12/11/2016
FAGIOLINO! Lasagne e Colli Bolognesi Pignoletto DOCG
Fagiolino è quasi sempre il personaggio protagonista delle Commedie brillanti e una delle principali maschere del teatro tradizionale dei Burattini in Emilia Romagna. È un raddrizzatore di torti, paladino della virtù, bastonatore di cialtroni, furfanti ed arroganti. Lo stanghetto ( o bastone), o meglio “il suo fratello” come usa definirlo, è il suo inseparabile compagno. Fagiolino è sempre molto ricco di appetito e povero di portafoglio… farebbe di tutto per un piatto di lasagne alla bolognese e non si accontenta di un vino qualunque, cerca il Colli Bolognesi Pignoletto Docg.
Più strati di pasta all'uovo (gialle o inverdite con gli spinaci) arricchiti con un ripieno, cremosissimo, a base di besciamella, ragù e parmigiano grattugiato. Non ci può essere una sintesi migliore dell’anima emiliana della cucina bolognese, ricca, golosa e nostalgica di una certa dolcezza della cucina di nobili e borghesi. “Irrinunciabili.”, è perentorio Daniele Minarelli quando parla delle lasagne, sempre presenti nel menù della sua Osteria Bottega. Poco si sa sulla nascita delle lasagne alla bolognese come le conosciamo, nemmeno l'Artusi ne fa menzione del suo testo, che pur rappresentava una collezione delle più importanti ricette tradizionali italiane. Ci sono citazioni di pasticci, ma l’idea precisa di lasagna arriva solo nel Novecento. Il primo a parlarne è Paolo Monelli non ne consacrò definitivamente il successo citandole nel suo "Ghiottone errante", un capolavoro di critica gastronomica datato 1935. La fama delle lasagne è infatti legata all’opera dei ristoratori bolognesi che iniziarono a farle conoscere alla loro clientela. Ognuno con una sua ricetta, come ad esempio quelle proposte da Giovanni Zurla al suo pappagallo, allora in via delle Pescherie Vecchie. A questo proposito è illuminante leggere la ricetta di Bruno Tasselli, cuoco storico del Pappagallo, delle “Lasagne gialle coi funghi”, un piatto mitico del locale. Si capisce bene come le lasagne siano la sintesi di una cultura della sfoglia e di un’idea di cucina che attinge a piene mani alla ristorazione professionale dell’epoca e quindi della Francia. Ci sono salse e fondi e una certa idea di morbidezza e cremosità. La lasagna moderna nasce così a Bologna al ristorante e trova una consacrazione negli anni ’50 quando era proposta da tutti i ristoranti importanti della città. Lo testimonia bene anche Guido Piovene nel suo “Viaggio in Italia” del 1957. “La lasagna nasce al ristorante all’inizio del Novecento e solo dopo arriva nelle case dove era diventato un piatto della domenica.”, a parlare è Alberto Amerigo, patron di Amerigo 1934 di Savigno, “Noi la proponiamo solo raramente nella versione classica perché la usiamo come contenitore per proporre ingredienti di stagione: zucca, funghi, asparagi, carciofi, cacciagione, tartufo nero, ragù bianco. E spesso senza usare salse e besciamella.”. Un’idea di piatto legittimata da Piero Camporesi: “Non bisogna infatti dimenticare che la cucina è arte combinatoria, di interpolazione più che di invenzione, i cui processi avvengono sotto il segno della variazione più che della creazione pura; e che la storia della cucina è fondamentalmente storia della morfologia delle pietanze di cui andranno individuati gli elementi variabili e quelli costanti.”.
Il viaggio del Pignoletto (il vitigno è Grechetto Gentile) va dalla pianura alla collina. Le prime notizie bolognesi del vitigno lo vedono infatti protagonista delle alberate frangivento che proteggevano i campi di canapa della bassa bolognese. Nell’alberata era tipicamente presente il pignoletto, allora chiamato pignolo come attesta un documento rinvenuto nell’archivio della famiglia Lodi (ora Lodi Corazza) che parla di una vendita di casse d’uva pignolo fatta da Luigi Lodi, noto a Bologna come botanico e come primo curatore dell’Orto Botanico della città. Siamo a Zola Predosa, ma in effetti la canapa era diffusa fin sulle prime colline. “Lo chiamavano pignolo ed era un’uva amata dai mezzadri perché produceva molte foglie e dunque era ideale come barriera per il vento. Il centro di queste alberate era Calderara di Reno. I padroni chiedevano Albana, ma i contadini piantavano pignolo!”, a parlare è Enzo Garagnani, titolare negli anni ’70, insieme al socio Anderlini, dell’azienda Al Pazz (il pozzo) di Montebudello, “Poi successe che questo vitigno convinse tutti per la rusticità e per i profumi e si diffuse pure in collina a partire dagli anni ’50. Noi fummo i primi ad indicare in etichetta il nome Pignoletto bolognese a metà degli anni ‘70. E fu un successo che portò in pochi anni alla DOC”. Se da una parte in pianura il Pignoletto si esprime con una certa struttura e qualità (nonostante la vigoria che porta a produzioni quantitativamente importanti!) , dall’altra sui colli bolognesi il Pignoletto ha trovato espressioni complesse e raffinate che sono una lettura precisa dei diversi suoli che compongono il mosaico di terroir di questo territorio. È questo il vero potenziale del CB Pignoletto Docg, che può esprimersi sui richiami alle erbe, oppure sulla mineralità, o ancora sui richiami floreali e di frutta bianca. Una questione di radici!
Giorgio Melandri
Curatore Enologica