27/09/2019
❤
Non amo via Toledo. Troppi franchising, troppo rumore, troppi scempi. Ma oggi a ora di pranzo son dovuta passarci per forza. In tutto quel rumore un urlo si è levato sopra gli altri, come succede spesso in tante zone di Napoli. Una giovane signora. Lì per lì penso sia napoletana e stia comunicando con qualcuno molto lontano, verso piazzetta Augusteo. Poi si gira e grida la stessa cosa verso l'alto, verso piazza Ca**tà. Grida e tiene le mani sul volto. Accanto a lei compare alla mia vista un vigile urbano. Il primo pensiero è uno "scippo". Ma la signora ha ancora la tracolla. E il marito accanto. In un attimo realizzo che stava gridando un nome, il nome di suo figlio. In russo. E tutta Toledo deve aver realizzato, perché di colpo si è creato silenzio. Ma non un silenzio attonito, spaventato. No, stavamo tutti zitti per far giungere al bambino la voce della madre. Hanno iniziato a camminare spediti in salita, seguiti dal vigile e dal quel silenzio surreale, e li ho seguiti d'istinto. Si sono fermati all'altezza della metro, ci siamo avvicinati io e un'altra ragazza per chiedere una foto del bambino. La mamma continuava a guardarsi intorno disperata, il padre ci mostra una foto e ci descrive il bambino. Non siamo più solo io e la ragazza, ma una decina di persone e ci passiamo le informazioni in italiano, inglese, napoletano. Qualcuno è lì solo per dire che i cellulari sempre in mano ci fanno perdere di vista i figli. Mi rimetto a cercare, arrivo da Leonetti, il negozio di giocattoli, perché quando ero piccola tolsi dieci anni di vita a mia madre sparendo nella folla per andare a sedermi su una giostra. Non l'hanno visto. Ritorno alla fermata. Una signora sta stringendo la mano alla mamma seduta nell'auto della polizia municipale. Un signore fa gesti al marito chiedendo, in napoletano, se la signora vuole un caffè. Un'altra urla "controlla 'a bancarella, vaco a cercà ccà addereto".
Mi lancio in un bar e prendo due bottigliette d'acqua, una per me e una per la mamma. Mi avvicino alla macchina, gliela porgo e le dico "please, drink". Poi con tutto il coraggio e la convinzione di questo mondo, trattenendo le lacrime, le dico "don't worry, we're in Naples. Someone will find him and bring him to you." E ci credo. Ci credevo fortemente. L'ansia mi mangiava viva ma ne ero sicura. Napoli non mi ha mai dato tanta sicurezza come stamattina, mentre cercavo il bambino. Ho detto quella frase e la madre mi ha guardato come chi ti darebbe la vita, in quel momento, pur di credere al tuo tono rassicurante. È durato un secondo. Forse meno. Forse non parlava nemmeno inglese come il marito. Qualcuno ha richiamato con forza la sua attenzione, il bambino era lì. Lo avevano trovato, al porto, lontanissimo da dove stavamo cercando.
Il bambino sorrideva, dopo aver visto la madre e sentito tutta la sua disperazione in un abbraccio piangevano assieme. Piangevo anch'io, piangevano altre donne, e stringevo la mano di Francesco che era rimasto per tutto il tempo tranquillo nel suo passeggino, su e giù per via Toledo. Sono partiti applausi, grida, sospiri di sollievo. Tanti consigli non richiesti, soprattutto in napoletano, dai vigili, i poliziotti, il venditore ambulante, la vecchia che poco prima cercava di calmarli. Sono letteralmente scappati e la folla velocemente si è diradata per tornare alla propria vita.
Esausta, ho preso un taxi per tornare.
Il tassista ignorava quello che era successo, un settantenne nonno di 6 nipoti. Mi ha parlato di loro per tutto il tragitto,traboccante d'amore e orgoglio.
Anche questo è Napoli.
E oggi, bella Napoli, ti voglio proprio bene.