24/11/2021
Le storie delle genti che si intrecciano con la solidarietà: Mario Rigoni Stern ci descrive la convivenza e l’integrazione con le comunitcomunità ebraiche internate sull’Altopiano di Asiago durante la guerra, una storia che in pochi conoscono.
Quello che vi raccontiamo oggi è un episodio, forse poco conosciuto, di solidarietà e umanità che coinvolse durante la Seconda Guerra Mondiale la piccola comunità montana di Canove, sull'Altopiano di Asiago.
Tra il novembre del 1941 e l'8 settembre 1943 vissero in questo paese una cinquantina di ebrei provenienti da varie nazioni europee che avevano cercato rifugio in Croazia e da qui, dopo la conquista italiana, erano stati trasferiti sull'Altopiano in internamento.
Inizialmente obbligati, su ordine del segretario del fascio, a vivere isolati dalla popolazione locale in un'edificio abbandonato nella zona della Romita, dove ai tempi della peste esisteva un lazzaretto, lentamente entrarono in confidenza con le famiglie locali prestando il loro aiuto per diversi lavori come tagliare la legna, falciare i campi, riparare i tetti, badare al bestiame, raccogliere le patate e la resina degli alberi e ricevendo in cambio latte e patate.
Nel giro di pochi mesi, riuscirono ad inserirsi pienamente nella vita del paese, tanto da essere accolti in casa dalle famiglie di Canove, lasciando di nuovo abbandonato l'edificio in cui erano stati confinati.
Dopo l'8 settembre 1943, gli ebrei furono costretti a scappare da Canove che stava per essere presa dai nazisti. Molti riuscirono a fuggire verso sud e a salvarsi, alcuni si unirono alla resistenza, altri invece furono catturati nella loro fuga e uccisi nei campi di sterminio o alle Fosse Ardeatine.
Dopo la guerra, alcuni tornarono in paese per portare notizie di sé e di altri alle famiglie che li avevano accolti e per ringraziarle dell'ospitalità ricevuta. Nel 2013 alcuni discendenti di quel gruppo arrivarono da Israele per incontrare a Canove chi aveva salvato i loro parenti.
Questa straordinaria storia è stata raccontata da Mario Rigoni Stern nel suo racconto “La segheria abbandonata”, che potete leggere nella raccolta “Ritorno sul Don”, uscita nel 1973.
Con queste parole commoventi l'autore ricorda tutti coloro che non fecero più ritorno:
“Ma più nulla si seppe dell'avvocato Lederer che leggeva la Divina Commedia, dei Moreno che con le loro capriole divertivano ragazze e bambini, più nulla di Günter che aggiustava i tetti e le gronde e colava pallini per i cacciatori, più nulla di Weiss, di Koen, di Slavko.
In un piccolo paese delle montagne venete è rimasto il loro ricordo. Nelle sere d'inverno, in osteria, ho sentito parlare di loro. Ma non sono più in tanti, ormai, a ricordarli; e nemmeno tanti, in paese, sanno che il tetto della chiesa è ancora quello aggiustato da Günter, che tante grondaie sono suoi lavori; e le massaie avranno relegato negli angoli delle soffitte i caldari che aveva rappezzato.
Non sono più in tanti a ricordare, poiché anche la maestra Caterina è morta, e anche il Toi,
inseguendo un capriolo per un'erta, e anche il Fin, schiacciato da un tronco caricando legname, e tanti altri che erano giovani allora hanno emigrato a lavorare per il mondo.
Ma nel ricordo dei paesi e delle città, delle pianure e delle montagne, delle lande e dei boschi dell'Europa orientale, per quello che ho visto e sofferto ho voluto sfogliare i vecchi registri polverosi e leggere i loro nomi anche per voi.”