dusmet lottò contro la costruzione di tali fabbriche, che minacciavano le entrate della curia. Con il tempo, la chiesa p***e il controllo sul ghiaccio catanese, lasciando spazio a brillanti imprenditori che si occuparono della produzione della neve etnea.
Il più famoso di tutti fu don Francesco Leotta, che si stabilì a Fornazzo e avviò un commercio redditizio di neve e legname. Negli anni ’20, don Giuseppe (don Puddu), aiutato da figli e generi, fece costruire una funicolare di oltre 4 km per trasportare legname e neve dai boschi della Cerrita fino al paese.
Morto don Puddu, il figlio Salvatore estese la funivia fino al rifugio Citelli, continuando con successo l'attività intrapresa dal padre. Per un uso più duraturo e igienico, la neve veniva trasformata in ghiaccio tramite leggera compressione. La Società Teleferiche Etnee, fondata nel 1926, installò nel villaggio di Fornazzo delle presse per trasformare la neve in lastre di ghiaccio, trasportabili con camion verso Giarre, Acireale e Catania. Tuttavia, l’attività si fermò nel novembre del 1928 a causa dei danni provocati da una colata lavica sui piloni della stazione superiore della teleferica.
Così, tutto finì in un nulla, e la neve continuò a essere portata giù a dorso di mulo almeno fino al 1950.
Si deve a don Puddru l'effettiva creazione del paese di Fornazzo, luogo strategico per la logistica della neve, dove fece costruire la propria casa e dove dimoravano i lavoranti, occupati tutto l'anno tra neve e legna. Il nivaiuolo guadagnava una lira al giorno, con pane e vino a volontà, una paga non da poco per quei tempi.
La neviera di don Puddru da nivi esiste ancora, ma il tempo sta inevitabilmente cancellando le tracce di ciò che fu, senza nessuno che se ne occupi per tutelarne la memoria.
Fonti: Fabio Marzo, appassionato di monti e luoghi pizzuti con oltre 35 anni di esperienza sull'Etna; I viaggi della neve di Antonio Patanè; Il Vulcanico - Dalla “tacca” della neve alle gustose granite: l’affascinante storia della Neviera di Don Puddu di Antonio De Luca; Miette Mineo - Le neviere di Sicilia, un'attività economica scomparsa da tempo di Miette Mineo.