13/12/2023
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Cammini Federiciani
𝙄𝙇 𝙏𝙍𝘼𝙈𝙊𝙉𝙏𝙊 𝘿𝙄 𝙐𝙉 𝙎𝙊𝙇𝙀
A 𝘾𝙖𝙨𝙩𝙚𝙡 𝙁𝙞𝙤𝙧𝙚𝙣𝙩𝙞𝙣𝙤, nelle campagne della Capitanata il 13 Dicembre del 1250, a soli 56 anni, moriva l'imperatore 𝙁𝙚𝙙𝙚𝙧𝙞𝙘𝙤 𝙄𝙄 𝙙𝙞 𝙃𝙤𝙝𝙚𝙣𝙨𝙩𝙖𝙪𝙛𝙚𝙣.
L’imperatore si era sentito male qualche giorno prima, durante una battuta di caccia. Lo aveva colpito un'infiammazione intestinale a cui presto seguì una serie violenta di attacchi di dissenteria, lo stesso atroce male, che nel 1197 aveva stroncato in giovane età la vita di suo padre, 𝙀𝙣𝙧𝙞𝙘𝙤 𝙑𝙄 𝙙𝙞 𝙃𝙤𝙝𝙚𝙣𝙨𝙩𝙖𝙪𝙛𝙚𝙣.
L’anno precedente, nel 1249, più di una sventura aveva messo a dura prova l’eccezionale tempra del sovrano.
Nel mese di Febbraio, a 𝘾𝙧𝙚𝙢𝙤𝙣𝙖, era scampato alla morte per avvelenamento.
Nello stesso mese 𝙋𝙞𝙚𝙧 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙚 𝙑𝙞𝙜𝙣𝙚, per molti anni consigliere, amico e 𝘣𝘳𝘢𝘤𝘤𝘪𝘰 𝘥𝘦𝘴𝘵𝘳𝘰 dell'imperatore, fu arrestato dalle truppe imperiali: accusato di 𝘢𝘭𝘵𝘰 𝘵𝘳𝘢𝘥𝘪𝘮𝘦𝘯𝘵𝘰, il notabile preferì la morte alla tortura e all’ignominia. Il delitto di cui fu protagonista rimane, ancora oggi, misterioso: forse si macchiò del reato di corruzione. 𝙁𝙚𝙙𝙚𝙧𝙞𝙘𝙤 𝙄𝙄 una volta disse che «𝘢𝘷𝘦𝘷𝘢 𝘵𝘳𝘢𝘴𝘧𝘰𝘳𝘮𝘢𝘵𝘰 𝘭𝘰 𝘴𝘤𝘦𝘵𝘵𝘳𝘰 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘨𝘪𝘶𝘴𝘵𝘪𝘻𝘪𝘢 𝘪𝘯 𝘴𝘦𝘳𝘱𝘦𝘯𝘵𝘦», ma poi non parlò più di lui e del dolore di un'amicizia tradita.
Appena tre mesi dopo, il 26 Maggio del 1249, l’amatissimo figlio 𝙀𝙣𝙯𝙤 cadde prigioniero dei Bolognesi. Inutilmente l’imperatore chiese la sua liberazione; da Bologna risposero con il crudo realismo della politica: «𝘴𝘱𝘦𝘴𝘴𝘰 𝘢𝘤𝘤𝘢𝘥𝘦 𝘤𝘩𝘦 𝘶𝘯 𝘱𝘪𝘤𝘤𝘰𝘭𝘰 𝘤𝘢𝘯𝘦 𝘤𝘢𝘵𝘵𝘶𝘳𝘪 𝘶𝘯 𝘤𝘪𝘯𝘨𝘩𝘪𝘢𝘭𝘦».
Il povero 𝙀𝙣𝙯𝙤, che, come ricordava 𝙁𝙧𝙖' 𝙎𝙖𝙡𝙞𝙢𝙗𝙚𝙣𝙚 era «𝘵𝘳𝘢 𝘵𝘶𝘵𝘵𝘪 𝘪 𝘧𝘪𝘨𝘭𝘪 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘱𝘪𝘶́ 𝘷𝘰𝘭𝘦𝘷𝘢», non riabbracciò più suo padre: morì a Bologna dopo 23 anni di una dorata, ma implacabile prigionia.
In quell’orribile 1249 si spense a soli 24 anni anche 𝙍𝙞𝙘𝙘𝙖𝙧𝙙𝙤 𝙙𝙞 𝙏𝙚𝙖𝙩𝙚, un altro figlio naturale al quale 𝙁𝙚𝙙𝙚𝙧𝙞𝙘𝙤 𝙄𝙄 aveva affidato il comando della Romagna, della Marca di Ancona e di Spoleto. 𝙍𝙞𝙘𝙘𝙖𝙧𝙙𝙤 p***e la vita nella 𝘽𝙖𝙩𝙩𝙖𝙜𝙡𝙞𝙖 𝙙𝙞 𝙁𝙤𝙨𝙨𝙖𝙡𝙩𝙖, durante la quale fu fatto prigioniero dai Bolognesi anche 𝙀𝙣𝙯𝙤.
Nei suoi ultimi giorni di agonia, steso su un letto nella rocca di 𝘾𝙖𝙨𝙩𝙚𝙡 𝙁𝙞𝙤𝙧𝙚𝙣𝙩𝙞𝙣𝙤, all’imperatore tornò in mente una profezia attribuita a 𝙈𝙞𝙘𝙝𝙚𝙡𝙚 𝙎𝙘𝙤𝙩𝙤, l’astrologo di corte: «𝘮𝘰𝘳𝘪𝘳𝘦𝘵𝘦 𝘷𝘪𝘤𝘪𝘯𝘰 𝘭𝘢 𝘱𝘰𝘳𝘵𝘢 𝘥𝘪 𝘧𝘦𝘳𝘳𝘰, 𝘪𝘯 𝘶𝘯 𝘭𝘶𝘰𝘨𝘰 𝘪𝘭 𝘤𝘶𝘪 𝘯𝘰𝘮𝘦 𝘴𝘢𝘳𝘢́ 𝘧𝘰𝘳𝘮𝘢𝘵𝘰 𝘥𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘰𝘭𝘢 𝘧𝘪𝘰𝘳𝘦».
Per questo motivo, in tutti i tumultuosi anni del suo regno, 𝙁𝙚𝙙𝙚𝙧𝙞𝙘𝙤 𝙄𝙄 aveva sempre evitato 𝙁𝙡𝙤𝙧𝙚𝙣𝙩𝙞𝙖 (𝙁𝙞𝙧𝙚𝙣𝙯𝙚). E non era nemmeno più tornato a 𝙁𝙡𝙤𝙧𝙚𝙣𝙩𝙞𝙣𝙪𝙢 (𝙁𝙚𝙧𝙚𝙣𝙩𝙞𝙣𝙤) la città ciociara che aveva frequentato nel lontano 1223, quando con 𝙥𝙖𝙥𝙖 𝙊𝙣𝙤𝙧𝙞𝙤 𝙄𝙄𝙄 progettava una Crociata e dove fu deciso il suo matrimonio con 𝙅𝙤𝙡𝙖𝙣𝙙𝙖, una delle sue quattro mogli, figlia del re di Gerusalemme.
Il vaticino si avverava: 𝙁𝙚𝙙𝙚𝙧𝙞𝙘𝙤 𝙄𝙄 stava morendo... ..𝙨𝙪𝙗 𝙛𝙡𝙤𝙧𝙚 𝙖𝙥𝙪𝙙 𝙥𝙤𝙧𝙩𝙖𝙢 𝙛𝙚𝙧𝙧𝙚𝙖𝙢...
Dal suo letto a 𝘾𝙖𝙨𝙩𝙖𝙡𝙛𝙞𝙤𝙧𝙚𝙣𝙩𝙞𝙣𝙤, agonizzante, il sovrano guardava una porta di ferro che confinava con la parete di una torre.
Sgomenti, lo vegliavano il figlio diciottenne 𝙈𝙖𝙣𝙛𝙧𝙚𝙙𝙞, l’arcivescovo di Palermo 𝘽𝙚𝙧𝙖𝙧𝙙𝙤 𝙙𝙞 𝘾𝙖𝙨𝙩𝙖𝙜𝙣𝙖, il gran giustiziere della Magna Curia 𝙍𝙞𝙘𝙘𝙖𝙧𝙙𝙤 𝙙𝙞 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚𝙣𝙚𝙧𝙤, 𝙋𝙞𝙚𝙩𝙧𝙤 𝙍𝙪𝙛𝙛𝙤 responsabile delle scuderie imperiali, 𝙍𝙞𝙘𝙘𝙖𝙧𝙙𝙤, conte di Caserta e genero dell’imperatore e il medico 𝙂𝙞𝙤𝙫𝙖𝙣𝙣𝙞 𝙙𝙖 𝙋𝙧𝙤𝙘𝙞𝙙𝙖.
La mattina del 13 Dicembre, secondo una cronaca agiografica, l’imperatore volle indossare l’umile tonaca grigia dei cistercensi del terzo ordine di cui faceva parte. Chiese di essere sepolto nella 𝘾𝙖𝙩𝙩𝙚𝙙𝙧𝙖𝙡𝙚 𝙙𝙞 𝙋𝙖𝙡𝙚𝙧𝙢𝙤, accanto al padre ed alla madre. Il suo vecchio amico Berardo gli somministrò l’estrema unzione.
Alla notizia del decesso, 𝙥𝙖𝙥𝙖 𝙄𝙣𝙣𝙤𝙘𝙚𝙣𝙯𝙤 𝙄𝙑 non riuscì a trattenere la propria gioia per la fine del 𝘯𝘦𝘮𝘪𝘤𝘰 𝘨𝘪𝘶𝘳𝘢𝘵𝘰 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘊𝘩𝘪𝘦𝘴𝘢 𝘊𝘳𝘪𝘴𝘵𝘪𝘢𝘯𝘢. Le prime parole della missiva che il pontefice inviò al popolo di Sicilia spiegano il suo stato d’animo: «𝘌𝘴𝘶𝘭𝘵𝘪𝘯𝘰 𝘪 𝘤𝘪𝘦𝘭𝘪, 𝘭𝘢 𝘵𝘦𝘳𝘳𝘢 𝘴𝘪 𝘢𝘭𝘭𝘪𝘦𝘵𝘪 𝘱𝘰𝘪𝘤𝘩𝘦́ 𝘪𝘯 𝘧𝘳𝘦𝘴𝘤𝘩𝘪 𝘻𝘦𝘧𝘧𝘪𝘳𝘪 𝘦 𝘳𝘶𝘨𝘪𝘢𝘥𝘦 𝘧𝘦𝘤𝘰𝘯𝘥𝘢𝘵𝘳𝘪𝘤𝘪 𝘴𝘪 𝘴𝘰𝘯𝘰 𝘴𝘤𝘪𝘰𝘭𝘵𝘪 𝘪𝘭 𝘧𝘶𝘭𝘮𝘪𝘯𝘦 𝘦 𝘭𝘢 𝘱𝘳𝘰𝘤𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘤𝘩𝘦 𝘋𝘪𝘰 𝘤𝘪𝘵𝘦𝘯𝘦𝘷𝘢 𝘴𝘰𝘱𝘳𝘢 𝘪𝘭 𝘤𝘢𝘱𝘰».
Il fascino dell’imperatore svevo ha attraversato i secoli e vive ancora ai giorni nostri. La sua fine per centinaia di anni fu accompagnata da miti e leggende. Del resto, già prima della sua morte, la sua figura era stata mitizzata dai contemporanei. Un 𝘼𝙣𝙩𝙞𝙘𝙧𝙞𝙨𝙩𝙤 oppure un novello 𝙈𝙚𝙨𝙨𝙞𝙖, capace di riformare dal profondo la Chiesa. Già dopo la seconda scomunica, nel Giugno del 1239, in una sua Enciclica 𝙥𝙖𝙥𝙖 𝙂𝙧𝙚𝙜𝙤𝙧𝙞𝙤 𝙄𝙓 aveva paragonato 𝙁𝙚𝙙𝙚𝙧𝙞𝙘𝙤 𝙄𝙄 al mostro dell’𝘼𝙥𝙤𝙘𝙖𝙡𝙞𝙨𝙨𝙚 𝙙𝙞 𝙂𝙞𝙤𝙫𝙖𝙣𝙣𝙞: «𝘚𝘪 𝘭𝘦𝘷𝘢 𝘥𝘢𝘭 𝘮𝘢𝘳𝘦 𝘭𝘢 𝘣𝘦𝘴𝘵𝘪𝘢 𝘳𝘪𝘤𝘰𝘭𝘮𝘢 𝘥𝘪 𝘯𝘰𝘮𝘪 𝘣𝘭𝘢𝘴𝘧𝘦𝘮𝘪 𝘭𝘢 𝘲𝘶𝘢𝘭𝘦, 𝘪𝘯𝘧𝘪𝘦𝘳𝘦𝘯𝘥𝘰 𝘤𝘰𝘯 𝘻𝘢𝘮𝘱𝘦 𝘥'𝘰𝘳𝘴𝘰 𝘦 𝘤𝘰𝘯 𝘧𝘢𝘶𝘤𝘪 𝘥𝘪 𝘭𝘦𝘰𝘯𝘦, 𝘦 𝘯𝘦𝘭𝘭𝘦 𝘢𝘭𝘵𝘳𝘦 𝘮𝘦𝘮𝘣𝘳𝘢 𝘤𝘰𝘯 𝘧𝘰𝘳𝘮𝘢 𝘥𝘪 𝘭𝘦𝘰𝘱𝘢𝘳𝘥𝘰, 𝘢𝘱𝘳𝘦 𝘭𝘢 𝘣𝘰𝘤𝘤𝘢 𝘱𝘦𝘳 𝘣𝘦𝘴𝘵𝘦𝘮𝘮𝘪𝘢𝘳𝘦 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘳𝘰 𝘪𝘭 𝘯𝘰𝘮𝘦 𝘥𝘪 𝘋𝘪𝘰».
Un anno dopo (1240) il papa riprendeva la diceria propagata tra i seguaci dell’abate e teologo 𝙂𝙞𝙤𝙖𝙘𝙘𝙝𝙞𝙣𝙤 𝙙𝙖 𝙁𝙞𝙤𝙧𝙚 che voleva 𝙁𝙚𝙙𝙚𝙧𝙞𝙘𝙤 𝙄𝙄 figlio di un diavolo piuttosto che di 𝙀𝙣𝙧𝙞𝙘𝙤 𝙑𝙄: «𝘚𝘦𝘳𝘱𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘷𝘦𝘭𝘦𝘯𝘰𝘴𝘰 𝘤𝘰𝘯𝘤𝘦𝘱𝘪𝘵𝘰 𝘥𝘢 𝘮𝘢𝘵𝘦𝘳𝘪𝘢 𝘪𝘯𝘧𝘦𝘳𝘯𝘢𝘭𝘦».
Il 13 Dicembre 1250 moriva un personaggio portentoso e terribile, ma allo stesso tempo fenomenale e contraddittorio. O almeno raccontato come tale.
Su 𝙁𝙚𝙙𝙚𝙧𝙞𝙘𝙤 𝙄𝙄 𝙙𝙞 𝙃𝙤𝙝𝙚𝙣𝙨𝙩𝙖𝙪𝙛𝙚𝙣 il giudizio della storiografia contemporanea fu ondivago mescolando ammirazione e critica. Di certo ogni opinione fu condizionata dall’influsso della propaganda papale.
Nel 𝙁𝙚𝙙𝙚𝙧𝙞𝙘𝙤 𝙄𝙄, 𝙞𝙢𝙥𝙚𝙧𝙖𝙩𝙤𝙧𝙚, la monumentale biografia che 𝙀𝙧𝙣𝙨𝙩 𝙆𝙖𝙣𝙩𝙤𝙧𝙤𝙬𝙞𝙘𝙯 (1895-1963), storico tedesco di origini ebraiche, dedicò all’imperatore svevo, 𝙁𝙚𝙙𝙚𝙧𝙞𝙘𝙤 𝙄𝙄 è rappresentato come un titano, un supremo tutore della giustizia, capace di saldare nella sua opera di governo l’eredità dell’antica Roma e la dottrina della Chiesa. L’imperatore svevo, 𝘪𝘭 𝘱𝘳𝘪𝘮𝘰 𝘨𝘦𝘯𝘪𝘰 𝘳𝘪𝘯𝘢𝘴𝘤𝘪𝘮𝘦𝘯𝘵𝘢𝘭𝘦, è visto come una figura messianica, un 𝘤𝘰𝘴𝘮𝘰𝘤𝘳𝘢𝘵𝘰𝘳𝘦 che domina il suo tempo seduto sul globo del mondo che gli fa da trono.
Nell'immagine che segue l'articolo un tramonto presso 𝘾𝙖𝙨𝙩𝙚𝙡 𝙙𝙚𝙡 𝙈𝙤𝙣𝙩𝙚.
Il castello, dalla particolare forma ottagonale, fu una vera e propria corona di pietra notevolmente amata dall’imperatore 𝙁𝙚𝙙𝙚𝙧𝙞𝙘𝙤 𝙄𝙄.
Fonte della fotografia:
https://www.giovannicarrieri.com/photography/italy/castel-del-monte/federico-ii-svevia-castle.jpg
«ɪʟ ᴘʀɪɴᴄɪᴘᴇ ᴘᴏᴛᴇɴᴛᴇ ᴇ ᴛʀᴇ ᴠᴏʟᴛᴇ ʙᴇᴀᴛᴏ, FEDERICO,
ʙᴀɢʟɪᴏʀᴇ ᴅɪ ғᴜᴏᴄᴏ, ʟᴀ ᴍᴇʀᴀᴠɪɢʟɪᴀ ᴅᴇʟ ᴍᴏɴᴅᴏ,
ɪʟ ᴄᴜɪ ᴀʀᴄᴏ ᴇ́ ᴅɪ ʙʀᴏɴᴢᴏ ᴇ ɪʟ ᴄᴜɪ ᴅᴀʀᴅᴏ ᴇ́ ғᴏʟɢᴏʀᴇ
ᴄʜᴇ ʙʀᴜᴄɪᴀ ᴅᴀ ᴘᴀʀᴛᴇ ᴀ ᴘᴀʀᴛᴇ ɪ ɴᴇᴍɪᴄɪhe,
ᴀ ʟᴜɪ, FEDERICO, ᴄʜᴇ ʜᴀ ɪʟ ɴᴏᴍᴇ sғᴀᴠɪʟʟᴀɴᴛᴇ ᴇ ɢᴜɪᴅᴀ ʟᴀ ɢʟᴏʀɪᴀ,
sᴇʀᴠᴏɴᴏ ʟᴀ ᴛᴇʀʀᴀ, ɪʟ ᴍᴀʀᴇ ᴇ ʟᴀ ᴠᴏʟᴛᴀ ᴅᴇʟ ᴄɪᴇʟᴏ»
𝙂𝙞𝙤𝙧𝙜𝙞𝙤 𝙙𝙖 𝙂𝙖𝙡𝙡𝙞𝙥𝙤𝙡𝙞
da 𝗖𝗼𝗹𝗹𝗼𝗾𝘂𝗶𝗼 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗰𝗶𝘁𝘁𝗮́ 𝗱𝗶 𝗥𝗼𝗺𝗮 𝗰𝗼𝗻 𝗹'𝗶𝗺𝗽𝗲𝗿𝗮𝘁𝗼𝗿𝗲 𝗙𝗲𝗱𝗲𝗿𝗶𝗰𝗼 𝗜𝗜, vv. 20-25,
testo e traduzione dal greco a cura di Marcello Gigante
Origine: Carme IX (circa 1244-1247), citazione in Marcello Gigante, Poeti bizantini in Terra d'Otranto nel secolo XIII, Napoli, 1979
testo greco a p. 176; traduzione a p. 188.
Per chi volesse innamorarsi della figura di 𝙁𝙚𝙙𝙚𝙧𝙞𝙘𝙤 𝙄𝙄 𝙙𝙞 𝙃𝙤𝙝𝙚𝙣𝙨𝙩𝙖𝙪𝙛𝙚𝙣 consigliamo di vedere l'intervento del 𝙥𝙧𝙤𝙛. 𝘼𝙡𝙚𝙨𝙨𝙖𝙣𝙙𝙧𝙤 𝘽𝙖𝙧𝙗𝙚𝙧𝙤 durante la manifestazione 𝙋𝙞𝙨𝙩𝙤𝙞𝙖 - 𝘿𝙞𝙖𝙡𝙤𝙜𝙝𝙞 𝙨𝙪𝙡𝙡'𝙐𝙤𝙢𝙤.
https://www.youtube.com/watch?v=glt7o_Q5qHw