13/05/2020
Presto torneremo a viaggiare ma, siccome la situazione adesso è davvero incerta, proviamo a fare affidamento sui libri di viaggio. Sul planisfero appeso al muro, quello da grattare come se fosse una ricaricard, ci sono ancora numerose città che aspettano di essere cancellate con una moneta - per dire: "Ci sono stato". E, mentre prima spendevamo soldi e tempo a cercare la prossima meta delle vacanze, spesso oltre confine, in un posto lontano e magari sconosciuto, oggi ci perdiamo in pensieri come: "Sarei dovuto andarci prima, a New York" oppure: "Chissà quando potrò tornarci ad Amburgo".
Oggi sappiamo dove inizia e finisce la nostra stanza, guardiamo all'uscio di casa come la fine della sicurezza e il mondo fuori come l'inizio di una giungla a cui prestare molta attenzione - nella cura di noi stessi, nell'igiene più attento. Forse, tutta questa situazione ci ha riportati con i piedi per terra mentre prima stavamo in volo. Forse, ci renderemo conto che la due giorni a Parigi o a Berlino fosse un lusso su cui abbiamo puntato molto, spendendo poco, e su cui abbiamo investito fughe dalla realtà che viviamo. Per rompere col presente, per farci travolgere da input inaspettati e culture nuove, abbiamo interpretato il viaggio come evasione - come se fosse la nostra città a non bastarci, e non solo la nostra casa.
Ma, in questi anni, qual è stato il bagaglio di una toccata e fuga in un'altra città? Ci sono bastati davvero due giorni per conoscere alla perfezione Venezia o Anversa? Madrid o Cracovia? No. Perché - sappiamo bene - le culture sono un mappamondo da esplorare, che hanno certamente bisogno di giorni, mesi o, a volte, anni per raccontarsi. E noi, questa cosa, l'abbiamo un po' presa sotto gamba. Abbiamo comprato voli aerei per Londra a 7,56 € (che cifre piccole e improbabili) per poi perderli per una festa di compleanno di cui ci eravamo dimenticati o un improvviso impegno di lavoro. Ma tanto si poteva ripartire: "Ci andrò un'altra volta" - ci siamo detti - "Al prossimo black friday di Ryanair, lo ricompro". Troppo facile. Il viaggio non è (solo) questo. E ce lo insegna, da sempre, la letteratura.
Ora, che siamo costretti dentro i confini, nei nostri paesi e nelle nostre regioni, ci siamo trovati a fare i conti con un mondo da guardare dalle nostre finestre. Immaginandolo. E leggendolo. La letturatura di viaggio è un papiro infinitamente lungo le cui radici si perdono nel tempo. Perché il viaggio, nei libri soprattutto, è un caposaldo della ricerca, una colonna dell'erudizione, ma anche un gelato a più gusti: "i reportage giornalistici su riviste patinate, i pezzi più espressamente di resoconto dei grandi scrittori, i racconti contenuti nelle guide turistiche, fino ad alcuni cicli mitologici che fanno del viaggio la cornice principale del proprio svolgimento narrativo. Ad accomunare questo arcobaleno (...) di registri stilistici, di finalità informative, di prospettive affabulatorie, sta il tentativo della scrittura di raccontare l’esperienza di attraversamento dei luoghi, la percezione del movimento, l’ebbrezza della conoscenza geografica: in una parola, l’esperienza concreta e sfuggente del viaggio" (La letteratura di viaggio, Istituto Italiano Edizioni Atlas). E tutti questi media, che nel tempo ci hanno insegnato che viaggiare fosse come passeggiare sotto casa, ci hanno fatto un po' perdere quello che sta all'origine del viaggio: ritrovare se stessi e incontrare quello che (ancora) non ci è noto.
Pensiamo a Odisseo, primo viaggiatore dell'Occidente, narratore di incontri in luoghi sconosciuti, ha interpretato il viaggio come un percorso a tu per tu con se stesso. E, per fortuna, quell'insegnamento, così profondo e così viscerale, lo ritroviamo anche nella letteratura moderna. Ricordate il protagonista di Conversazione in Sicilia (1941, Bompiani)? Il grande Elio Vittorini fa tornare il suo Silvestro nella bellissima Sicilia di Scicli, attraverso un viaggio allegorico che altro non è che un ritorno alle origini. E via con una centrifuga di sofferenze tutte da leggere, con, sullo sfondo, un viaggio in un presente dalle lancette dell'orologio ferme. Vittorini e molti altri scrittori italiani, come Emilio Cecchi, Vincenzo Cardarelli, Antonio Baldini, Paolo Monelli, Mario Soldati - diciamo pure che la letteratura italiana del Novecento abbia giocato un ruolo chiave - hanno avuto l'onore di "mettere le capacità affabulatorie della scrittura a servizio della riscoperta dei luoghi, promuovendo uno sguardo straniante, a volte palesemente deformante, che non rassicura ma depista" (La letteratura di viaggio, Istituto Italiano Edizioni Atlas). Forse perché siamo abituati a viaggiare attraverso luoghi esotici, che sembravano dietro l'angolo prima dell'emergenza Covid-19, oppure perché la televisione ci ha bombardati di documentari - e allora sì che abbiamo assunto che sarebbe stato facile andare alle Hawaii. E alla fine è stato facile davvero.
Ora, che non è più così scontato, i viaggi nei romanzi tornano a brillare. Che fascino devastante leggere di una trama con le valigie. Da lettura d'un fiato, il recentissimo romanzo dell'africana Chimamanda Ngozi Adichie, Americanah (2013), una storia di viaggio di studenti in formazione, che, da Lagos, in Nigeria, arrivano spaesati in America e in Inghilterra per poi tornare a guardare il loro orizzonte d'origine con altri occhi. Ed è bellissimo, non solo per la storia in sé, ma perché, quando la finzione intreccia posti veri, si sgretola il confine labile di invenzione e realtà accendendo una centrifuga di immaginifico contrasto. Alla Steinback (Premio Nobel alla Letteratura 1962), che nel 1939 pubblicò Furore (titolo in lingua originale The Grapes of Wrath) - segnando la storia americana della Grande Depressione. Qui, a sognare la California, ad attraversare la Route 66, è una famiglia in cerca di fortuna verso il tanto agognato West. Un capolavoro, questo, che rientra nella letteratura odeporica ma anche in quella sulla migrazione.
E poi, ovviamente, c'è anche la letteratura di viaggio descrittiva, e - diciamo pure - in Italia possiamo vantare nomi di autori di un certo livello. Deve piacere, ma Tiziano Terzani se l'è giocata bene la scoperta dell'Asia, per esempio con La porta proibita (1984). Prima di lui anche Moravia, con Un'idea dell'India (1962), o Pier Paolo Pasolini, con L'odore dell'India (1962), hanno saputo descrivere un Oriente che negli Anni Sessanta del Novecento italiano era davvero lontano. Di questo filone letterario in viaggio è preziosa la dimensione biografica, la percezione del tempo - che è un tempo proprio all'autore e non della trama. Come stare a lezione con Savinio, che, in Ascolto il tuo cuore, città (1944), viaggia in una Milano-museo, o con Lawrence Osborne, flaneur spaesato e pieno di meraviglia in Bangkok (2009).
Viaggiare è un piacere che inizia (anche) dalla letteratura. Passa dai romanzi ai reportage, dalle carte geografiche alle collane come la The passenger di Iperborea. Quando torneremo a viaggiare, ricordiamo che il viaggio è un lusso che inizia (anche) sulle pagine dei libri. Oggi, usiamoli per sostituire il Terminal 1.
(fonte elledecor.com)