25/04/2021
Anche le migliori intenzioni possono essere dannose, meglio sapere come comportarsi 💝
PRONAZIONE
Si tratta senza dubbio di un concetto che in genere non viene assimilato facilmente per ragioni riconducili all’emotività. In primavera, approssimativamente dalla seconda metà di aprile alla fine di giugno, capita sovente di rinvenire nel bosco giovanissimi cervidi: caprioli, daini, cervi. Il loro comportamento può suscitare dubbi e perplessità: acquattati nella vegetazione, rimangono immobili nonostante la vicinanza dell’osservatore. Questi piccoli vengono spesso raccolti perché creduti “abbandonati” dalla madre o perché, a causa della loro immobilità, vengono ritenuti in difficoltà. Magari deboli e/o debilitati perché non in grado di correre e fuggire all’avvicinarsi di un essere umano.
In realtà, si tratta di un comportamento assolutamente normale detto “pronazione”. I giovani cervidi (dalla nascita a due/tre settimane di vita) presentano una struttura fisica ancora troppo esile per poter correre e fuggire efficacemente dai predatori: istintivamente, rimangono immobili nell’erba alta perché la loro migliore arma di difesa è il mimetismo criptico. Sono perfettamente attrezzati per nascondersi, poiché la pomellatura (macchiette bianche su fondo scuro, che sbiadiscono fino a sparire con la crescita) della loro pelliccia li rende praticamente invisibili nel chiaroscuro del sottobosco e hanno ancora un odore tenue, quasi impercettibile. Cercano dunque di passare inosservati: se dovessero lanciarsi nella fuga all’avvicinarsi di una minaccia verrebbero facilmente individuati e predati, considerata la loro corsa ancora incerta e barcollante. La tattica vincente è quella di non farsi scorgere. Non si tratta dunque di animali in difficoltà, ma della norma etologica quando si parla di cervidi. Questi giovani non vanno raccolti e non andrebbero nemmeno toccati: non sono stati abbandonati come comunemente si crede. Comprensibilmente, a causa dell’empatia suscitata dalla loro bellezza, si può essere portati a pensare che la madre sia morta o che sia stata uccisa e si è portati a prelevare questi piccoli per prendersene cura. Tuttavia sarebbe un grave errore: la madre gravita sempre nei dintorni, ma si tiene a distanza dal giovane per non attirare troppo l’attenzione dei potenziali predatori che potrebbero trovarlo. Dopo aver “parcheggiato” il piccolo, torna regolarmente a prendersene cura e ad allattarlo. Questa situazione va avanti alcune settimane fin quando il giovane, ormai in grado di reggersi sulle zampe, non inizia a seguire attivamente la madre.
Raccogliere il piccolo, seppur in buona fede, è a tutti gli effetti un atto di bracconaggio. Significa inoltre sottrarlo alle cure della madre, dunque assottigliare esponenzialmente le sue possibilità di sopravvivenza già esigue in natura. Come spiegato in altre occasioni, la detenzione di fauna selvatica è reato: questi piccoli hanno inoltre una mortalità già molto alta in natura, crescerli in casa significherebbe anche condannarli a morte quasi certa. Ma anche facendoli pervenire a un CRAS, le loro possibilità di farcela sarebbero poche a causa delle criticità che comporta la loro cura e la loro gestione. E anche nel migliore dei casi, una volta cresciuti avrebbero alte probabilità di diventare animali confidenti e non rilasciabili in natura per ragioni più che comprensibili. Un gesto apparentemente nobile, dunque, rischia di compromettere/rovinare per sempre la vita dell’animale che si crede erroneamente di dover “salvare”. E potrebbero esserci gravi conseguenze anche per la madre, che spesso cerca per ore -o anche per diversi giorni- il piccolo senza trovarlo e, per questa ragione, può andare incontro a un forte periodo di stress. Il mancato allattamento, inoltre, può provocare problemi alle mammelle (mastite).
Talvolta anche solo toccare/accarezzare il giovane può comportare gravi conseguenze: la madre, percependo un odore insolito sulla prole, potrebbe insospettirsi. A causa della sua diffidenza e dello stress causato da un odore diverso, potrebbe addirittura smettere di occuparsi del piccolo.
La regola, dunque, deve tassativamente essere una: non toccare mai (mai!) questi giovani animali. L’etica può eventualmente suggerire un intervento solo quando questi piccoli sono in evidente difficoltà: la presenza di ferite, larve e/o uno stato di palese debilitazione fanno parte del ciclo naturale delle cose, ma perlomeno giustificano un'intromissione.
In generale, in caso di incontro con questi animali non bisogna rimanere ad osservarli, non bisogna pensare di doverli tenere d’occhio e/o di doversi anche solo mantenere nei dintorni. La madre non si farà vedere né si avvicinerà fintanto che percepirà la presenza umana nei paraggi. Allontanarsi, in silenzio e come se niente fosse, per interferire il meno possibile: Madre Natura non ha bisogno del nostro intervento.