21/11/2024
Il Signore della Bruma
Il richiamo primordiale del Camoscio appenninico nella stagione degli amori
L’aria era satura di umidità e vento, una nebbia f***a avvolgeva i pendii rocciosi dell’Appennino, rendendo il paesaggio irreale, sospeso tra sogno e silenzio. L’unico suono che rompeva il velo ovattato era un soffio gutturale profondo, un richiamo primordiale che risuonava tra le vette.
Lui era lì, il maschio di Camoscio appenninico, come scolpito nella bruma. Il suo manto caratteristico si fondeva con le ombre dell’erba ingiallita, mentre il petto isabellino risaltava come una fiaccola in quella foschia pallida. Gli occhi, scuri come abissi, scrutavano il vuoto davanti a sé, ma la sua attenzione era tutta rivolta al vento. Lo annusava, percependo i messaggi invisibili che portava: odori di rivali, l’eco lontana di femmine pronte all’incontro.
Le corna, arcuate e nere come inchiostro, si stagliavano con fierezza contro l’orizzonte smarrito nella nebbia. Ogni muscolo del suo corpo sembrava teso, pronto, vibrante d’energia. Era una creatura del momento, un simbolo vivente del ciclo eterno della natura: la lotta, il corteggiamento, la vita che si rinnova.
Un passo deciso sull’erba bagnata lo portò più avanti, verso l’ignoto. Dall’alto di una cresta, lasciò andare un altro richiamo, profondo e gutturale, un suono che parlava di dominio, di desiderio e di promessa. La sua voce si p***e tra le pieghe della montagna, ma non era sola. Da qualche parte, tra le rocce e i dirupi, qualcuno avrebbe risposto.
Forse una femmina lo stava già osservando, nascosta nelle nuvole, scrutando la sua forza, la sua determinazione. O forse un rivale, altrettanto fiero, avrebbe raccolto la sfida, preparando lo scontro. Ma lui non aveva paura. Ogni fibra del suo corpo era nata per questo momento, per affermare la sua presenza contro la vastità del mondo.
E così restò lì, avvolto nel bianco, un re solitario che sfidava il tempo e la montagna, testimone e protagonista della grande danza delle stagioni.
Foto @ Marco Buonocore