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02/11/2024
29/10/2024

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26/10/2024

Ieri ho trovato degli spicci che mio padre aveva nelle tasche. Dopo quasi vent’anni mi sono finalmente deciso a donare tutti i suoi vestiti.

I miei li ho donati da tempo, ma come dare via la giacca dove appoggiavo il viso? Solo a scriverlo mi si gonfiano gli occhi di lacrime di stupore, prima ancora che di dolore. Dopo vent’anni io sono ancora stupito. E la sua assenza mi pare ancora improvvisa.

Ma è giunto il tempo di «lasciarlo andare». Di conservare qualcosa, ma non tutto. Ci misi cinque anni a rimuovere i mobili dalla sua stanza da letto che avevo lasciata intatta, e per cinque anni vi sono entrato come in un santuario. Adesso tocca ai vestiti.

Ho tirato fuori dall’armadio camicie che non gli ho mai visto indossare e altre a me ben note (la mia mente al solo vederle ha sentito il suo profumo di amaro e di fumo). Purtroppo io non le posso indossare. La natura mi ha fatto molto più grosso di spalle e di statura. Papà per me era un gigante, anche quando avevo vent’anni. Chissà come sarebbe vederlo ora, chissà se mi accorgerei che è piccolino.

E c’era qualche bigliettino nella tasca di un cappotto, con dei calcoli segnati sopra dalla sua grafia, fatta incerta da troppi anni di lavori manuali.

Finché una giacca mi ha tintinnato tra le mie mani, ho frugato nelle tasche e vi ho trovato giusti giusti due euro.

Quando papà ci lasciò, nel suo portafogli avevo trovato sette euro, e noi eravamo sette figli. Ed eravamo quasi tutti in lite tra noi. Ci vollero più di quindici anni per fare la pace. E ogni volta che facevo la pace con un altro figlio, con un’altra figlia, tiravo fuori uno di quegli euro e insieme prendevamo un caffè con i soldi di papà. Come se lui fosse presente a quella riunione. Come se noi figli condividessimo tutto di lui.

E quando spesi l’ultimo euro del portafogli e la famiglia fu riconciliata per intero dopo quindici anni, mi mancò quella tradizione.

Ma ieri sera ho trovato questi due euro. Giusto giusto due caffè. Adesso, appena tra qualche giorno torna mio fratello, andremo a prendere un caffè a quel bar di contadini tra le terre dove andavamo sempre con nostro padre. Offre lui.

Tratto dalla mia vita e dal romanzo «Il sapore dell'albicocco» ❤️

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25/10/2024

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25/10/2024
24/10/2024

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18/10/2024

(✏️ Fabrizio Caccia) È mercoledì 9 ottobre e Leonardo Calcina, 15 anni, invia 7 whatsapp alla mamma Viktoryia, tutti dello stesso tenore. È l’sos finale lanciato dal ragazzo, il suo ultimo grido d’aiuto prima di spararsi, quattro giorni dopo, nel buio di un casolare, con la pi***la d’ordinanza del padre Francesco, vigile urbano. Scrive Leo: «Mamma, ho parlato col prof di sostegno gli ho detto che voglio andare via dalla scuola». Sono messaggi in rapida sequenza: «Perché mi trovo male», «Non ce la faccio più, l’ho spiegato al prof» ma «lui non fa nulla, non mi ascolta, ha detto che la scuola fino a 16 anni è obbligatoria».

Leonardo non fa riferimento, nei messaggi, a tutte le molestie e le pesanti canzonature che subiva ormai ogni giorno da tre compagni, due ragazzi e una ragazza, della sua classe, all’istituto turistico alberghiero «Panzini» di Senigallia. È il padre Francesco, lunedì pomeriggio, dopo il ritrovamento del corpo, a mettere nero su bianco davanti ai carabinieri nella denuncia il dramma di quelle molestie ripetute: «Nostro figlio diceva a sua madre che i professori non riprendevano in classe questi alunni che offendevano lui o altri, ma talvolta facevano come finta di non accorgersi di nulla». La mamma, una signora bielorussa che da anni ormai vive in Italia, tramite l’avvocata Pia Perricci, aggiunge che il prof di sostegno, quello citato nei drammatici whatsapp degli ultimi giorni, pur dopo aver parlato con l’alunno non l’ha mai chiamata, almeno per segnalarle il disagio del figlio. 👉 Leggi l'articolo completo sul Corriere

18/10/2024

😪Mi alzo, facciamo colazione e mi invita a fare il pisolino accanto a lei. Non le piacciono più le foto, ha compiuto 90 anni. Una mia capo mi ha chiesto perché pubblichi foto con lei malata...

E sì, è un po' fragile ma è una roccia. Chi la conosce sa quanto era vanitosa e bella. Quando uscivo con lei, la gente si fermava a chiedermi se fosse l'attrice di 'Titanic'.

La portavo ai miei lavori e ai miei eventi. La accreditavo come giornalista e solo una volta Arturo Calle chiese cosa ci facesse una nonna al lancio della sua nuova collezione. La guardò e le disse: - Lei è molto elegante, signora. E lei rispose: - Grazie. Mi ha portato mio nipote. Io aggiunsi: - Scusate, non avevo con chi lasciarla. "Tranquilli, benvenuti", sorrise. - Soffrivo dentro -.

Ci travestivamo anche ad Halloween.
Ha portato i tacchi fino a 85 anni, trucco e tinta dorata. I suoi occhi azzurri ora guardano tristi. Non vuole più neanche lo smalto rosso sulle unghie. La lavo e lei stessa non riconosce il suo corpo e mi dice: - Mijo, guarda come sono ridotta. Mi giro perché non posso piangere davanti a lei, cambio argomento, la incoraggio e le porto il suo latte caldo con Ensure. E respiro perché è molto difficile vedere una persona che ha fatto tante cose nella sua vita, che ha studiato contabilità in un'epoca in cui le donne non avevano diritto a nulla, ha lavorato alla Corte dei Conti della Repubblica fino alla pensione, ha educato, cucinato, tessuto, dipinto... e ora aspetta solo la chiamata di Dio e lo desidera ogni giorno.

Mi dicono conoscenti se sono preparato. Io dico di sì. A volte non so, perché mi sveglio spaventato quando non la sento russare e mi si paralizza il cuore immaginando la sua partenza. E non saprei chi chiamare per primo quando succederà.
Discutiamo perché non mangia. Con molta difficoltà le dò da mangiare con il cucchiaio. Tempo fa, i vicini chiamavano spesso la polizia e mi denunciarono per abbandono e maltrattamento. Ma dissi loro: - Devo lavorare, studiare, fare la mia vita e costruire il mio futuro, perché lei se ne va e io resto. Lo hanno capito col passare dei 10 anni che è stata a mio carico. Non si è adattata a una casa di riposo. E io ho deciso che deve stare a casa sua. Quella che lei ha lavorato per ottenere. Questa era la volontà di mia madre quando è morta qui. "Prenditi cura di lei", mi disse.

18/10/2024

Che cosa faticosa l’odio, non trova? Mi domando che rispetto di se stessi abbiamo coloro che non sono in grado di rispettare l’unicità degli altri. Chi non capisce, chi non rispetta, chi non ascolta l’unicità degli altri è una persona sfortunata perché non si concede la libertà di farsi ispirare dal pensiero degli altri. È una prigionia che non auguro a nessuno

-Drusilla Foer

18/10/2024

Indirizzo

Via Capuana 4
Piombino
57025

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