03/11/2023
Al paese la nipote e il pronipote di GIROLAMO GIANDALIA!
Chi era questo dottor Giandalia? Che cosa fece in favore degli abitanti del paese di Caltabellotta? Esistono documenti che ne traccino il profilo umano e professionale? Chi si prese la briga di erigere la statua che lo ritrae, all'ombra della centenaria, poderosa, bellissima quercia? Al dottor Alberto D'Alberto, punzecchiato da Vincenzo Mulè, è nata allora l'idea di raccogliere qualcosa che riguarda il filantropo Girolamo Giandalia, e proporla ai posteri. La targa commemorativa scritta sul piedistallo del monumento, recita: "Al medico Girolamo
Giandalia nella cui statura umana v'è ricco insegnamento di vita i concittadini vicini e lontani qui posero additandolo ai posteri
12.04.1891 - 08.05.1953".
Vi dico subito che sull'insigne uomo, per quanto mi è dato sapere, di documenti ufficiali non ne esistono. Sappiamo, comunque, che è nato a Caltabellotta il 12 aprile del 1891 da Salvatore Giandalia e Mariantonia Campo, la quale contribuiva all'economia domestica lavorando come ricamatrice. Il padre, prima di diventare commerciante di cuoio e pellame, esercitava il mestiere di calzolaio. Il tremendo terremoto di Messina del 1908, fu paradossalmente una tragica circostanza favorevole al ciabattino, perché tra le ottantamila vittime trovarono morte anche i fornitori presso i quali aveva acquistato a credito un grosso quantitativo di merce, senza pertanto doverlo più pagare ad alcuno. Salvatore Giandalia ebbe così modo di costruire un oleificio e fare laureare il figlio in medicina. Una volta laureato, il Dottor Giandalia si dedicò con generosità e disinteresse alla sua professione, curando chiunque ne avesse bisogno, senza nulla chiedere, senza mai pretendere. In paese esistono ancora, per nostra fortuna, parecchie persone che l'hanno conosciuto e lo ricordano bene. Sicché, grazie le loro testimonianze, si possono accennare alcuni tratti caratteristici che dovrebbero aiutare ognuno di noi a farsene una pallida visione, anche se solo parzialmente tracciata, è ovvio. L'insegnante Vincenzo Mulè, mi ha raccontato che suo padre
Pellegrino, classe 1917, rammenta perfettamente un giorno di primavera degli anni 20, quando il Dott. Giandalia, acquistata una delle primissime automobili, imbarcò sulla sua macchina un nugolo di ragazzini di li Putieddi (Via Botteghelle), tra cui il papà, inviandoli a fare una passeggiata e un bagno nelle azzurre acque di Sciacca. Superato il rettilineo di Santa Maria, però, all'incirca presso l'attuale oleificio Cucchiara, incontrarono un contadino in groppa a un mulo, che alla vista dell'autovettura s'imbizzarrì sbattendo il povero uomo a terra. Il dottore fece scendere immediatamente i ragazzi dal veicolo, prestò i primi soccorsi al malcapitato, e poi con lo stesso partì alla volta dell'ospedale di Sciacca, raccomandando ai
ragazzi di aspettarlo. Dopo un paio d'ore d'attesa,
Giandalia ritornò con il disarcionato e un enorme vassoio pieno di pasticcini per i suoi piccoli ospiti, e aiutato il contadino, a quel punto pienamente ristabilito dalle cure ospedaliere, a salire sul suo quadrupede, partirono alla volta del mare.
Sempre il signor Pellegrino Mulè, detto Pinu Nturri, racconta: "Una sera alcune persone andarono al Circolo dei Civili, detto "Circulu di li Cavaddi", (ora Circolo di Cultura), a pregare il dottore di soccorrere una giovane donna proveniente da Sant'Anna che giaceva riversa su una scala a pioli usata a mo di lettiga. Dopo una veloce visita, Giandalia capì che la signora era vittima di un attacco di peritonite. Senza perdere un attimo, allora, chiese al giovane Peppino Turturici, all'epoca studente di
medicina che viveva vicino la piazza, d'andare a prendere
i ferri del mestiere. Fatta poi condurre la degente presso
la pensione che sorgeva dove adesso si trova il Bar Europeo, improvvisò un intervento chirurgico salvandogli la vita, e facendosi carico delle spese di vitto e alloggio che l'operata dovette sostenere per il soggiorno nell'improvvisato ospedale. Analogamente anche mio padre, dottor Armando D'Alberto mi descrive Giandalia come una grande persona. In lui l'altruismo e il tratto umano non sono stati certo inferiori al talento
clinico, che si esaltava soprattutto in fase di diagnosi. Tra le sue reminiscenze, mio papà menziona una mattina degli anni quaranta, quando il dottore uscito dalla casa di Via Turano, all'angolo di Via Botteghelle, ben agghindato come il solito, (sembra amasse avere cura della sua persona e vestirsi bene), percorse a piedi tutta la via Botteghelle, la via Daino, per fermarsi presso la farmacia D'Alberto, che in quel tempo si trovava in via Domenico Barbera. Giunto sul ballatoio della farmacia, allora collocata proprio all'inizio della discesa, aveva iniziato a passeggiare e conversare con mio nonno Pellegrino (del quale era buon amico), quando un signore trafelato lo venne a pregare di recarsi a casa sua nel quartiere del "Cozzo", nella parte bassa del paese, perché la moglie giaceva malata e bisognosa d'assistenza medica. Il dottore, alla richiesta dell'uomo che pure gli veniva compare, realizzò in cuor suo che doveva rifarsi nuovamente tutta quella strada a piedi, per cui andò su tutte le furie. Cominciò a sbraitare e inveire, si tolse il cappello, lo stropicciò, lo gettò a terra, lo calpestò, si agitò un altro poco, poi improvvisamente si
calmò, si ricompose, raccolse il copricapo, lo mise in ordine, se lo calcò sulla testa, e come se niente fosse prese l'uomo sotto braccio dicendogli, "amuninni cumpà", e via al "Cozzo" ad assistere la sofferente. Memorabili, racconta sempre mio padre, certe partite a biliardo tra don Francesco Grisafi, Vincenzo Caruso conosciuto come Don "Nsulu" e Giandalia, appunto. Si racconta che Don "Nsulu" avesse il potere di farlo uscire fuori dai gangheri, ogni qualvolta, tra una sigaretta e l'altra (fu accanito fumatore), che il Dottore imbracciava la stecca per accingersi a eseguire il suo tiro, lo incoraggiava con frasi tipo; "Gilò, chissa la sbagli", quando poi il Dottore falliva la giocata, s'incavolava di brutto, e rivolto al Caruso si sfogava: "Ma fari lu piaciri, ca quannu tiro io, tu unna parlari". Ed erano uno spasso. Mia madre lo ricorda come uomo di piazza, chiazzaloru direbbe qualcuno, al quale piaceva stare in paese tra i suoi concittadini. Invece, sposatosi il 29/07/1940 con la signora Maria Concetta Cavallaro, si trasferì suo malgrado a Palermo, in via Regina Margherita. Non per questo dimenticò i suoi compaesani. Anzi. Divenne il punto di riferimento dei caltabellottesi che bisognosi di cure specialistiche erano costretti a recarsi in quel di Palermo. Sono innumerevoli, a proposito, le testimonianze dei concittadini che furono da lui accolti alla corriera o alla stazione, e accompagnati in carrozza dai migliori professionisti della capitale, naturalmente tutto a sue spese.
A Palermo, a ogni modo, il
dottore continuò a prodigarsi ed esercitare la sua professione con la stessa abnegazione e disinteresse che sempre contraddistinse la sua esistenza. Il commerciante Vito Marciante di Filippo, detto Barbetta, mi ha raccontato di quando tra il 1946 e il 1947 si ammalò di tifo a Palermo, dove viveva in quel
tempo per completare gli studi di ragioneria. Ricorda nitidamente la presenza amorevole e pressoché costante del dottore Giandalia al capezzale del letto in cui giacque per più di due mesi lottando tra la vita e la morte. Giandalia poi, saputo che in Piazza Bologni la mattina presto erano disponibili alcune dosi di penicillina, pregò il padre del Marciante di procurarsene qualche dose con le quali riuscì a salvarlo per il rotto della cuffia. Purtroppo, il grande dottore che aveva curato, assistito, confortato, medicato, aiutato tantissime persone, nulla poté quando si ammalò la moglie. Così la signora Maria Concetta gli premorì. Benché avesse provato di tutto per strapparla alla morte, non essere riuscito a guarire la consorte fu per lui un colpo durissimo, che a quanto si disse allora, non riuscì mai a superare, tant'è che da lì a poco scomparve anche lui. Immensa fu la perdita, e il dolore delle persone che lo conobbero e amarono. Il suddetto Filippo Marciante, che era suo "compare di tazza" (testimone di nozze), pensò bene di organizzare insieme altri illustri uomini dell'epoca, un comitato che si occupasse d'innalzare un monumento che lo rammentasse ai posteri. Tra il 1956-1957 il mezzo busto a perenne memoria dello straordinario personaggio fu
celebrato alla presenza delle autorità e la cittadinanza tutta. Nel maggio del 2003, in occasione del cinquantenario della morte, al cospetto dei nipoti e delle due figlie, Renata e Maria Antonietta, il maestro Vincenzo Mulè ha organizzato una cerimonia a ricordo dell'indimenticabile dottor Girolamo Giandalia, il fioraio Giuseppe Barbiera invece, ha
curato a titolo gratuito la pulizia e il ripristino del piedistallo che sorregge l'effigie dell'illustre medico. Una messa in suffragio celebrata presso la Chiesa di
Sant'Agostino, arricchita da interventi dell'insegnante Vincenzo Mulè e del prof. Vito Turturici, ha rinverdito nei cuori dei presenti la straordinaria figura di quest'uomo "gigante" di umanità, virtù, bontà. Vegli su lui, sempre, la nostra ammirazione e il rispetto di tutti i caltabellottesi.