20/02/2018
Pulizie di primavera a Villa castelnuovo
La letteratura classica elevò la mente del Principe Castelnuovo nel campo della meditazione, e non fu insensibile ai moti del cuore tentando la poesia.
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Breve storia di Carlo Cottone Principe di Castelnuovo e di Villaermosa
Il 30 settembre del 1754 segna la data della natività di un uomo che i patrioti ed i filantropi d' ogni tempo vorranno conoscere: quella di Carlo Cottone, Principe di Castelnuovo. Unigenito e di nobile prosapia, Carlo Cottone non volle seguire l' indirizzo educativo della propria casta, che risentiva del convenzionalismo arist
ocratico; e, traendo vita modesta e casalinga, diessi per tempo agli studj letterarj. Giovinetto ancora, mostrò morigeratezza e sobrietà di gran lunga superiori all' età sua; e poi, fatto adulto, diventò prototipo di fierezza e di inflessibilità nella vita pubblica e privata. Il Principe Gaetano Cottone e la Contessa Cedronio, che si tenevano in Palermo col fasto medioevale, educarono, altresì, il figliuolo Carlo alle arti cavalleresche; ma non poterono vincere la sua innata ripugnanza alle mollezze signorili ed alle pompe gentilizie, avverso le quali oppose tale rigidezza, che più tardi si tradusse in assoluta inesorabilità: la nota dominante del suo carattere , per cui divenne proverbiale in Sicilia. Messe al bando la retorica e la poesia, Carlo Cottone meditò sui libri di Filosofia in voga verso la metà del secolo XVIII; e, per quanto la oscurità dei tempi lo consentisse, attinse alle idee della Riforma, che preludiavano in Francia il trionfo della ragione sul privilegio di casta e sull' oscurantismo teocratico. La memorabile rivoluzione francese del 1789 fermò nella mente del Principe Castelnuovo la speranza del reggimento della Sicilia a libertà; e le felici iniziative dei Vice-Re Caracciolo e Caramanico, che presentirono i tempi nuovi, lo convinsero dell' attendibilità di un governo liberale. Però, l' opera benefica di tali Statisti, dei quali è cara la ricordanza, dovea riuscire poco duratura. I moti rivoluzionari della Francia aveano messo termine alle velleità innovatrici della Corte di Napoli; e la perfida Maria Carolina d' Austria, imponendosi al Re Ferdinando I° con propositi virili superiori a quelli della madre Maria Teresa, avocò a se il governo delle Due Sicilie, né vi fu mezzo iniquo che non tentasse per atrofizzare i germi della libertà. La reggia, le pensioni, i ritrovi licenziosi e perfino le grazie personali furono messi a prova dalla Regina a quello intento nefasto; e fu voce che il veleno troncasse la vita del Vicerè Caramanico il 9 gennaro del 1795, perché l' Acton, di lui indegno successore, ma favorito dalla Regina, spadroneggiasse in Palermo e rendesse possibile la Presidenza rappresentativa dell' Arcivescovo Lopez y Royo, che fu simbolo di oscurantismo e di regresso. Allora le liberali franchigie dell' Isola furono manomesse per opera della Regina Maria Carolina; e quando il Re Ferdinando I° attendeva alla caccia nei suoi splendidi parchi ed ai fatui bagordi sciupandosi nella neghittagine, la moglie cospirava contro i liberali, e i processi e l' esilio e le prigioni sbandarono i pretesi Repubblicani, responsabili di un gravame estraneo alla legislazione del tempo : pro lectura gazectarum cm delectazione ! Questi eccessi, che resero esecrato il nome della Regina Maria Carolina d' Austria in Sicilia, mossero a sdegno l' animo di Carlo Cottone, Principe di Castelnuovo, che nutrì odio implacabile per quella donna fatale, sebbene non potesse osteggiarla, mancandogli il titolo della Rappresentanza legislativa nel Braccio baronale, che non ebbe prima del 1802, indi alla morte del suo genitore. A quel tempo il Re Ferdinando I°, che fu già quarto e terzo in ordine cronologico di discendenza, poltriva nell' ozio, lasciando alla Regina il governo dello Stato. Egli non intendeva punto disagiarsi, né smettere dalle sue gozzoviglie. L' ipocrisia gli era abituale e la non curanza dominava le operazioni tutte della sua vita; d' onde l' agio di Maria Carolina a dominare la Corte ed imporsi sul Re e sui Ministri a man franca. Il popolo, scandalizzato dal contegno del Re, non ebbe per lui devozione alcuna e lo censurava aspramente, eludendo in tutti i modi i rigori della Polizia. I genitori del Principe Carlo, volendo temperare l' austerità del suo carattere, lo congiunsero in matrimonio, suo malgrado, con la nobilissima Giuseppina Bonanno dei Duchi di Castellana, che gli sopravvisse per lunghi anni; ma essa gli negò il conforto dei figli, per cui, sdegnando le blandizie della Corte ed il fasto della Baronale rappresentanza, intraprese, solo, un gran viaggio, tenendosi all' estero lungamente. Visitata l' Italia da un capo all' altro, si ridusse in Francia. Nel 1805 l' Ambasciatore di Napoli, Marchese del Gallo, lo presentò a Napoleone I° e vi conobbe l' Economista Scrofani ed il celebre poeta estemporaneo Francesco Gianni coi quali venne in dimestichezza. Poscia percorse la Svizzera e l' Inghilterra, frequentando i circoli politici ed i gabinetti degli Statisti, dove ritemprò le sue idee liberali , rese ormai saldissime. Il Principe Castelnuovo non era un moderno touriste, che sparnazzava il danaro in cerca di conquiste galanti e di fatue emozioni; ma lo Statista che amava far la conoscenza di Arturo Young e di Fellemberg, che visitava gli Stabilimenti scientifici e di beneficenza, che studiava usanze ed abitudini proprie dei popoli di altre regioni per illuminare la propria mente e trarne profitto nell' interesse della sua prediletta Sicilia. E se le spese ingenti allora affrontate, superiori di molto alle sue entrate, ne scossero la finanza, egli seppe colmare il vuoto senza ricorrere ai prestiti, ma rinunziando alla rappresentanza signorile sino a privarsi dei servi e delle carrozze. E quando il di lui suocero, Duca di Castellana, pel del casato, gli offerse i comodi ai quali aveva volontariamente rinunziato, ne fruì per la moglie, declinandoli per suo conto, non amando usare ciò che realmente non gli appartenesse. Alieno ai ritrovi ed ai passatempi aristocratici, il Principe Castelnuovo, durando le sue ristrettezze finanziarie, accettò la Deputazione delle strade pubbliche, l' Amministrazione dell' Albergo dei Poveri, la Presidenza del Ritiro delle Ree pentite ed altri incarichi gratuiti, che disimpegnò per più anni con grandissimo zelo, lieto di potere spendere l' opera sua a vantaggio di tali instituzioni senza alcuna retribuzione. Intanto, le condiizioni politiche della Sicilia peggioravano un dì più che l' altro. La plebe, alla quale si erano esagerati al maggior segno gli orrori della rivoluzione francese, cullandola nelle speranze del governo paterno dei Borboni, mal soffrendo le sue misere condizioni, fremeva impaziente. I Baroni, negletti per la prevalenza autoritaria dei Ministri napoletani, affievolivano l' antica devozione alla Corona e, pur temendo gli eccessi dei Giacobini contro il blasone, sospiravano rinsaldare le patrie instituzioni all' ombra della libertà. La classe media, emancipata dal terrore del Sant' Officio e dall' opera nefasta dei Gesuiti, anelava l' esercizio dei proprii diritti e la partecipazione ai pubblici poteri senza restrizioni di casta. In tutti si accentuava il sentimento della indipendenza dal Ministero di Napoli ed il conquisto dell' autonomia. La Corona, che sino al 1802 esercitava imperio assoluto sulle popolazioni delle Due Sicilie, diveniva uggiosa a tutte le classi della cittadinanza un giorno più che l' altro; e se per mancanza di forze la rivoluzione non osava scalzare il trono dei Borboni, il bisogno di un mutamento che ristabilisse le liberali franchigie in Sicilia era nella coscienza dell' universale. A quel tempo l' esercito repubblicano di Championnet, conquistando Napoli, costrinse Re Ferdinando ad asilare sul vascello di Nelson con la Regina e la Corte e sbarcare in Palermo. Un uragano scoppiato durante il viaggio uccise loro un figliuolo irreparabilmente. Lo arrivo inatteso dei Sovrani spodestati, la sventura atroce che li colse nel viaggio e le lagrime della Regina impietosirono il popolo di Palermo, il quale, dimentico delle patite violenze, accolse i profughi umanissimamente, ritemprando nel dolore i sentimenti della affievolita devozione per la Monarchia. Ed il Re, grato alla gentile accoglienza, rivocò il mandato alla Deputazione del Regno di riscuotere coattivamente 60 mila scudi al mese assegnati alla Corona e, sanzionando le ultime deliberazioni del Parlamento, chiamò i principi di Trabia e di Cassaro a coadiuvare il ministro Acton nella difesa dell' Isola dalla temuta invasione dei Francesi. Ridestatosi il sentimento nazionale, tutto un popolo si inchinò riverente alla Monarchia e provvide le armi e gli armati per salvare la patria dalla invasione straniera. Durante questa crisi benefica, Carlo Cottone, Principe di Castelnuovo, sedette in Parlamento nel Braccio baronale; e, aggiustando poca fede alle grazie dei Sovrani, fermò il divisamento di assicurare alla patria una nuova Carta costituzionale e l' eguaglianza civile coll' abolizione del feudalismo. Giammai uomo di Stato assunse soma più ardua e patriottica al cospetto del mondo civile che quella impostasi volontariamente dal Principe Castelnuovo ! Il quale, disponendo di tatto politico finissimo, comprese a tempo che le grazie dei Borboni erano lustre agli occhi del popolo aberrato e che conveniva infrenarne l' arbitrio con un patto giurato, per emanciparlo dalla tirannia e dal servaggio perentoriamente. Caduta la Repubblica partenopea, le bande guidate dal Cardinal Ruffo fecero eco alla restaurazione dei Borboni ed i Sovrani partirono alla volta di Napoli, dimentichi della ospitalità ricevuta in Sicilia e delle promesse al concorso per la sua redenzione civile e politica. A quel tempo, era il marzo del 1802, il Parlamento siciliano, rispondendo ai voti del popolo, deliberò un donativo di centocinquantamila onze (Lire 1,912,500) per il mantenimento di un Principe del sangue e della sua Corte in Palermo. Senonchè, partiti i Sovrani, il donativo fu riscosso e la pubblica aspettazione, come sempre, defraudata; poiché i Borboni, orribile a dirsi, non si tennero mai obbligati alle loro promesse. I trionfi del Napoleonide in Ulma ed in Austerlitz ricondussero le aquile francesi in Napoli; d' onde il ritorno dei Borboni in Palermo nel 1806. Ferdinando, affranto per la perdita del Reame di Napoli, diessi alla pesca dei tonni in Sòlanto ed alla caccia alla selvaggina nel bosco della Ficuzza; intanto che la Regina, costituito un Ministero reazionario con Medici, Migliorini e Circello, dominava lo Stato con le male arti di cui era maestra impareggiabile. Al Parlamento non si ebbe il coraggio di chiedere nuovi donativi, ma la conferma dei precedenti, a qual' uopo la Regina cercò conquistare i Principi Castelnuovo e Belmonte, i quali erano avversi ad ulteriori assegni alla Corona. E quando Medici armeggiava nel Parlamento perché un donativo straordinario di onze trecentomila annue ( L. 3,825,000 ) fosse assegnato ai Reali, Paolo Balsamo, auspici Castelnuovo e Belmonte, opponeva un progetto finanziario di radicali riforme, ispirato a sensi di libertà e di vero progresso. Tratto il dado, la lotta tra i liberali ed i realisti s' impegnò accanita nel campo finanziario; ma il Principe Castelnuovo tenne fermo, resistendo alle seduzioni di Maria Carolina, che non lasciò mezzo intentato per conquistare il funzionario inflessibile. Divisa com' era la Rappresentanza del Regno in tre Bracci, il demaniale, il militare e l' ecclesiastico, era ben difficile il trionfo delle idee di Balsamo, Belmonte e Castelnuovo; in fatti, il Braccio demaniale votò il chiesto donativo; il militare ne concesse la metà ed il Braccio ecclesiastico, dibattuto tra le minacce e le promesse della Corte, lo votò per intero. Ma la cupidigia della Corona non avea limiti ; e, malgrado le angustie dei poveri contribuenti, altri due donativi di onze 25 mila all' anno ( L. 316,750 ) furono assegnati l' uno al figlio del Principe ereditario e l' altro alla Regina. In questa congiuntura il Principe Castelnuovo, collegatosi al nipote Principe di Belmonte ed all' illustre Paolo Balsamo, lottò affinchè tali donativi si stanziassero per un anno, meglio che per quattro, onde indurre la Corte all' annuale riconvocazione del Parlamento per averli rinnovati; e quando tale proposta fu respinta, chiese ed ottenne la stampa del rendiconto degli atti del Parlamento per esporli al sindacato pubblico e mettere un freno allo sperpero del danaro dei contribuenti. A questo punto le ire di Maria Carolina toccarono gli estremi. Castelnuovo fu radiato dal ruolo dei Baroni elegibili alla Deputazione del Regno e suo nipote Belmonte non venne ammesso in Corte ulteriormente. Resa difficile la riscossione dei pubblici tributi per le ristrettezze in cui versavano i Comuni della Sicilia, la Corona si appropriò indebitamente i capitali del Banco di Palermo e del Monte di Pietà, sorvolando ai voti della Deputazione del Regno; ed il 14 febbraro del 1811, con tre editti abusivi, avocò a sé i beni della Chiesa e dei Comuni, ne autorizzò la vendita per lotteria ed impose la tassa dell' un per cento su tutti i pagamenti regolati da scritture pubbliche e private. Non è a dire a parole quanto sdegno suscitassero nell' animo del Principe Castelnuovo gli editti surricordati. Egli indusse il nipote Belmonte a promuovere la sottoscrizione di una protesta da parte dei Baroni verso l' operato dispotico del Re e a renderlo avvertito che da secoli, e senza eccezione per alcuna dinastia, i Rappresentanti della Sicilia, adunati in General Parlamento, aveano provveduto mai sempre, mercè i donativi, ai bisogni dello Stato e che non si riusciva a comprendere come Re Ferdinando si ribellasse a tale usanza. La protesta iniziata dal Principe Castelnuovo raccolse quarantatrè firme di Baroni e suggellò l' antagonismo tra la Corte e l' Aristocrazia siciliana. Essa fu presentata dallo stesso autore ai Deputati del Regno, i quali, smentendo l' indipendenza confermata per tre secoli, cedettero ai voleri del Re e dissero vigliaccamente che i tre editti espoliatori del 14 febbraro 1811 non ledevano i privilegi del paese ! Questo iniquo verdetto abilitò la Corona a tassare di fellonia i quarantatrè Baroni soscrittori della protesta e a tradurre agli arresti il Duca di Angiò e i Principi di Belmonte, di Villafranca, di Aci e di Castelnuovo, i quali nella notte del 19 luglio vennero imbarcati e deportati in quattro isole diverse. Al Principe Castelnuovo, capoccia dei ribelli, toccò il domicilio peggiore: il forte Santa Caterina dell' Isola di Favignana. Ivi condusse un di lui domestico affettuosissimo: Pietro Palagano, il solo che si prestasse a seguirlo in prigione; e malgrado fosse da lui assistito con grande amore, ammalò gravemente. Il nome esacrato dei Sovrani corse sulle labbra di tutti i cittadini; e se lo spettro del Giacobinismo non avesse scongiurato l' agitazione politica, il popolo , ribellandosi alla Monarchia dei Borboni, avrebbe vendicato sommariamente l' onta della deportazione dei cinque Baroni, che furono le vittime del dispotismo di Maria Carolina. Per buona ventura, dopo due giorni dal loro arresto, giungeva in Palermo Lord Guglielmo Bentinck, Ministro dell' Inghilterra in Sicilia, il quale , edotto delle violenze consumate dalla Corte Borbonica e delle trame ordite dalla Regina Maria Carolina per riaquistare il Reame di Napoli, partì per Londra, invocando nuovi poteri dal suo Governo onde tenere a posto la Corte in Sicilia e salvar l' Isola dalle aggressioni della Francia. Al suo ritorno in Palermo ebbe lungo colloquio con la Regina, alla quale impose perentoriamente i suoi voleri nel nome dell' Inghilterra; e quando essa esitò ad accoglierli, mosse per la Ficuzza alla volta del Re, minacciandolo di occupare militarmente Messina e Milazzo con 14 mila uomini e deportarlo in Londra con Maria Carolina, se non si fosse arreso ai suoi voleri, tra i quali non ultimo quello di esonerare il Ministero reazionario e, facendo grazia ai Baroni deportati, richiamarli al Governo dello Stato. E Re Ferdinando I° subì le imposizioni del Ministro inglese, per cui, dichiarandosi infermo, assunse al Vicariato del Regno il Principe ereditario Francesco, sotto la tutela del Ministro Bentinck, onde eseguirne gli ordini. E così i cinque sudditi deportati, i quali, secondo un proclama del Re, ( aveano dato manifesta prova di uno spirito fazioso e di una disposizione a turbare la tranquillità pubblica, ) vennero graziati. Ecco il Decreto-circolare del Vicario del Regno, che conserva genuinamente la Signora Maria Palagano, vedova Pieri, con cui venne ordinata la escarcerazione dei Baroni deportati :
( Sua Maestà ha comandato che il Principe di Belmonte ed il Principe di Castelnuovo, detenuti in Favignana, il Principe della Petrulla, detenuto in Maretimo, ed il Principe di Aci, detenuto in Ustica, siano messi in libertà; ed il Principe di Villafranca, il quale dalla Pantelleria era passato nella città di Termini, resti in libertà di fare ritorno in Palermo e di andare in qualunque luogo gli piaccia. E questa Real Segreteria di Stato ed alta Polizia nel Real Nome lo partecipa a Vostra Signoria Illustrissima, per sua intelligenza e per l' uso che convenga di sua parte. Palazzo, 10 gennaro 1812 .) Il Principe Castelnuovo, malgrado le gravi sofferenze patite per sei mesi nel Castello di Santa Caterina in Favignana, corrucciossi all' annunzio della sua liberazione e, respingendo sdegnosamente la grazia sovrana, da lui non chiesta né sollecitata, ebbe a dettare la solenne protesta : ( Hic vinctus maneo propter patriarum legum custodiam. )
La quale, trascritta nelle mura della prigione e ripetuta poco dopo dai liberali usciti dal carcere, mostrò ancora una volta di che tempra fosse il Principe prelodato. La liberazione dei cinque Baroni detenuti e la loro assunzione al Ministero operò una reazione salutare. Come ci apprende l' illustre storico Isidoro La Lumia, ( una mutazione istantanea scorgevasi allora per tutto. Infranto di un colpo il giogo pesato più anni colla Regina, coi Ministri e cortigiani di Napoli; la Regina, silenziosa e fremente, confinata a Castelvetrano in solitario ritiro, il Re alla Ficuzza; dei favoriti di prima, Ascoli svelto dalle braccia del vecchio Ferdinando e costretto a partire e recarsi in Sardegna; Medici inviato, col pretesto di una missione, a Londra, altri della stessa risma espulsi egualmente: il popolare dispetto, con ingiurie e dileggi che temevano di quella prima ebrietà, volto a sfogarsi sui più esosi strumenti del dispotismo anteriore. Nella crisi avvenuta si riguardava ben altro che un semplice scambio di individui e di nomi; il Parlamento, che si riunirebbe tra breve, era evidentemente chiamato a ben altro che a votar donativi, limitandosi a chiedere qualche grazia dal Re : la esperienza passata, la maturità del tempo, le condizioni generali di Europa portavano ad un largo rimpasto degli ordini fondamentali del Regno. Sotto gli influssi del Ministero novello le elezioni del Braccio demaniale seguivano così in favore di caldi e conosciuti patrioti; i nobili membri del Braccio militare e del Braccio ecclesiastico venivano adunandosi in Palermo inclinati e disposti non alle novità solamente, ma ai sagrifizii che sarebbero senza meno per incontrarsi dalle classi privilegiate. L' antica capitale dell' Isola sembrava animarsi di un' insolita vita in tanto moto di cose, in tanto ardore degli animi. Il concorso di ciò che la intera Sicilia conteneva di meglio per censo, per cultura, per grado; lo splendore di una Corte; la residenza di ambasciatori e cospicui personaggi stranieri; unitamente al vecchio esercito regio, il quartier generale dell' esercito inglese chiamatovi da Bentinck col fiore dei suoi battaglioni; sventolanti nel molo e nella rada bandiere inglesi, russe, portoghesi, spagnuole; una straordinaria frequenza per le vie, i passeggi, i teatri; un' abbondanza di numerario per l' oro dall' Inghilterra versato, per l' utile spaccio dei naturali prodotti che traeva dall' Isola quando i porti del continente le erano chiusi in gran parte; malgrado una certa penuria che nell' annona lamentava la plebe, e che effetto del cresciuto valore delle derrate, tutti i segni di una prosperità materiale, sventuratamente fittizia, come dovuta a circostanze che potevano da un momento all' altro cangiare; un brio di discorsi in cui, libero da delatori e da sgherri, colla lusinghiera promessa di avve**re più lieto, sembrava espandersi e respirare il paese; colle preoccupazioni politiche i balli, le mascherate, le nuove mode, liberate ancor esse dall' occhio attento di una polizia sospettosa: una di quelle fulgide aurore che sì di rado sorridono ai popoli e non dovrebbero annabbiarsi giammai. )
Intanto il Principe Castelnuovo, coadiuvato da Balsamo, Belmonte e Bentinck, posava le basi della costituzione della Sicilia a libero reggimento e il 19 luglio del 1812, anniversario della sua deportazione, il Parlamento Generale, dopo venti ore di discussione, l' approvò col suo voto. Quella data resterà memorabile nella storia del risorgimento politico della Sicilia, dovuto in gran parte all' opera patriottica di Carlo Cottone, Principe di Castelnuovo. Nel piano delle riforme politiche e sociali, vagheggiato dal Principe Castelnuovo, era compresa la proposta arditissima dell' abolizione delle primogeniture e dei fedecommessi, che egli avrebbe voluto rimandare n un secondo tempo, predisponendo i Pari ad accettarla. Ma gli impazienti del Braccio demaniale, forti del prestigio del suo autore, la ventilarono nella Camera, obbligando il Principe prelodato a pronunziarsi per la completa abolizione, contro il parere del Principe Belmonte, il quale, dissentendo dalle idee dello zio, sostenne calorosamente la proposta della Parìa ereditaria con adeguato appannaggio. Impegnata la lotta tra i patrizii Belmonte e Castelnuovo, i loro rispettivi seguaci vennero in aperta ostilità. I Bracci demaniale ed ecclesiastico votarono l' abolizione del fedecommesso; il Braccio baronale la combattè ad oltranza, non già perché i nobili sdegnassero di disporre liberamente dei patrimonj ereditarj, ma più presto per mantenere inalterati i privilegi della propria casta, legati alla primogenitura. E poi la mano baronale mal soffriva di restare disarmata in faccia al dritto comune e perdere i privilegi del mero e misto impero, che facevano del castello feudale un ente inappellabile con poteri sconfinati. L' elevazione dell' umile vassallo a libero cittadino era un fatto civile e politico ben grave perché i Baroni del tempo lo potessero lasciare inosservato; ma il Principe Castelnuovo, fidente nella santità della causa presa a difendere, trionfò degli ostacoli del Belmonte e dei Baroni e il fedecommesso fu abolito. Ove si pensi che il Principe Castelnuovo veniva da famiglia eminentemente aristocratica; che era legato in parentela coi nobili più elevati del tempo, a partire dal Principe Belmonte, figlio della Contessa Ventimiglia di lui sorella; che, non avendo prole, era attaccabile dagli avversarj politici, i quali, falsando le sue idee liberali, vollero vedere nella proposta della abolizione della primogenitura lo sfogo di una passione egoistica per mire volgari di popolarità : vi è da sorprendere com' Egli , il Principe Castelnuovo, ribellandosi a tutto ed a tutti, né ascoltando altra voce che quella della propria coscienza, potesse sostenere quella grande riforma civile, che legherà il suo nome immortale alla posterità. Eppure non era da aspettarsi altrimenti da un democratico convinto, che, sprezzando le ire dei Baroni, cancellò perfino il blasone dagli sportelli delle sue vetture per imprimervi l' effigie di Beniamino Francklin. Per dir tutto, non è a tacere che la rottura nel campo politico fra Castelnuovo e Belmonte fu fatale alle sorti della Sicilia; ma quei due grandi patrizii, sinceramente liberali, aveano qualità personali così differenti, sentire tanto diverso e modi così disparati, che il loro accordio sarebbe stato impossibile ed era inevitabile che vivessero in lotta, come lo furono sempre, finchè quest' ultimo, vinto dall' inesorabilità dello zio e pentito dei propri errori politici, non emigrasse all' estero per rimettervi la vita. Prima che volgesse un anno, nel maggio del 1813, lo Statuto che provvedeva alla futura indipendenza della Sicilia era già promulgato e l' 8 luglio aprivasi il nuovo Parlamento. Se non chè, la lealtà del Principe Castelnuovo gli suggerì di non ingerirsi nelle elezioni, per cui la Camera dei Comuni accolse uomini d' ogni risma e non tutti devoti al nuovo ordine di cose. Il Principe Belmonte mirò a conquistare i nemici della Costituzione, contro l' avviso dello zio Castelnuovo , il quale credeva che la rettitudine del Ministero fosse mezzo sufficiente a disarmarli ed a costituire una maggioranza costituzionale. Da qui nuova divergenza tra i due patrizii, che si tradusse in aperto antagonismo, con danno delle instituzioni e del paese. La infingardia della morente Deputazione del Regno, che non provvide a levar le imposte; le diffidenze suscitate dal demagogo Emanuele Rossi; il disaccordo crescente dei Principi ed il trambusto popolare seguìto in Palermo la notte del 18 luglio, resero critica la posizione del Ministero. La Camera dei Pari levossi contro il Principe Castelnuovo, opponendosi a quella dei Comuni intesa ad appoggiarlo; per cui qust' ultimo, immolandosi all' altare della concordia, rassegnò il potere, provocando la caduta del Ministero. Che mai l' avesse fatto ! Era quantodesideravano i retrivi e i demagoghi per attentare al nuovo regime costituzionale della Sicilia, asseguito attraverso ostacoli fortissimi. Il nuovo ministero brillò per inettitudine e fu raggirato dalla furberia del Marchese Ferreri. Esso riuscì insufficiente alla bisogna ed accentuò le ire dei Deputati, i quali, scissi in Cronici ed Anticronici, secondo che fossero amici o nemici della Costituzione, provocarono gravi scandali, tassando i caduti Ministri con addebiti sanguinosi, estensibili persino al Principe Castelnuovo, che, gratutitamente, lo si volle responsabile del denaro largito all' Inghilterra ( sic !) per ottenere l' intervento armato in Sicilia. In questo stato di cose Lord Bentinck, reduce dalla campagna nella Catalogna contro i Francesi, riapparve in Palermo per le istanze del Montgomery. La Camera fu riaperta; ma il suo atteggiamento ostile contro il Governo, larvato dal preteso sentimento di resistere alle pressioni del Generale straniero, ne resero impossibile l' esistenza ulteriore, per cui il Parlamento fu prorogato e quindi sciolto definitivamente. La fiducia illimitata del Bentinck nella persona del Castelnuovo, che arieggiava in tutto il carattere inglese, giustificò il di lui invito a ricomporre il Ministero ed a provvedere alla nomina delle dignità politiche eminenti pe' l governo del paese. Allora i Principi di Fitalia, di Catolica, di Belmonte e Castelnuovo sedettero come consiglieri di Stato; al dicastero degli Esteri fu assunto il Villafranca; Ruggiero Settimo, Ammiraglio valoroso, riprese il portafogli della Guerra ed il Principe di Carini quello dell' Interno e della Giustizia. Gaetano Bonanno, estraneo alle precedentii fazioni, assunse il portafogli della Finanza e lo Stato ebbe la sua legittima Rappresentanza. Intanto, gli interessi dell' Inghilterra chiamavano Lord Bentinck altrove, ora per trattare col Murat una tregua contro il Napoleonide, ora per guidare nella Toscana i volontarj Siciliani pronti a combattere per la libertà e l' indipendenza italiana; e la sua assenza costituiva un vuoto irreparabile, essendo tutt' altro che di accordo i Principi Belmonte e Castelnuovo, di cui le divergenze rispecchiavano su tutto il meccanismo dello Stato. L' uno, a dire del Palmeri, assoluto nelle sue opinioni, le sosteneva con facondia irresistibile; l' altro, taciturno, incocciava nel dissenso tenacissimamente; e, addolorato degli adulatori del nipote, tanto quanto dell' opera degli indiscreti, che traducevano in piazza le sue divergenze sugli affari di Stato, allontanossi, poco alla volta, dalle sedute consiliari del Ministero col proponimento di abbandonarle perentoriamente. Intanto i tempi volgevano poco propizj per la causa della libertà. Lord Bentinck, tornato nuovamente in Palermo nel giugno del 1814, si mostrava stanco della sua interferenza per la redenzione della Sicilia, né l' opera sua trovava l' antico appoggio nel Gabinetto inglese. La Camera dei Pari , lungi di atteggiarsi a moderatrice della Camera dei Comuni, suscitò dissidi e turbolenze continue, che inasprivano gli animi dei governanti a tutto danno del paese. Si cercò un mezzo di conciliazione chiamando nel Ministero taluni membri influenti della Camera dei Pari. Questo provvido temperamento, visto assai bene dal Principe Castelnuovo, da Ruggiero Settimo e dal Principe di Fitalia, fu avversato dai Principi Carini, Villafranca, Catolica e Belmonte, dei quali quest' ultimo, sdegando ve**re a patti coi dissidenti, propose senz' altro il richiamo del Re per moderare le fazioni. Il Principe Castelnuovo, che anelava abbandonare il potere, colse la palla al balzo ed esclamò, adire del Balsamo: ( Il mio affare è fatto: si richiama il Re e torno alla mia vita privata. )
Ed il Re da Sòlanto si restituì baldanzoso e festante in Palermo, preceduto dal demagogo Emanuele Rossi, il quale, precorrendo i tempi, operò in piazza più di quanto il commediografo Vittoriano Sardou attribuisse ai dì nostri al camaleontico Rabagas. Ferdinando I° fece stanza nel parco della Real Favorita, che diventò il teatro della reazione. Dimesso il Ministero liberale, furono rinominati Ferreri, Lucchesi, Gualtieri e Naselli a ricomporlo. Allora gli odj di parte si scatenarono coontro i vinti e le villanie e le satire e le contumelie atroci furono all' ordine del giorno. I Cronici furono vittime delle ire partigiane degli Anticronici che, attaccando Baroni e borghesi, risalirono fino al Principe Vicario, erede presuntivo della Corona, e al Duca di Chartres, primogenito del Duca d' Orleans, allora residente in Palermo. Tra il cozzo delle ire politiche e l' imperversare della reazione, il solo Principe Castelnuovo fu, archimandrita dei Cronici, fu risparmiato. Egli vide lacerare una ad una le pagine dello Statuto costituzionale del 19 luglio 1812 con fermezza d' animo senza pari, né vi fu atto o parola da lui pronunziata che non suonasse fiera protesta all' operato malvagio della Corte reazionaria. Il Principe Belmonte, invece, amaramente pentito dello improvvido richiamo del Re, prese imbarco sulla nave francese che ricondusse in Duca d' Orleans in Marsiglia; e, affranto dai malori ereditati dalla detenzione nel Castello di Favignana e dai rimorsi del suo inconsulto operato, finì prematuramente i suoi giorni a Parigi nell' ottobre del 1814, lasciando un vuoto irreparabile. Il Principe Castelnuovo, vinto ma non domo, si chiuse nella sua Villa ai Colli, dove traevano a visitarlo l' Abate Giuseppe Frangipani, il Duca d' Angiò ed il suo prediletto amico Ruggiero Settimo pe' l quale non avea segreti. Ivi su piedistallo circolare posò una colonna rivestita di foglie d' Acanto, contenente un' urna ben salda, dove racchiuse la Carta costituzionale del 1812, di cui Egli era geloso depositario...
I fati ,tuttavia, la diedero vinta al Principe Castelnuovo, il quale risorse ancora una volta, come la Fenice dalle sue ceneri, per ristaurare il governo costituzionale della Sicilia, come dirò tra poco. Velata la statua della libertà e soppressa la Costituzione del 1812, il disordine e la rilassatezza imperarono in tutte le amministrazioni dell' Isola; tanto che il successore di Lord Bentinck, Sir Guglielmo A' Court, sdegnando di assistere ulteriormente alla disorganizzazione dello Stato, tolse l' iniziativa di suggerire al Re il richiamo del Principe Castelnuovo per mettere fine al regresso e ricostituire il governo liberale. Tale proposta trovò arrendevole il valentuomo, il quale, sulle analoghe richieste dell' A' Court, ebbe a rispondere: esser pronto, nella qualità di Consigliere di Stato, a recarsi da Sua Maestà, quante volte ne avesse ricevuto il comando. In questa nuova fase politica la figura del Principe Castelnuovo eccelse addirittura, e Ministri e Deputati furono vinti dalla sua grande abnegazione. Il Re, per un momento, parve dipenderne affidandosi interamente a Lui, poiché non vi fu atto che Egli non rassegnasse al suo autorevole Consigliere di Stato. Questa fiducia, che fruttò tanto bene alle patrie instituzioni, fu poco duratura. Il Rossi, con le sue perfide insinuazioni, suscitava odj antichi e nuove diffidenze. La Parìa era in uggia ai Comuni ed i realisti si arrabbattavano in tutti i modi per riconquistare il potere. La guerra imprudente mossa da Murat all' Austria rendeva probabile la restaurazione borbonica in Napoli e l' allontanamento del Re. Fu allora che il Principe Castelnuovo ebbe a richiamarlo all' osservanza del patto giurato mercè il suo Vicario generale, inducendolo a rispettare la Costituzione del 1812. Ma quale non fu il suo disinganno quando il Monarca, pronto a partire, gli esibì una nuova Carta che stava in onta ai patti giurati ! Tuttavia, la sorpresa non fece velo allo intelletto del Principe Castelnuovo, il quale, preso consiglio dai suoi fidi amici Paolo Balsamo e Ruggiero Settimo, espose al Re oralmente le sue vive rimostranze, confermando ancora una volta la sua temuta inesorabilità. Vilipesa e manomessa la Costituzione della Sicilia, il Principe Castelnuovo negò l' opera sua al monarca spergiuro che non rivide mai più, e tornò con lo schianto nel cuore a vita privata, impotente oramai a salvare le sorti della patria. Non è qui il luogo di descrivere gli eccessi della reazione che degradarono l'Isola al maggior segno. Fù un turbinio di leggi angariche, di rescritti vessatori, di deliberazioni fiscali intesi a reprimere il progresso ed a conculcare la libertà. Lo Statuto del 1812, elassi appena cinque anni, era una reminiscenza storica identificata nella figura nobilissima del Principe Castelnuovo. Il quale, vinto dalle fazioni realiste, ma non domo, diessi a vita agreste fermandosi nella Villa ai Colli. Ivi fece correr voce che una polla d' acqua sulfurea si fosse esplorata sotto una vecchia cantina, attirando gran numero di avventori per gustarla. Una scala in legno conduceva nel sotteraneo dove la pretesa sorgente avrebbe avuta sede. Se non che, discendendovi, una porticina aprivasi automaticamente ed un eremita, in atteggiamento misterioso, indicava agli osservatori i noti versi del Buonarroti:
Infin che il danno e la vergogna dura
Non udir, non veder, m' è gran ventura. L' abile trovata commosse le borgate; e tutto un popolo trasse alla Villa Castelnuovo per apprendere la ragione che distrasse lo Statista eminente dalle pubbliche faccende. Non è qui il luogo di rifare la storia miseranda del decadimento della Sicilia indi al ritiro del Principe Castelnuovo. L' inettitudine dei Ministri, gli eccessi dei demagoghi e la corruzione dei pubblici funzionari resero impossibile il governo dell' Isola. La Costituzione del 1812, già prima tanto avversata, diventò il sospiro ardente dei patrioti, e l' uomo che l' avea concepita il Nume al quale si inchinavano riverenti tutte le classi della cittadinanza palermitana. Il Governo corrotto e corruttore, ad ora ad ora, sentiva il bisogno di ritemprarsi ai consigli ed all' opera del Principe Castelnuovo ed usava i mezzi più seducenti per attrarlo a sé ; ma non vi riuscì giammai: onorificenze, privilegi, blandizie d' ogni sorta Ei tenne mai sempre in non cale, fiero di opporre costante rifiuto a tutto quanto gli venisse offerto dalla " Rappresentanza illeggittima " dello Stato. Quando il Principe Castelnuovo non potè combattere altrimenti il governo dei Borboni, giudicando inopportuna una riscossa armata, iniziò la lotta pacifica, incitando i Municipj e la stampa a chiedere il ritorno alla Costituzione del 1812 ed alla cessazione del dispotismo, che stava in onta al patto giurato. Egli, a dir così, precorse i tempi, inaugurando l' espediente delle petizioni e delle dimostrazioni con cui i popoli liberi fanno valere ai dì nostri le loro ragioni verso i poteri dello Stato. E mentre il Governo, sordo ai reclami degli oppressi, inferociva contro i sudditi più temperati, designandoli alle ire della Polizia come Giacobini e Carbonari, Egli, il Principe Castelnuovo, organizzava un piano di resistenza passiva, che una volta adottato da tutte le classi sociali, avrebbe paralizzato l' opera governativa rendendola impossibile. Intanto, le violenze succedevano alle violenze, né vi era diritto della Sicilia che non fosse conculcato dal Governo per attentare alla sua autonomia. E quando furono annullate di fatto tutte le prerogative che scaturivano dalla Costituzione del 1812, si tolse alla Sicilia persino l' onore di avere una bandiera propria, che venne abolita con regio editto. Quali odii raccogliesse il capo dello Stato per questo contegno dispotico e reazionario, non è a dire a parole; e quando, ristabilito sul trono di Napoli dal Congresso di Vienna come Re del Regno delle Due Sicilie, egli stesso che, cronologicamente, era riconosciuto terzo con quel nome in Sicilia e quarto in Napoli, una volta posta la unicità dei due Regni, assunse il titolo di Ferdinando I° e con esso sottoscrisse i Decreti degli 8 e 11 dicembre del 1816, per darne l' annunzio ai suoi ( fedelissimi sudditi ) bastò questa fatto perché il ridicolo si versasse a piene mani sul grande avvenimento politico ed ottenessero popolarità i versi satirici seguenti all' indirizzo del Re così concepiti :
Fosti quarto, insieme e terzo,
Divenuto or sei primiero,
Se così segue lo scherzo,
Finirai per esser zero. Chiuso il ciclo della vita politica, altro ne aprì il Castelnuovo, non meno fecondo per le sorti della patria: quello della beneficienza. Ei pensò che in niun modo potevano avvantaggiarsi le condizioni economiche della Sicilia, altro che migliorandone l' Agricoltura: pensiero questo che balenò nella sua mente verso il 1816 e lo preoccupò per tutta la vita. Allora concepì di fondare un " Seminario di Agricoltura " nella Villa ai Colli, legandovi il suo patrimonio, col nobile proponimento di raccogliervi i figli dei contadini e restituirli alla Società agricoltori abili ed intelligenti. Alla realizzazione di questo patriottico divisamento concorsero due Agronomi eminenti a lui devotissimi: Paolo Balsamo e Nicolò Palmeri, i quali gli furono larghi di aiuti e di consigli. Il Principe Castelnuovo pensò a tempo che la sorte del suo vagheggiato Seminario di Agricoltura, sarebbe dipesa dalla scelta di un abile Direttore tecnico, che fu fermata nella persona del Dottor Giuseppe Indelicato. E perché egli potesse rispondere degnamente al suo mandato, lo abilitò nello scorcio del 1819, stipendiandolo, a compire un viaggio in Sicilia, nel fine di studiarne le condizioni economico-agrarie ed illustrarle con apposite relazioni scientifiche. All' uopo il Principe Castelnuovo fornì al Dottore Indelicato mezzi e commendatizie adeguati alla bisogna, giovandosi delle sue valevoli conoscenze in tutte le provincie insulari per rendere agevoli e proficue le di lui escursioni agrarie. Quante cure adoperasse il Principe Castelnuovo per la riuscita della missione del Dottore Indelicato, non è a dire a parole; e basterebbe leggere la sua corrispondenza autografa, che si conserva nella Biblioteca di questo Istituto Agrario, per averne adeguato concetto. Il Principe Castelnuovo fornì al Dottore Indelicato libri e denari, istruzioni e consigli, aiuti e soccorsi d' ogni genere. Non contento dei suoi studi teorici, volle che attendesse all' analisi dei terreni e dei concimi esistenti in Sicilia e che determinasse la composizione chimica dei prodotti agrari, per sindacarne i costituenti e cooperare al loro miglioramento avve**re. Ed ecco che Egli stesso, superando ostacoli gravissimi, commissionò a Parigi storte e matracci, capsule e crogiuoli, bilance e reattivi, e ne fece un presente al futuro Direttore del suo àmbito Seminario di Agricoltura, per disimpegnare convenientemente la sua missione scientifica. Ma ciò, per molto che sia, non è tutto. Il Principe Castelnuovo, col suo grande intuito, presentiva che il viaggio di istruzione del Dottore Giuseppe Indelicato sarebbe riuscito monco, se altri studj di perfezionamento non avesse compiuto all' estero. Epperò, consultati il Settimo ed il Palmeri, non che il Marchese Cesare Airoldi, il Conte Villeciville ed il Barone Frìddani, coi quali tenne lunga corrispondenza epistolare nella Francia e nella Svizzera, venne nella determinazione di inviarlo a Berna, presso l' Istituto Agrario di Hofwhyl, diretto dal celebre Fellemberg, per elevare la sua coltura tecnica. Ove si pensi che tali divisamenti frullarono nella mente di un uomo che non brillò certamente per potenza d' ingegno e di studi, ed in tempi di vero oscurantismo, vi è da sorprendere per la dirittura della mente del Principe Castelnuovo, che non aveva esempio tra i suoi pari. I sospetti della Polizia, le difficoltà del viaggiare all' estero, non meno che quelle di abilitare il Dottore Indelicato ad apprendere prontamente l' idioma tedesco per assistere con profitto alle lezioni del celebre Fellemberg, fecero protrarre la sua partenza, intanto che colto da improvviso malore vi perdè la vita, mandando a vuoto le liete speranze del Principe Castelnuovo. Il quale, ritemprando il suo ferreo volere allo inatteso sinistro, ne trasse argomento per dare consistenza ai suoi disegni, chiedendo al Governo l' autorizzazione di fondare il Seminario di Agricoltura nella sua Villa ai Colli, che fu consentita con Real Decreto del 5 ottobre del 1819. Quindi commise all' Architetto Antonino Gentile il mandato di eseguire il progetto del suo vagheggiato Stabilimento, riserbandosi di provvedere alla spesa occorrente a costruirlo. Morto l' Abate Paolo Balsamo nel 1816, il Principe Castelnuovo vagheggiava nella persona dell' illustre Nicolò Palmeri il successore del compianto Dottor Giuseppe Indelicato per dirigere il Seminario di Agricoltura, e si deve a tale disegno la missione affidatagli di pubblicare a sue spese il Calendario dell' Agricoltore Siciliano, col quale, sin dal 1820, mirò a rendere popolari i precetti dell' arte razionale e della tecnologia agraria;
ma l' anima sdegnosa di quel grande Economista, che pur lottando con la miseria non piegò mai alla dipendenza di chicchessia, fosse pure del Principe Castelnuovo, che Egli teneva in altissima stima, gli tolsero quest' ultima speranza, per cui rimise a miglior tempo la nomina del Direttore. Il Calendario dell' Agricoltore Siciliano era il precursore del Seminario di Agricoltura ; ed il Principe Castelnuovo riuscì a renderlo popolare divulgandolo tra i possidenti, i quali se ne tennero e fecero a gara per acquistarlo. Ivi fu delineata per la prima volta la prospettiva dell' Istituto Agrario disegnata dall' Architetto Antonino Gentile; anzi la prospettiva medesima restò come emblema di quella pubblicazione annuale, per cui la si riprodusse dal 1822 in poi senza alcuna interruzione, fino a quando ebbe vita. Intanto che il Principe prelodato ammanniva i mezzi per costruire il suo sospirato Seminario di Agricoltura , seguiva con amore le pubblicazioni agrarie italiane e straniere, commettendone lo acquisto al Marchese Cesare Airoldi ed al Barone Frìddani allora residenti a Parigi; così che la sua privata Biblioteca potè provvedersi dei migliori fibri agrari del tempo: quelli stessi legati al Seminario, dove si osservano nel presente. In pari tempo acquistò strumenti e macchine agrarie diverse, tra i quali il Maciullatoio Christian e la sua trafila meccanica per cardare il lino previa lisciviazione: dei quali apparecchi, con nobile diisinteresse, cedette l' uso all' Albergo dei Poveri il 5 marzo del 1823 per metterli ad esperimento nel fine di evitare la malaria, dipendente dalla macerazione di quella pianta tessile immollata nelle lunate dei torrenti e dei fiumi. Il Principe Castelnuovo non sospirava che il progresso agrario della Sicilia; e le sue lettere e le pubblicazioni e le macchine e gli esperimenti e i consigli resi agli amici depongono com' egli per lunghi anni attendesse febbrilmente alle faccennde agrarie e ne facesse argomento precipuo, se non esclusivo, della sua vita. Egli tenne lungamente a proprie spese una Scuola elementare in Palermo, dove accedettero i figli dei suoi prediletti Impiegati; e quando divisò fondare il Seminario di Agricoltura in quel dei Colli, volle che all' istruzione tecnica si associasse quella Lancastriana, per dar l' agio ai figli dei contadini di apprendere a scrivere, leggere e far di conto, per cui non ebbe esitanza ad asservire la sua Villa ai figli del popolo per coltivarvi il ben dell' intelletto. Il Principe Castelnuovo fu prodigo di sussidj e di largizioni agli studenti bisognosi e parecchi ne mantenne a sue spese al Collegio Nautico, al Conservatorio di Musica e nei Reclusori laicali del paese. Francesco Ferrara, Economista insigne, che oramai onora la scienza e la patria, fu prodotto dal Principe Castelnuovo, il quale, scorgendo nella persona del figliuolo della sua cameriera Rosalia Ferrara ingegno svegliato e promettente, gli assegnò una stanza da studio isolata nel suo palazzo, apprestandogli i mezzi ed i libri per aprirsi una carriera luminosa. E questo fardello di cure e di oneri egli, il Principe Castelnuovo, assunse e sopportò volentieri, senza p***a e senza scalpore, per la nobile soddisfazione di rendersi utile alla patria. Mentre il Principe Castelnuovo, ritirato a vita privata, attendeva alle faccende agrarie, non trascurava quelle politiche e la sua casa fu il ritrovo dei luminari del tempo e di quanti pubblicisti sospirassero la redenzione della Sicilia a libertà. Paolo Balsamo, Nicolò Palmeri, il Barone Bivona, l' Abate Giuseppe Frangipani ed il cavaliere Ruggiero Settimo furono con lui in grande dimestichezza, e quest' ultimo ne fu consigliere ed amico devotissimo. Anche il celebre poeta Giovanni Meli ebbe accesso nella casa Castelnuovo e vi fu molto stimato; ma quando, stremo di mezzi ed affranto dagli anni, supplicò Ferdinando I° implorando l' Abazia di San Pancrazio coi noti versi :
" 'Ntra stu cattivu statu
Di vecchiu bisugnusu, e mali sanu,
Chi autru pò fari ? A vui stenni la manu :
O Vui, Patri e Sovranu,
Cumpiacitivi, mentre Meli campa,
Sumministrari l' ogghiu a la sua lampa "
l' inesorabile Carlo Cottone, leggendo in quei versi la degradazione del Poeta, gli precluse l' adito nel suo palazzo, né volle mai più rivederlo. Dal 1816 al 1820 il Governo della Sicilia subì completa disorganizzazione amministrativa e l' arbitrio imperò sulla legge. La Polizia prevalse sulla Magistratura e il dispotismo dei pubblici funzionari toccò gli estremi. Scoppiata la rivoluzione in Napoli ebbe eco nelle provincie siciliane. Allora i nobili se ne valsero per chiedere il ritorno alla Costituzione del 1812. La plebe, invece, implorava l' indipendenza da Napoli. La Monarchia dei Borboni, puntellata sulle baionette mercenarie, vedeva Carbonari e Giacobini negli uomini più temperati, che perseguitò ferocemente. I demagoghi, mal contenti dell' operato dei Cronici, implorarono l' estensione alla Sicilia della Costituzione di Cadice, reputandola più liberale; e sarebbero stati proclivi a riconciliarsi col Principe Castelnuovo se , dimentico del passato, avesse sottoscritto il loro programma radicale, capitanando la rivoluzione. Ma egli non volle saperne; e, deplorando gli eccessi del popolo aberato, si tenne nella Villa ai Colli, intento a fondare il suo prediletto Seminario di Agricoltura. Ivi decorò l' ingresso principale con grandi pilastri sormontati da simboli agrari e, a vece dello stemma gentilizio, sostituì l' epigrafe:
" E PROPRIO DELICIO PUBLICA UTILITAS . "
Il Principe Castelnuovo previde a tempo che le entrate annuali del suo bilancio non consentivano affrontare le spese di un edificio sontuoso, pari a quello proposto dall' Architetto Gentile, per dar luogo al Convitto; e però avea venduto l' intero Stato di Bavuso, nella provincia di Messina, e versato l' analogo valsente nel Banco pubblico per far fronte alla bisogna. Se non che, scoppiata la rivoluzione, la Giunta provvisoria di Palermo attinse ai capitali depositati in quell' Istituto per far fronte alle esigenze dello Stato. Questa crise violenta, che inabilitava il Principe Castelnuovo a realizzare il suo Seminario di Agricoltura ai Colli, lo conturbò profondamente e lo spinse a chiedere al Real Governo la restituzione di quel valsente nel pubblico interesse; ma le sue reiterate istanze non furono esaudite, con che il suo filantropio disegno riusciva irrealizzabile. Fu allora che smise la rappresentanza della vita splendida, imponendosi rigorose economie, per raccogliere a furia di privazioni una parte dei capitali perduti nel Banco pubblico e fondare il Seminario di Agricoltura. Questi fatti avrebbero dell' incredibile, se non fossero veri, e confermano di quali sagrifizj era capace il Principe prelodato, pur di servire gl' interessi della patria ! Fatto oltre negli anni e mal fermo in salute, il Principe Castelnuovo perdurava nel suo raccoglimento economico per ricostituire le sostanze usurpategli dalla Giunta provvisoria, quando nel 1824 un Decreto Reale abilitava i possidenti a francare le rispettive soggiogazioni , reluendole con assegno di terreni corrispondente al capitale. Questo provvedimento, che favoriva tanto le sorti finanziarie dell' Amministrazione Castelnuovo, non venne usufruito dal Principe, che non riconobbe il potere nella Corona di dettar leggi arbitrarie, quand' anche giovevoli alla sorte degli amministrati. Un anno dopo, nel 1825, un altro Decreto Reale abilitava i possidenti sprovveduti di titoli a regolare i loro rapporti con gli enfiteuti, alla stregua dei ruoli esistenti nei rispettivi ufficj di contabilità. Questo secondo provvedimento, che avrebbe rivendicato all' Amministrazione Castelnuovo il godimento di molti canoni inesigibili, non fu accolto dal Principe, il quale, non riconoscendo altre leggi che quelle deliberate dal Parlamento, non credette eseguire le prescrizioni decretate dal Re, malgrado la rovina del suo patrimonio. Tanta fermezza di propositi, per non dire inaudita inesorabilità, rese leggendario il Principe Castelnuovo in Palermo, dove tutto un popolo, dopo 63 anni della sua dipartita, narra episodj della sua vita che arieggiano le fole addirittura ed a cui nessuno aggiusterebbe fede, se il nome venerato di chi ne fu protagonista non le rendesse accettabili a primo acchito, senza discussione. Sopra ogni altro, il Principe Castelnuovo era proverbiale per la estrema pulitezza e per una metodicità di vita senza esempio tra i suoi pari. Alle ore 22 d' Italia montava in legno per accedere nella sua Villa ai Colli e rincasava nel palazzo ad un' ora di notte con tale precisione, che i vicini di casa, dopo venti e più anni di prova, alla sua partenza per la campagna ed al ritorno in città, mettevano a segno gli oriuoli. E fu notato : che il Principe Castelnuovo interrompeva la gita ai Colli il 4 settembre soltanto, per assistere alla comica discesa dei popolani ebbri e festanti dal Monte Pellegrino e che sospese la visita alla sua Villa il 19 dicembre del 1829, cioè sei giorni pria che morisse. Fiero e gentile, nobile e democratico, intransigente ed accessibile, economico e magnanimo, rigido ed affettuoso, impassibile e febbrile, ardito e prudente: ecco il tipo singolare del Principe Castelnuovo predestinato all' immortalità ! Non vi era sagrifizio che egli non si imponesse pur di rendersi utile alla patria, alla quale lasciò esempj tali di abnegazione, di magnanimità e di filantropia, che trovano riscontro nei tempi migliori di Atene e di Roma, per cui l' illustre storico Isidoro La Lumia, scrivendo di lui, ebbe a dire:
" In una generazione di cui gli ultimi avanzi non sono affatto scomparsi, la severa figura del Catone Siciliano sta propriamente come sublime anacronismo. "
Ed altrove, nel paragrafo XIV° delle Storie Siciliane, a proposito dell' indole e delle abitudini del Castelnuovo: La Villa, come la casa magnatizia in Palermo, risplendeva di quella precisa regolarità, di quella estrema nettezza che fu sollecitudine e passione costante del Castelnuovo, e per cui lo zelo dei domestici avea un bel fare ed era messo di continuo alla prova. A vederlo con quei tratti del volto alquanto rigidi e duri, colla impronta abituale della mestizia dei tempi aggirarsi muto e pensoso pei solitari recessi, altri avrebbe sospettato di un' idole piuttosto burbera ed acre: e non di meno, sotto a quella scorza apparente, vi era un fondo inesausto di tenerezza e di bontà per la patria, per tutti i suoi simili, che la trista esperienza non avea potuto insegnargli a sprezzare ed odiare. V' era coi difetti inerenti alle stesse sue doti: la soverchia attenzione anche a lievi nonnulla; la fermezza nei più minuti propositi, che degenerava talvolta in caparbietà puntigliosa; la cura eccessiva della precisione e dell' ordine, che lo portava talvolta a tormentare sé medesimo e gli altri ; la permalosità troppo schiva, quando credesse menomamente in questione le massime da lui professate e seguite; l' umore un po' strano e bizzarro, che univasi spesso alle manifestazioni dell' istintivo buon senso, della innata equità e rettitudine. Al di sopra di ciò, al di sopra di quanto potremmo oggi non approvare in qualche atto della sua vita politica, in qualcuna delle opinioni e convinzioni di lui, restava, però, e resta sempre quella forte originalità di natura, quel tesoro di virtù cittadina limpidissima come il diamante, a dire di Michele Amari, e com' esso impossibile ad intaccarsi. Avanzato negli anni e colpito da gravi malori, il Principe Castelnuovo emise le sue testamentarie disposizioni nel 1822, che ampliò e corresse con altri due supplementi nel 1827 e nel 1829, pria di morire. Ivi concretò le sue generose determinazioni per l' impianto del Seminario di Agricoltura nella Villa ai Colli e legò al Maresciallo Ruggiero Settimo, ch' ei disse " buono ed impareggiabile amico " il patriottico mandato di compire il fabbricato del Convitto con la qualità di esecutore testamentario e di lui ( Sostituto ). I tre testamenti surricordati racchiudono un tesoro di patriottismo e di filantropia, che onora altamente il Principe Castelnuovo e ne tramanderà glorioso il nome alle lontane generazioni. Egli lasciò alla moglie l' usufrutto dell' avito patrimonio e la proprietà all' Istituto Agrario. Ai suoi domestici e dipendenti invertì lo stipendio in pensione vitalizia, largheggiando in assegni e legati in modo addirittura regale. Alla Contessa Ventimiglia, madre del suo rimpianto nipote Principe Belmonte, largì altro legato ed al Comune di Santa Caterina, dove era parte del suo Stato feudale, dotò strade, scuole, orfanotrofio ed ospedale. Al suo " buono ed impareggiabile amico ", Ruggiero Settimo, donò in proprietà i due Padiglioni esistenti nel Parterre della sua Villa ai Colli con tutto il mobiglio che vi si conteneva, perch' egli, esecutore testamentario e suo sostituto, avesse l' agio di fermarvisi e disimpegnare con maggiore comodità il suo nobile mandato, autorizzandolo, altresì, a tenere come sue la stalla, la rimessa, ( e le officine annesse, per non mancare di alcun comodo volendo ivi dimorare qualche tempo dell' anno, restando in sua piena facoltà conoscere quanto potrà essere necessario destinare per il servizio del Seminario, in riguardo alle officine e stalla di sopra indicate, e far egli uso del rimanente dei corpi.) Tra tanta munificenza del Principe Castelniovo, che ha pochi esempj nella storia del nostro patriziato civile, due largizioni vanno specialmente lodate: il legato di quarantamila onze ( Lire 510 mila ) " a quell' uomo di Stato che avrebbe indotto il Re a restituire alla Sicilia la sua Costituzione " ed il premio di onze cento ( Lire 1275 ) , al Professore di Anatomia del nostro Ateneo, perché, sezionando il suo ca****re, illustrasse i mali che lo tormentarono in vita a sollievo del suo simile sofferente ! Queste due disposizioni testamentarie basterebbero per sé sole ad onorare la memoria del Principe Castelnuovo, il quale, non contento d' immolarsi alla patria per tutta la vita e di legarvi l' intero patrimono, volle che perfino il suo ca****re, sezionato dai ferri anatomici, servisse a vantaggio dell' umanità. Aggravati i suoi malori e tormentato da dolori atroci, il venerando Castelnuovo trascinava a stento la vita. L' 8 dicembre 1829 gli si fece credere che, sottoposto a dieta lattea e rinfrancato di forze, potesse trovar sollievo alle sue sofferenze nei ferri chirurgici. Fallita quest' ultima speranza, tentò porre termine perentorio alle stesse ingoiando prima il sublimato e poscia adoperando un' arma da fuoco; ma la mano amica del suo indivisibile domestico, Pietro Palagano, eluse i suoi sinistri disegni, sostituendo furtivamente il pane torrefatto al veleno e la carbonigia alla polvere da sparo. Falliti questi due tentativi, in preda ai dolori acerbi, che lo straziavano senza posa, ricorse ai lacci dei cassetti di un forziere per farne un cappio e strozzarsi. Il Palagano assente, chiuse la porta della propria stanza e, raccogliendo le forze estreme, appiccossi; ma i rantoli dell' agonia richiamarono a tempo il suo fido domestico, il quale, forzato l' uscio, giunse a salvarlo dall' asfissia. Ansante ancora e dibbatendosi convulsivamente, disse al suo amato Palagano : " giacchè mi lasci ancora in vita, morrò di fame. " E tenne al suo proponimento con fermezza invincibile, per cui l' illustre Francesco Perez ebbe a scrivere: " romanamente crudele a sé stesso, decise morire ". Chiamati al suo capezzale la moglie, Angiò, Frangipani, Settimo ed i suoi amati familiari, egli confessò e ne chiese vènia munendosi dei conforti religiosi. Al quinto giorno, l' inedia potè più che i dolori e rese l' estremo anelito a Dio !... Erano le ore 10 antimeridiane del 24 dicembre 1829. La Storia, nelle sue pagine adamantine, ha già registrato il nome eccelso di Carlo Cottone, Principe di Castelnuovo, come prototipo di patriota e di filantropo, di cittadino e di uomo. Di lui, reso oramai immortale, può dirsi con l' Emmerson: fu un vero carattere, rispecchiando la coscienza della società civile dei suoi tempi con manifestazioni nobilissime, ammirate dall' universale.
Pulizie di primavera a Villa castelnuovo
Manifestazione giorno 8 e 9 dicembre
villacastelnuovo
Eventi 2016 Presidente Salvo Foresta Direttore Artistico Fabrizio Corona
la Sicilia che c'è dal 6 al 15 maggio 2016 a Villa Castelnuovo
L'isola che c'è
l'isola che c'è
Villa Castelnuovo l'isola che c'è
Villa castelnuovo l'sola che c'è
mostra poster rivoluzione cubana
area giochi villa Castelnuovo
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Palermo
90100
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