31/01/2025
👇🏻Interessantissima storia sulla conquista del Monte Everest..😯
SOLO UNA VECCHIA SCARPA
È stato ritrovato un vecchio scarpone.
Niente di speciale, direte voi.
E invece questo scarpone sta scuotendo come un terremoto la comunità internazionale degli alpinisti.
Intanto perché lo scarpone è stato ritrovato sull’Everest, ad oltre 7000 m di quota; poi perché dentro lo scarpone c’è un piede, congelato.
Ma soprattutto perché il piede ha anche un calzino, con tanto di etichetta, e l’etichetta riporta, inequivocabili,
iniziali del suo proprietario: “A. C. Irvine”, Andy Comyn Irvine, forse il corpo più ricercato di tutta la storia dell’Alpinismo
Ma andiamo con ordine.
La Storia ci insegna che l’Everest fu conquistato per la prima volta nel 1953 da due membri una spedizione Inglese, Edmund Hillary e Tenzing Norgay: a loro la gloria eterna di essere i primi esseri umani sul tetto del Mondo.
La corsa all’Everest era partita dopo la prima guerra mondiale e gli inglesi, smaniosi di affermare la propria supremazia, ci avevano provato con tre grandi spedizioni nel 1921, 1922 e 1924, tutte capitanate dal miglior scalatore del periodo, l’inglese George Mallory.
Mallory era un bel personaggio: insegnante di inglese a Cambridge, lettore, scrittore e -ovviamente- ottimo scalatore; innamoratissimo della moglie Ruth e dei suoi tre figli, ma con quella scintilla dentro che hanno alcuni uomini speciali che amano la casa in cui tornare, ma non riescono a resistere all’impulso di partire per un’avventura.
Prima di lasciare Londra per la terza ed ultima volta nel febbraio del 1924, George fece due promesse alla sua amata moglie Ruth: che questa sarebbe stata la sua ultima spedizione, e poi avrebbe smesso per sempre con le scalate. Che avrebbe portato sempre con se, nel taschino sinistro vicino al cuore, la foto di Ruth, e che se ne sarebbe separato solo una volta conquistata la vetta, per lasciarla lì sul Tetto del Mondo.
Abbiamo notizie molto precise di quello che successe giorno per giorno durante quella spedizione, dal giorno della partenza sino all’8 giugno, poi l’epilogo è avvolto nel mistero.
Il 7 giugno del 1924 George Mallory ed il suo compagno Andrew “Sandy” Irvine raggiunsero quota 8170 metri insieme a due Sherpa, e montarono una tenda, che fungerà da sesto ed ultimo campo, mandando indietro i due portatori al campo dove c’erano i loro compagni.
Gli Sherpa porteranno con loro un biglietto con le ultime comunicazioni di Mallory e Irvine, in cui informano che il giorno dopo tenteranno la vetta, e che “il tempo per l’ascensione appare ideale”… “intorno alle 8 di domani mattina dovreste cominciare a vederci salire” e che i respiratori “sono un maledetto peso per scalare”.
La mattina dell’8 giugno Gerry Odell salì dal campo quinto per raggiungere i suoi compagni, trovò il campo VI e la tenda vuota usata la notte precedente da Mallory e Irvine. Verso le 12,45 scorse i due, parecchio più in alto, che si arrampicavano tra i nevai nei pressi dei salti rocciosi della cresta, ad un’altitudine che stimò di circa 8600 metri. Poi le nuvole avvolsero la cima e Mallory e Irvine sparirono alla vista.
Per sempre.
Qui ora serve una digressione.
Scalare l’Everest non è affatto semplice.
Non tanto per l’aspetto tecnico, dicono gli esperti che ci sono montagne tecnicamente molto più complicate. Il problema è proprio l’altezza.
Man mano che si sale di quota, l’aria inizia a rarefarsi, cala la percentuale di ossigeno, e il corpo inizia a funzionare male.
A 7000 metri a causa della mancanza di ossigeno ogni gesto diventa faticosissimo, e aumentano le probabilità di soffrire dei sintomi del mal di montagna.
Superati gli 8000 metri si entra in quella che viene chiamata “zona della morte”: l’ossigeno è diradato a circa un terzo rispetto alla percentuale presente al livello del mare, ed il corpo inizia letteralmente a morire; può volerci più o meno tempo, a seconda dell’età e della costituzione, ma se non si hanno notizie di esseri umani sopravvissuti più di 36 ore oltre quota 8000.
A questo quadro idilliaco vanno aggiunti gli effetti della temperatura, mai al di sopra dei 17 gradi sotto zero con punte di meno 50, e del vento, che può facilmente superare i 100 Km/h.
Sopravvivere in queste condizioni è già estremamente difficile al giorno d’oggi, con l’ossigeno, i respiratori, le tute termiche e tutti i ritrovati aerospaziali che vengono prestati all’alpinismo.
Immaginiamo quanto doveva essere dura per Mallory ed Irvine nel 1924.
Stiamo parlando di un secolo esatto fa, e di un altro mondo.
L’equipaggiamento era costituito da picozze di legno, maglioni di lana, calze di gabardeen, scialli di plaid e berretti di cuoio.
Unica tecnologia disponibile: una macchina fotografica “Kodak Vest pocket” con l’obiettivo a soffietto, per documentare l’eventuale conquista della vetta.
Non c’erano telefoni satellitari o Gps, non c’erano ricetrasmittenti, non c’erano maglie in pile, tute termiche e bombole di ossigeno ultraleggere.
C’era solo una montagna inesplorata e il loro grandissimo cuore.
Torniamo all’8 giugno.
Odell, solo e senza più forze per andare oltre, rivolse una preghiera per i due compagni e se ne tornò giù nella relativa sicurezza del campo quinto, al di sotto della zona della morte.
La mattina successiva, il 9 giugno, risalirà al campo sesto con due Sherpa, sperando di trovare i due componenti della squadra di vetta, ma troverà la tenda vuota.
La loro assenza nella tenda era un verdetto inappellabile: nessuno può sopravvivere più di due giorni, senza tenda, oltre quota ottomila. George Mallory e Sandy Irvine erano morti.
Odell, dopo aver cercato intorno al campo VI, non potè far altro che tornare giù, portando con se la ferale notizia e un mistero: come erano morti Mallory ed Irvine?
Ma soprattutto, la disgrazia era avvenuta in salita (prima cioè di raggiungere la vetta) o in discesa, dopo aver conquistato l’Everest?
Questo dubbio, tutt’ora irrisolto, rappresenta uno dei più affascinanti misteri dell’alpinismo, e una vera e propria ossessione per gli Inglesi.
Numerose spedizioni si sono susseguite alla ricerca dei corpi di Mallory ed Irvine, nel tentativo di ricostruire quello che è successo sulla parete nord tra l’8 e il 9 giugno del 1924.
Hillary stesso, quando conquistò la vetta nel 1953, cercò invano eventuali tracce del passaggio di Mallory.
Ma la fame di ricostruzione della dinamica degli Inglesi si è dovuta accontentare di piccolissimi dettagli, emersi nel corso di decenni.
Finchè nel 1999 un’ennesima spedizione inglese partita alla ricerca dei resti di Mallory ed Irvine, si imbattè in un ca****re mummificato a quota 8300 metri. Guardando il video del ritrovamento, si percepisce la grande eccitazione degli scalatori nell’appurare, grazie ad un’etichetta ricamata sui vestiti a brandelli, che era proprio il corpo di George Mallory.
Il ritrovamento regalò alla storia dell’alpinismo alcuni punti fermi.
- Mallory aveva una gamba fratturata ed un forte trauma cranico: era morto per effetto di una caduta.
- Aveva in tasca gli occhiali da sole (che poi erano degli occhiali da saldatore, per rendere l’idea); vista la luce accecante che riverbera sopra gli 8000 metri, è impossibile starne senza nelle ore di luce: la caduta deve essere avvenuta dopo l’imbrunire.
- Aveva in tasca un orologio che segnava le 12,55: sul punto si è detto di tutto, nulla però mi pare determinante.
- Non aveva addosso la macchina fotografica, che avrebbe svelato il mistero: se fossero arrivati in vetta avrebbero sicuramente immortalato il momento. Evidentemente la Kodak (che non era nella tenda) deve essere sul corpo di Irvine.
L’opinione pubblica inglese e la stampa specializzata, sovraeccitate da tutti questi dati, hanno dato il via ad una serie infinita di congetture, di prove, controprove teorie e confutazione delle stesse.
In Rete si trova tanto di quel materiale, con le argomentazioni più disparate, da fare invidia ai siti dei complottisti sul falso sbarco sulla luna.
In questi giorni il ritrovamento dello scarpone di Irvine,come benzina sul fuoco, ha riacceso dibattiti e speculazioni.
Numerose sono le analisi che individuano prove a favore dell’arrivo in vetta; altrettante negano con convinzione una tale possibilità.
Ma se davvero si trovasse il corpo di Irvine, e se il rullino nella Kodak fosse ancora integro….la storia potrebbe essere riscritta.
Certo, il ghiaccio in un secolo può certo spostare un corpo, anche di parecchio. Ma ora c’è una traccia concreta, e una zona in cui cercare: la caccia al corpo di Irvine è ufficialmente te aperta.
Ma tra tante congetture ed elucubrazioni, c’è un dettaglio che continua a tornarmi in mente, e mi affascina.
Il taschino sinistro, vicino al cuore di Mallory, era vuoto: mancava la foto di Ruth.
Naturalmente questo non prova nulla, e possono esserci mille motivi per cui quella foto mancava.
A me però piace pensare che Mallory abbia mantenuto la promessa fatta a Ruth prima di partire.
E che, equipaggiato con picozza di legno e maglioni di lana, sia riuscito a compiere un’impresa impossibile portando la foto di sua moglie fin sulla cima della montagna più alta della Terra.