25/02/2017
Ho trovato su internet un racconto che fotografa molto bene forse la parte rimasta ancora più intatta della Thailandia e i suoi abitanti. L’Isaan, la Thailandia ai confini del futuro. Lo riporto integralmente e se hai 5 minuti di tempo e lo vuoi leggere mi farà molto piacere :)
CONTATTA PURE IL CONSULENTE DI VIAGGIO INVIANDO UN MESSAGGIO SU QUESTA PAGINA SE VUOI ORGANIZZARE IL TUO VIAGGIO IN THAILANDIA
"La mia nuova avventura si chiama Isaan. Sento la forte esigenza di condividerla, di dire al mondo intero che esistono ancora persone vere, spontanee, ricche di quel qualcosa d’intangibile a cui troppo spesso non diamo più il giusto valore. Ma come faccio a raccontare le emozioni che provo ripensando ai giorni trascorsi lontano dal frastuono delle metropoli? Potrebbe uscirne un libro.
L’Isaan è la vasta regione del nordest della Thailandia schiacciata dei confini con Laos e Cambogia. Un territorio in massima parte pianeggiante, non toccato dal mare, i cui ritmi di vita sono scanditi dai cicli naturali delle stagioni secca e delle piogge. Una terra fertile dove però le scarse risorse economiche consentono un solo ciclo produttivo all’anno. Una zona in cui si parla una lingua che è la fusione di tailandese e lao. Una nazione nella nazione in cui le tradizioni sono ancora importanti e la gente è genuina e vera. Una terra in cui il turismo non è la principale risorsa economica e dove ci sono ancora bambini che hanno visto un occidentale solo in televisione.
Come sempre il mio viaggio ha preso vita nel momento in cui ho deciso di intraprenderlo. Per due settimane ho cercato di immaginarmi cosa mi sarei dovuto aspettare visto che non andavo in vacanza in una meta turistica famosa o in un albergo superlussuoso di Samui. Quando Noom, il mio massaggiatore ma soprattutto amico, mi ha invitato ad accompagnarlo a casa a trovare la sua famiglia dopo un anno di assenza mi sono sentito profondamente onorato. Una delle emozioni più belle che ho mai provato è organizzare un viaggio solo perché finalmente sei integrato nel contesto sociale in modo così forte che ti invitano a fare visita alla famiglia che vive lontana. Come rifiutare, come dire di no ad una simile opportunità? Soprattutto visto che non è normale per un tailandese aprire le porte di casa propria ad un estraneo. Che io non sia più un estraneo?
Dopo un volo di meno di un’ora con un nuovissimo aereo dell’AirAsia atterriamo all’Aeroporto Internazionale di Udon Thani, un piccolo aeroporto nel bel mezzo del niente che lascia intravedere gli splendori passati di una base militare dell’Aeronautica. Un nutrito gruppo di persone offre ai viaggiatori appena atterrati le proprie auto private per raggiungere la stazione degli autobus; solo dopo aver pagato il biglietto del bus (circa 50 baht a persona) ho realizzato che percorrere in auto 3-4 km è stato 5 volte più costoso che percorrere in autobus i circa 100 km che separano Udon Thani da Sakon Nakhon.
Ma quanto tempo ci vuole per percorrere 100 km? Dipende dalla fortuna e dell’autobus che si sceglie e, tanto per entrare nella filosofia del non aver fretta, noi siamo capitati in quello locale, che si ferma in ogni cittadina o gruppo di case, un autobus che spegne il motore nel mezzo dell’assolata campagna per far salire o scendere passeggeri pendolari (in molti vengono avvertiti dell’arrivo direttamente con una telefonata da parte dell’autista preoccupato per l’assenza dei suoi clienti fissi alla solita fermata) e commercianti che offrono cibo e bevande per alleviare la noia del viaggio. E c’è poi la pausa per il pranzo e la sosta per il bagno. Ma ci sono soprattutto i sorrisi sorpresi ed imbarazzati dei locali che non hanno mai visto un farang (così vengono chiamati gli stranieri occidentali) in un autobus in quella zona. E così i 100 km li percorriamo in 4 interminabili ore.
Interminabili perché io ho fretta di conoscere la famiglia di Noom e non riesco a godere appieno del verde intenso dei campi di riso ancora irrigati che è in forte contrasto con il rosso della terra arida, un rosso dato dal ferro presente in abbondanza e che rende il terreno fertile e dona alle buganvillee selvatiche un colore così intenso da ravvivare i colori pastello del paesaggio inaridito dalla mancanza di piogge.
Dopo circa 4 ore arriviamo finalmente al BigC (una sorta di Ipercoop dai prezzi davvero contenuti) di Sakon Nakhon dove l’intera famiglia di Noom ci sta aspettando. Tutti, proprio tutti: genitori, fratelli, sorelle, cognati e nipoti sono tutti venuti ad accogliere il mio amico e a conoscere i farang che sono arrivati con lui. Tanto più che il nostro arrivo ha fornito la scusa per tutti di andare in città per lo shopping e godere dell’aria condizionata.
Gli ultimi chilometri che ci separavano dalla casa dei genitori di Noom li ho percorsi sul posteriore di un pick-up, come non avevo mai fatto ma che tante volte ho visto per le strade con sorridenti tailandesi dai capelli neri corvini scompigliati dal vento.
In una terra che si può permettere un solo raccolto l’anno (a differenza di altre in cui l’abbondanza d’acqua dai corsi dei fiumi consente fino a 3 raccolti) la dignità è una ricchezza che va ben oltre il denaro e potrei parlare per ore di questo. Un valore che non si acquista ma che si tramanda di generazione in generazione, seduti a terra intorno al cibo. Dignità ed eleganza nei gesti, nelle parole, nei modi e nelle tradizioni.
Fra gli usi più toccanti c’è una sorta di cerimonia di vestizione dell’ospite. La madre di Noom, donna fulcro della microsocietà rappresentata dalla famiglia, mi accoglie in casa avvolgendo attorno ai miei fianchi un panno di cotone tessuto a mano da lei: un benvenuto all’ospite a cui viene consegnato una stoffa che può servire da asciugamano, lenzuolo, copricapo o semplicemente da ricordo del soggiorno. Alla vestizione è seguita una benedizione, un misto di magico e religioso in cui il sacerdote è sempre lei, la donna, la madre. Tutti a pendere dalle sue labbra per scoprire cosa i suoi saggi occhi, velati dalle cataratte, ma non per questo meno perspicaci, hanno visto in me. E io a pendere dalle labbra di Noom, l’unico capace di tradurre in Inglese le parole della madre. Parole semplici, parole sagge, parole affettuose che mi invitano a godere del soggiorno e di tutto quello che la casa può offrire.
Il ritmo del tempo del mio primo pomeriggio è scandito in modo lento dai bambini che giocano nell’aia e si rincorrono a piedi nudi e dal rientro al tramonto dei bufali dal pascolo, lenti e autonomi, infastiditi solo dalla mia macchina fotografica che incessantemente cerca di immortalare ogni momento di questa magica esperienza. E il tempo è scandito anche dall’attesa che la processione di monaci passi nuovamente davanti alla casa. In una terra dove la modernità è un concetto relativo, ho avuto modo di vivere l’esperienza di tradizioni che a Bangkok sono oramai scomparse: ad un anno di distanza dalla morte di un “caro”, amici e familiari si riuniscono in una 3 giorni di festeggiamenti e preghiere per ricordare la persona che non c’è più. Un clima allegro e spensierato, molto lontano dal nostro modo di vivere la morte. Ovviamente essere “lo straniero” mi ha catapultato immediatamente al centro dell’attenzione. Tutti pronti a offrirmi da bere e a farmi assaggiare quello che è appena stato amorevolmente preparato con ingredienti semplici; tutti che cercano di comunicare incuranti del mio “livello thai sottozero”, ciascuno con la sua storia, semplice, fatta di cose vere e valori troppo spesso dimenticati dalla frenetica società moderna. Il tutto arricchito da musica e balli tradizionali, in cui generazioni diverse si muovono sincrone in modo sensuale.
Alba e tramonto, pioggia e siccità, nascita e morte, il riso. Questi gli argomenti della conversazione prima di sdraiarmi e abbandonarmi al meritato riposo disteso su un materasso fatto in casa adagiato a terra. In lontananza il cantilenante suono delle voci dei monaci che pregheranno tutta la notte nella casa accanto.
Sembra che fuori sia ancora buio eppure percepisco chiaramente che la vita nel villaggio ha ripreso a scorrere. È ora di alzarsi, fare la doccia e andare al tempio. Fuori dalla stanza in cui abbiamo dormito Muu (che significa “maiale” e che è stato dato come soprannome al nipote più piccolo di Noom per le sue guanciotte paffute e rosee) gioca da solo sotto gli occhi apparentemente distratti del nonno intento a cucinare per tutti “caw niew” (letteralmente riso appiccicoso). Non faccio in tempo a realizzare che l’assenza di acqua corrente mi costringerà ad una doccia con acqua fredda che già mi sento rinvigorito e la presenza sorridente di tutta la famiglia radunata attorno al tavolo per condividere il cibo è motivo di gioia d’orgoglio per Noom.
Lo stesso orgoglio di suo padre per il riso che cucina ogni mattina. Il riso che viene amorevolmente piantato a giugno e raccolto a novembre. Lo stesso riso che conserva in una sorta di capanna in legno dove, finita la colazione, mi accompagna affinché possa vedere il suo tesoro. All’apertura della piccola porta cigolante un profumo di gelsomini invade l’aria. Orgoglioso immerge le mani nei chicchi dorati e mi dice di annusare. Negli occhi la fierezza di far vedere che alla soglia dei 70 anni è ancora in grado di produrre il riso per sé e la sua famiglia per tutto l’anno. Tornerò a Bangkok con il ricordo indelebile di un vecchio che sorride dolcemente alla vista di ciò che le sue fatiche hanno prodotto, da sempre, da quando era bambino e che non avrà fine con la sua morte perché ha saputo tramandare ai suoi figli la stessa passione e lo stesso orgoglio che ha animato la sua esistenza.
Il pick-up che abbiamo noleggiato è arrivato. Nessuno vuole che mi sieda dietro visto che potrebbe piovere. Credo abbiano letto la nuvoletta del mio pensiero che diceva “… e chi se ne frega se piove… sono troppo felice!” e così si parte alla volta di Nakhon Phanom, con me comodamente seduto nel portabagagli scoperto, fra i bambini e le donne.
Lungo la strada campi di riso pronti per la prossima semina e mandrie di bufali sdraiati nella melma, come quelli delle foto così frequentemente viste nelle pagine internet che avevo consultato per cercare di capire cosa mi sarei dovuto aspettare, si alternano sotto i nostri occhi per i circa 130 km che ci separano dal confine con il Laos a That Phanom. La pioggia non si attarda ad arrivare portando con sé un nuovo motivo per sorridere e per stringersi gli uni agli altri.
Arrivati nei pressi di Phra That Phanom l’atmosfera si scalda. Il numero di persone giunte qui per l’annuale festival religioso è sorprendente. Tutte sorridenti, dai tratti somatici evidentemente diversi da quelli a cui mi sono abituato vivendo a Bangkok, e di certo mosse da qualcosa che non si trova in nessuna guida turistica. Questo tempio, il più importante e venerato della regione, ha circa 1500 anni di storia e fonde stili tailandesi a quelli lao, sia architettonici che nei riti religiosi. La benedizione è molto folkloristica e colorata, con la gente che a piedi nudi segue i musicanti in processione e l’incenso rende l’aria irrespirabile.
Finiti i rituali d’obbligo usciamo dal tempio e ci incamminiamo fra i vicoli del mercato verso il confine Thailandia-Laos. L’emozione cresce mano a mano che incontriamo donne con i tipici vestiti lao e che si avvicina il momento di salutare tutti per attraversare il fiume Mekong e proseguire l’avventura fuori dal territorio tailandese. In questa zona il Mekong ha già assunto dimensioni imponenti e le acque torbide scorrono tranquille a segnare il confine fra i 2 paesi. Lungo il fiume, su entrambe le sponde, sorgono numerosi ristoranti dove mangiare i piatti tipici della regione. Non vedo l’ora di poter assaggiare la versione originale dell’insalata piccante di papaya (som tum) ma, sfortunatamente, ne resto deluso perché qui tutto ha il “pà-là” ovvero una salsa di pesce fermentato che non riesco proprio a mandare giù. Per fortuna che ordiniamo tanti piatti diversi e ci siamo portati da casa il riso avanzato dalla colazione.
Dopo il pranzo ci avviamo verso la frontiera, un piccolo molo riparato da tendoni da cui partono regolarmente i traghetti che attraversano il fiume. Con il tempo ho imparato che qui i programmi si fanno e poi, in meno di un secondo, si disfano senza che ci si possa ribellare o neanche arrabbiare. È giornata di festa e la fila per imbarcarsi sul traghetto che porta in Laos è lunghissima. La maggior parte delle persone attraversano solo per fare un’escursione oltreconfine e mangiare in un qualche ristorante dall’altra parte del fiume. Noi invece vorremmo trascorrere almeno 3 giorni scendendo il fiume ed esplorando il Laos. Finalmente arriva il nostro turno e l’ufficiale della frontiera fa cenno a Noom di avvicinarsi.
Niente da fare. Non possiamo attraversare visto che hanno sospeso per le feste le pratiche di immigrazione/emigrazione per i non asiatici. Leggo negli occhi di Noom un misto di delusione e gioia. Se da un lato non potremo andare a visitare il Laos dall’altro lui potrà passare più tempo con la sua famiglia. Sorrido all’idea di poter approfittare per approfondire la conoscenza con la famiglia di Noom.
Durante il rientro a casa la mamma di Noom insiste per sedersi fra me e suo figlio, pronta a rispondere alle mie domande curiose. Lei non fuma, è una donna e nelle zone rurali non è ben vista una donna che fumi. In compenso si dedica alla tradizione millenaria (pratica per un certo periodo dichiarata illegale e diffusa oltre che in Thailandia anche di altri paesi asiatici e dell’Oceania) di masticare una mistura rossastra a base di noce di areca e foglie di betel dagli effetti inebrianti e che causa, fra l’altro, una leggera colorazione rossa delle labbra e la colorazione nerastra dei denti. È una donna naturalmente elegante in tutti i suo gesti. Elegante nell’estrarre dalla borsa il piccolo mortaio con cui si prepara il suo chewinggum, elegante nel dedicarsi alla masticazione di questo colorato miscuglio. Gesti lenti che sembrano dei rituali.
I giorni successivi si sono susseguiti senza fretta, secondo il ritmo naturale che asseconda la fame e la sete e la stanchezza, con le gambe incrociate a contemplare le donne che svolgono i lavori domestici con le modalità di altri tempi, senza il frastuono degli aspirapolvere elettrici o la comodità di un microonde, o inginocchiato a cercare di carpire i segreti della cucina di questo angolo remoto della Thailandia, una cucina molto piccante, a base di salse di tamarindo e peperoncino.
Qui ci si sveglia quando il sole fatica ancora a fare capolino, fra le 5 e le 6 del mattino, con la costante sorpresa di vedere che c’è sempre qualcuno già attivo. Il papà di Noom è sempre il primo ad essere in piedi: cucinare il caw niew è un rituale quotidiano e non solo delle occasioni speciali e richiede tempo; il riso deve essere prima lasciato a bagno perché rilasci l’amido e si ammorbidisca; solo dopo si cuoce per circa 20 minuti al vapore in imbuti di bambù, fino a farlo diventare translucido, morbido e appiccicoso ma non bagnato. Quello che a fine giornata non è stato mangiato viene impastato con uovo e cotto sui carboni: il riso è troppo prezioso per essere sprecato. Dopo il riso ci sono i bufali: vanno puliti, nutriti e liberati. Da soli vanno al pascolo e da soli ritornano a casa. Sono ancora usati per trasportare oggetti e per lavorare i campi e vengono venduti, barattati, macellati, garantendo una remunerazione aggiuntiva. Poi c’è Muu da sfamare e accompagnare a scuola.
In Isaan è ancora comune vedere i nonni crescere i nipoti perché i genitori vivono e lavorano a Bangkok e non hanno tempo per prendersi cura dei figli. E così i nonni accudiscono 1, 2 o anche 3 rampolli schiamazzanti che però hanno così modo di crescere in un ambiente sereno, lontani dallo smog e a contatto con la natura. Magari non sono tirati a lucido come i bambini occidentali, forse non hanno i vestiti alla moda o i giocattoli supertecnologici ma sono felici e si legge nei loro occhi e nei loro sorrisi. Non c’è cosa più bella che rotolarsi a terra giocando con i bambini: non ci serve parlare, non ci serve usare le parole per capirci. Il pomeriggio, finita la scuola, passeggiare, cacciare gechi e rane o inseguire i galli rappresentano i giochi preferiti e la tv (nessuno schermo ultrapiatto o tv via satellite) trasmette qui solo soap opera di produzione locale e canzoni con i sottotitoli per fare il karaoke anche in casa.
Nonostante tutto è arrivato comunque il momento dei saluti. Il tempo che sembrava essersi fermato in realtà non si è dimenticato di scorrere e così ci troviamo a rifare il trolley con un pizzico di malinconia. Noom tornerà al lavoro e non sa quando potrà tornare a trovare i suoi genitori; io non so se li rivedrò mai. Ancora una volta le parole non servono a comunicare e, da un mobile impolverato, escono 2 teli attentamente avvolti nel cellofan: sono teli di pura seta tessuta a mano sul telaio dalla mamma di Noom. Ci vogliono almeno 5 giorni di lavoro continuativo per realizzarne uno e lei me lo porge come dono per mia madre, come segno di ringraziamento per l’amicizia che lega suo figlio a me. Accetto promettendo di ripagare il dono andando a lavorare nelle loro risaie a novembre. So che il tempo a Bangkok trascorrerà più veloce che qui in Isaan.
Anche il rientro è stato riprogrammato, all’insegna del non avere fretta. E così, annullato il volo, abbiamo optato per 10 ore di autobus e una buona scorta di riso profumato da riportare a Bangkok insieme a tanta nostalgia. Lungo la strada principale del villaggio di Noom ci sono diversi “bar” e negozietti dove cartelli prevalentemente in tailandese espongono prezzi e orari degli autobus che vanno a Bangkok. Con i soldi risparmiati sul volo volevamo quantomeno concederci il viaggio in categoria VIP (700 baht in poltrone che si trasformano in comodi letti) ma i pochi posti disponibili sull’autobus delle 18.30 sono già prenotati e così, ulteriore risparmio, ci accontentiamo di un normale posto per soli 400 baht. A mezzanotte una sosta per mangiare e poi, di filata fino al capolinea di Mo Chit alla periferia della capitale da cui partono e arrivano, 24 ore al giorno, persone provenienti e dirette in tutta la Thailandia. "
Il racconto è finito....probabilmente se sei arrivato a leggerlo fino ad adesso vuol dire che ti è piaciuto....e saremo ben lieti di poterti mettere in contatto con questo popolo e felici se lo vorrai andare a trovare e passare qualche giorno con loro!! Simone