28/05/2024
LE QUERCE DI COLLEDARA: "FIGLIE D'ARTE"
Le due roverelle che troviamo all’interno del paese di Colledara (TE), distanti pochi metri l’una dall’altra, potremmo definirle “figlie d’arte”. Spieghiamo perché. Fino a circa un secolo fa, esisteva a Colledara una di quelle querce gigantesche che oggi non faremmo fatica a considerare un esemplare di pianta monumentale superlativo. Tutti nella zona (non solo a Colledara) ne erano a conoscenza ed era nota come la “Quercia del Farinelli”, dal nome di colui che all’epoca era il suo proprietario, Paoluccio Farinelli. La maestosità dell’albero era tale che lo scrittore, nativo di Colledara, Fedele Romani (1855-1910), la menziona e ne parla con affetto nel suo libro di memorie, Colledara (1907). Ascoltiamo dallo scrittore stesso quali erano le caratteristiche di questo gigante e quale fosse l’uso che se ne faceva: «E, se c’erano tante piante che amavo, ce n’era anche una per cui provavo, più che amore, un sentimento quasi di venerazione […] La pianta venerata era la cosiddetta quercia di Farinelli, vecchio quercione maestoso a cui i secoli avevano scavato a poco a poco le viscere. Essa vive ancora; e la sua circonferenza, specialmente alla base, è così vasta, che nell’interno possono abitare comodamente alcuni maiali. La buona quercia fornisce loro il nutrimento con le sue ghiande e il ricovero con le ampie cavità delle sue viscere. Ma non è molto lontana dalla sua fine: le sue braccia e le sue chiome si vanno facendo sempre meno ricche e meno lunghe, e già non rispondono più alla ventraia. Il proprietario di codesto albero venerando era Paoluccio […] Egli soleva mostrare con orgoglio ai visitatori la sua quercia, e forse gli pareva che il merito di quella lunga vita si riflettesse, in certo modo, su di lui. Aveva adattato alla piccola apertura che dava adito alle cave caverne una rozza porticina e una sbarra; e dalle fessure, mentre egli da bravo cicerone esaltava i meriti e l’utilità di quel monumento vegetale, spesso s’affacciavano, grugnendo, e soffiando, quasi a dar credito alle sue parole, i neri irrequieti musi, sudici di crusca, di tre o quattro maiali» .
Come ci narra uno degli attuali discendenti viventi della famiglia di Paoluccio, Paolo di Sabatino, la grandiosa quercia, deceduta negli anni ’20 del secolo scorso, prima di scomparire ha lasciato alla posterità due discendenti: in quella che un tempo era la proprietà del Farinelli, oggi vivono, a distanza di una decina di metri, due roverelle monumentali, quasi certamente figlie del quercione ricordato dal Romani. Quella che presenta una minore circonferenza (4, 25 m), sita all’interno del cortile del resort gestito da Paolo, vanta maggiori qualità estetiche; la più grande, posta proprio all’angolo della via, mostra una chioma ridotta da recenti potature e un tronco possente di 4, 55 m di circonferenza. Quest’ultima, tuttavia, negli ultimi anni sta ricostituendo la sua chioma in maniera ammirevole, mostrando grandi capacità di ripresa. La minore vanta invece una chioma ombrelliforme e un tronco slanciato e regolare che ne fanno una roverella di vero pregio. Il proprietario si dichiara molto affezionato alla quercia che vive nel suo cortile, tanto da prendersene cura periodicamente e accogliendoci con squisita ospitalità quando mostriamo interesse per il bell’albero. È proprio Paolo a informarci del fatto che le due roverelle sono le figlie di quella assai più celebre, morta un secolo fa, descritta anche dal Romani. Ascoltato questa bel racconto, non possiamo che salutare il nostro amico e le due roverelle con la soddisfazione di aver rintracciato due piante figlie di un esemplare di quercia storica, come è possibile apprezzare in una immagine del 1922, che Paolo ci mostra con orgoglio, indicando nella vecchia foto alcuni suoi antenati posizionati accanto all’enorme tronco.
Francesco Nasini