11/03/2022
Lo scorso 6 marzo il quotidiano il Domani ha pubblicato 14 opere, realizzate nel brevissimo arco temporale di 3 giorni da artisti internazionali, ai quali era stato chiesto di esprimersi sul tema della guerra in Ucraina.
Il lavoro secondo me di gran lunga più interessante, più concettualmente complesso e più coinvolgente è quello di Anish Kapoor, che mi fa piacere condividere con voi.
Rappresenta un uc***lo ferito, come in fiamme, che a stento si regge su una sola zampa su un terreno bianco sporcato da una macchia nera di petrolio che, insieme al sangue, sembra stillare direttamente dalla sua testa, dal suo occhio destro che non vediamo, ma che piange petrolio e sangue.
Di un nero più sfumato è il fondo, sul quale la figura straziata si staglia: lei dipinta in modo molto materico, il fondo con toni pastello che, nei grigi, divengono delicati e luminosi.
La figura si regge, ma – pur estremamente dinamica - non sembra poter avanzare, perché la zampa è una soltanto, la seconda ridotta a un moncherino.
Esattamente al centro del dipinto, in caratteri bianchi, due righe di testo della stessa lunghezza: “La guerra non si vince con il dolore inflitto, ma con il dolore che si riesce a sopportare.”
Traducendo, spontaneamente ho inserito una virgola, che però Kapoor omette; l’unico segno di interpunzione qui presente è il punto finale, a conferire un tratto definitivo, conclusivo, e irrefutabile al concetto.
War is won not by the pain inflicted
but by the pain that can be suffered.
Ed ecco che, grazie alla scritta, di questa figura straziata sentiamo non solo il dolore, ma anche la forza, la risoluta e irriducibile volontà di resistere a ogni costo.
Torniamo a concentrarci sull’uc***lo, ne vediamo l’occhio sinistro e non possiamo non guardarlo, perché a noi il suo sguardo è rivolto, è ciascuno di noi che – perentorio e quasi torvo - vuole e riesce a interrogare, impedendoci di passare oltre senza sentirci coinvolti.
Trovo che questo lavoro abbia una potenza straordinaria e, personalmente, me ne sono sentita profondamente toccata, turbata; lo stesso turbamento che da sempre provo di fronte a un altro sguardo che dritto a noi arriva dalla pittura, ossia lo sguardo del Marsia di Tiziano, che, scorticato vivo da Apollo, appeso a testa giù, un cagnolino a leccare il suo sangue che – come il petrolio di Kapoor - ha formato una pozza sul terreno, si rivolge a noi a interrogarsi e interrogarci sulla giustizia, sulla violenza, sulla consapevolezza, ma anche sul rapporto che a volte l’arte instaura con le contingenze del presente, con la storia.
Il contesto nel quale il Marsia di Tiziano fu concepito è quello della guerra di Cipro e, in particolare, dell’assedio ottomano alla città-fortezza di Famagosta, che resistette per quasi due anni, al comando del patrizio veneziano Marcantonio Bragadin. Le forze del sultano erano soverchianti, ma Bragadin resistette, finché nutrì la speranza che la flotta cristiana della Lega Santa sarebbe accorsa in difesa della Cipro veneziana. Quanto, nel 1571, questa speranza scemò, Bragadin non poté evitare la resa. Il comandante Lala Mustafa Pascià, furente ed esasperato da quella resistenza ad oltranza che mai si sarebbe aspettato, e che tanto era costata – in termini di denari e di perdite – all’esercito del sultano, inflisse al Bragadin una pena di efferata crudeltà: nonostante le condizioni della resa stabilissero l’incolumità per i patrizi superstiti, Lala Mustafa Pascià prese Bragadin, gli mozzò naso e orecchie e per 12 giorni lo espose alla berlina. Dopo averlo fatto ferocemente frustare, lo fece alfine legare a una colonna, dove fu scuoiato vivo. Le membra furono squartate e la pelle, riempita di paglia, fu issata sul pennone della galera del comandante turco, che come trofeo la portò a Costantinopoli. Trafugata nel 1580, la pelle di Marcantonio Bragadin è ora custodita nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo di Venezia, terribile testimonianza di una eroica capacità di resistenza.
Terribile testimonianza del valore di tutto il dolore che si può sopportare, trasformato in bellezza da Tiziano e, oggi, da Anish Kapoor, artista che a Venezia e alla sua arte è tanto profondamente legato.