03/02/2025
presidio Slow Food della insieme al pane di patate connubio perfetto
🐷 𝐁𝐢𝐫𝐨𝐥𝐝𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐆𝐚𝐫𝐟𝐚𝐠𝐧𝐚𝐧𝐚: 𝐢𝐥 𝐬𝐚𝐩𝐨𝐫𝐞 𝐚𝐧𝐭𝐢𝐜𝐨 𝐝𝐢 𝐮𝐧’𝐚𝐫𝐭𝐞 𝐧𝐨𝐫𝐜𝐢𝐧𝐚. C’è un insaccato che affonda le sue radici nella storia rurale della Garfagnana, una terra dove la montagna detta legge e la cultura contadina ha saputo trasformare ogni parte del maiale in un piccolo capolavoro gastronomico. Parliamo del biroldo, un salume che, più che un cibo, è un racconto di fatica, ingegno e tradizione.
In un’epoca in cui nulla andava sprecato, il maiale era il centro della dispensa contadina. Si diceva che “del maiale non si butta via niente”, e mai detto fu più vero nel caso del biroldo. Questo insaccato, morbido e speziato, nasce proprio dalla necessità di impiegare le parti meno nobili dell’animale testa, cuore, lingua, cotenne, e in alcune varianti persino il polmone donando loro una nuova vita sotto forma di un impasto saporito e profumato, arricchito dal tocco magistrale delle spezie locali.
𝐔𝐧𝐚 𝐫𝐢𝐜𝐞𝐭𝐭𝐚 𝐭𝐫𝐚𝐦𝐚𝐧𝐝𝐚𝐭𝐚 𝐭𝐫𝐚 𝐥𝐞 𝐦𝐚𝐧𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐝𝐨𝐧𝐧𝐞
La preparazione del biroldo è un’arte che richiede pazienza e perizia, tramandata per generazioni, spesso affidata alle mani esperte delle donne di casa, custodi dei segreti norcini. Il processo è lungo e minuzioso: si parte dalla bollitura della testa del maiale per diverse ore, fino a renderla tenera e facilmente lavorabile. Una volta disossata, la carne viene sminuzzata con precisione quasi chirurgica e mescolata con sangue, sale, pepe e un trionfo di spezie che rendono unico ogni biroldo.
Il fi*****io selvatico è la firma inconfondibile di questo insaccato, ma ogni famiglia aveva (e talvolta ancora ha) la sua personale alchimia di sapori: chi abbonda con la noce moscata, chi osa con una punta di cannella o anice stellato, chi aggiunge un soffio d’aglio. Il tutto viene poi insaccato nella vescica o nello stomaco del maiale noto localmente come buzzetto per essere nuovamente bollito e, infine, lasciato raffreddare sotto pressione, così da eliminare il grasso in eccesso e ottenere la giusta consistenza.
𝐈𝐥 𝐬𝐚𝐩𝐨𝐫𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐦𝐞𝐦𝐨𝐫𝐢𝐚
Una volta pronto, il biroldo si presenta come una pagnotta rotonda, dal colore bruno-rossastro e dal profumo intenso, quasi ipnotico. Al taglio, la fetta si mostra compatta ma morbida, con le spezie che danzano tra le note ferrose del sangue e la dolcezza della carne lessata. In bocca è una sinfonia equilibrata, dove il sapore deciso non sovrasta mai l’eleganza delle spezie.
Tradizionalmente, il biroldo si gusta affettato spesso, accompagnato da un pane rustico come quello di castagne o di patate, che ne esalta la morbidezza e la complessità aromatica. Ma c’è chi lo ama scaldato in padella, magari servito con una polenta di neccio, in un connubio che richiama i pasti semplici e robusti di un tempo.
𝐔𝐧 𝐜𝐢𝐛𝐨 𝐝𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐢𝐜𝐚𝐭𝐨 𝐞 𝐫𝐢𝐭𝐫𝐨𝐯𝐚𝐭𝐨
Eppure, nonostante il suo fascino ancestrale, il biroldo ha rischiato di scomparire dalle tavole. Per anni è stato considerato il simbolo di un passato povero, un ricordo dei tempi in cui si mangiava ciò che c’era, senza troppe scelte. Gli anziani della Garfagnana, ancora oggi, storcono il naso al solo sentirlo nominare, memori di stagioni dure in cui il biroldo non era una prelibatezza, ma una necessità.
Ma come accade spesso con i sapori autentici, il biroldo ha saputo riconquistare il suo spazio, grazie alla passione di pochi artigiani e al sostegno del 𝐏𝐫𝐞𝐬𝐢𝐝𝐢𝐨 𝐒𝐥𝐨𝐰 𝐅𝐨𝐨𝐝, che ha riunito i produttori locali in un’associazione per proteggerne la tradizione e promuoverne la conoscenza. Oggi, lo si trova ancora in macellerie selezionate della Garfagnana e, con un po’ di fortuna, in alcune città toscane vicine a Lucca.
𝐔𝐧 𝐢𝐧𝐯𝐢𝐭𝐨 𝐚𝐥 𝐩𝐢𝐚𝐜𝐞𝐫𝐞 𝐬𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨
Assaporare un biroldo significa compiere un viaggio nella storia gastronomica di una terra fiera, fatta di boschi e borghi arroccati, dove il cibo era (ed è ancora) espressione di cultura e identità. È il simbolo di un’arte norcina che resiste, un salume che parla di mani sapienti, di tempi lunghi e di sapori veri.
Così, se vi trovate tra le montagne della Garfagnana, lasciatevi tentare: cercate il biroldo, fatelo scivolare sulla lingua, chiudete gli occhi e lasciate che il gusto vi racconti una storia antica, intensa e, soprattutto, indimenticabile.
Quello in foto è quello che ho degustato al 𝐕𝐞𝐜𝐜𝐡𝐢𝐨 𝐌𝐮𝐥𝐢𝐧𝐨 𝐚 𝐂𝐚𝐬𝐭𝐞𝐥𝐧𝐮𝐨𝐯𝐨 𝐆𝐚𝐫𝐟𝐚𝐠𝐧𝐚𝐧𝐚
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