07/03/2024
i nostri tetrapodi . Soli contro il mare .
In prima linea contro il mare in burrasca
Uno sguardo ai tetrapodi: i frangiflutti delle dighe
La loro vista, per chiunque sia giunto, almeno una volta, alla fine della Diga di San Nicolò, di Punta Sabbioni, degli Alberoni, di Santa Maria del Mare o di Sottomarina ha significato l’arrivo al “traguardo”.
Il loro aspetto, per quanto originale, fa subito pensare che, nonostante l’Adriatico non sia il Mediterraneo e nemmeno l’Oceano Atlantico, il mare quando è in burrasca ha comunque una potenza impressionante.
Oggi, abbiamo pensato di soffermarci un attimo a parlare di queste particolari strutture frangiflutti, in calcestruzzo, tecnicamente chiamate “tetrapodi” che troviamo anche alla fine delle principali dighe del litorale veneziano.
Il loro nome, derivante dal greco, fa riferimento al fatto che sono formati da quattro piedi aperti, dove ogni piede è a 109,5° dagli altri tre, come nelle molecole tetraedriche
Sono stati inventati in Francia, agli inizi degli anni ’50 del secolo scorso presso il Dauphinois Hydraulics Laboratory di Grenoble, (che ha poi cambiato nome in “Artelia”) in collaborazione con la società Neyrpic.
Nello specifico, gli studi sono stati condotti dall'ingegnere Pierre Danel e dal Dr. Paul Anglès d'Auriac, portando a un brevetto.
Ora si possono trovare impiegati in tutto il mondo: sono particolarmente usati in Giappone e alle Maldive ma anche in altre località e anche qui da noi, nelle nostre dighe.
La loro forma risulta doppiamente efficace in quanto permette sia di infrangere l’onda in modo meno impattante rispetto ai frangiflutti di vecchia concezione (che tendevano a spostarsi con l’azione del mare), che di concatenarsi tra loro durante la messa in opera, creando così una sorta di “maglia” estremamente compatta, solida ed efficace.
Vengono realizzati riempiendo degli appositi stampi: in base alle loro dimensioni essi possono pesare indicativamente da 0,78 a 50 tonnellate.
Un prezioso ricordo in merito alla realizzazione dei tetrapodi della diga degli Alberoni, ci è stato gentilmente fornito dal Sig. Renato Tiso, membro della storica famiglia che da oltre settant’anni è il punto di riferimento per l’edilizia lidense e particolarmente famosa per la produzione di calcestruzzo.
Il Sig. Tiso, ancora con emozione, ricorda di quando (dopo l’alluvione del 1966) alla guida di una betoniera raggiungeva la sommità della diga: qui, il calcestruzzo trasportato veniva traferito all’interno degli stampi che avrebbero dato forma al tetrapode che, successivamente, sarebbe stato messo in opera per mezzo di una gru.
Testo: Debora Gusson – Riccardo Roiter Rigoni
Fotografia: Riccardo Roiter Rigoni