19/03/2022
Il selvaggio nel cuore,
- La natura che infonde timore -
Al contrario di quanto gli stereotipi promossi dalla comunicazione di massa ci portino a pensare, la natura nella sua forma selvaggia è un’entità non sempre attraente per tutti: spesso si rivela spaventosa, perturbante.
La natura selvaggia, la wilderness, non è il rassicurante paesaggio alpino nel quale le masse si consegnano per le vacanze. E neppure la natura monumentale delle alte montagne - il Cervino, il Monte Bianco, la Marmolada - che attraggono sulle loro forme slanciate migliaia di occhi incantati.
Il selvaggio è altro, e ha a che fare in primo luogo con l’assenza dell’uomo. Anche un antico borgo abbandonato e assimilato nel bosco ha dunque qualche cosa di selvaggio, e ci evoca la soverchiante potenza della natura, dove l’umano è dominato dal non-umano. Foreste intricate (come quella di Sasso Fratino), borghi abbandonati (come in Val Grande), altipiani marginali (come Piazza del Diavolo) sono luoghi del selvaggio, e sono Riserve dello Stato (in tutto una dozzina quelle integrali).
La parola natura (dal verbo latino nasci) rimanda a una sorta di impulso iniziale, alla nascita che unisce tutte le cose. E ci evoca un’idea materna del nostro pianeta: la “Madre Natura” di cui tutti siamo figli. Ma, come detto, la wilderness ha tutto in sé fuorché la dimensione rassicurante di vicinanza con l’abbraccio materno. L’ululato di un lupo evoca sgomento e paure antiche, ci porta lontano da ciò che ci è famigliare. Ma è proprio quell’alterità ferina che può sedurre, perché ci fa sentire più piccoli e nudi di fronte alla realtà delle cose che ormai ignoriamo.
di Marco Albino Ferrari
📖: come ormai avrete capito, qualche mese fa è nata una bella collaborazione tra Alto-Rilievo e Marco Albino Ferrari. Ogni tanto, come in questa occasione, riprenderò le riflessioni da lui pubblicate sulla sua nuova pagina (che, ovviamente, vi invito a seguire ---> Marco Albino Ferrari).
📷: foto di Emanuele Biggi