09/11/2021
““Nell’uomo interiore abita la Verità.
Nell’uomo interiore abita Cristo”
Sant’Agostino
Nei monasteri si vive un’esistenza consacrata a Dio: il monaco, immerso nella solitudine e nel silenzio, nella preghiera e nel lavoro, ricerca la comunione e l’unità con il Signore attraverso la meditazione e la riflessione. Questa tensione interiore non è un privilegio esclusivo del monaco, ma è un’esigenza insita nella natura umana ed ogni persona è misteriosamente chiamata ad assecondarla. Gli esseri umani possono avere differenti tipi di vocazione, ma per ognuno l’unico modo per raggiungere l’autentica felicità è perseguire una ricerca interiore d’unità con Dio che permetta di vivere in armonia con se stessi e con gli altri. Il protagonista è l’uomo; l’uomo che cerca un rapporto con il Creatore; l’uomo che si lascia illuminare dalla luce divina nel silenzio e nella bellezza della natura; l’uomo che costruisce con la sua creatività artistica splendide opere d’arte in nome della spiritualità (1). Il patrimonio spirituale legato al paesaggio naturale ed all’architettura religiosa è in grado in ogni tempo di favorire quella calma interiore e quel genius loci capaci di stimolare la riflessione, elevare i sentimenti e stabilire un colloquio con i valori trascendenti. Tutti pensiamo di sapere cosa sia un chiostro. In realtà soffermandosi sul significato del termine ci si imbatte in questioni di grande interesse e complessità. “Entrare nel chiostro” o “uscire nel chiostro”, entrambe le espressioni sono abitualmente utilizzate ed evidenziano il fatto che il dentro o il fuori sono una questione di punti di vista e nel caso del chiostro rilevano l’ambiguità del luogo, la sua doppia natura di aperto e chiuso (2). Il chiostro generalmente inteso è un luogo recintato da un porticato e allo stesso tempo è un elemento di comunicazione e disimpegno tra i diversi fabbricati del monastero: infatti da esso si deve poter accedere a tutti gli spazi riservati alla vita dei monaci. Ma cosa rappresenta il chiostro nella vita spirituale? Per rispondere in modo esauriente prendiamo come esempio mirabile il cosiddetto Chiostro del Capitolo o della Scuola ovvero del Pozzo appartenente all’Abbazia Benedettina di S. Pietro in Perugia. In tale complesso monumentale sono presenti ben tre chiostri: il primo, quello d’ingresso, progettato ed iniziato nel 1614 dall’architetto Valentino Martelli, ha la funzione di dare al convento un ingresso importante ed imponente; il secondo, quello delle Stelle o minore, fu progettato dall’architetto Galeazzo Alessi nel 1571 per soddisfare le esigenze del monastero in espansione; il terzo, addossato alla parete della navata destra (sud) della chiesa, è appunto il chiostro detto del Pozzo, attribuito a Francesco di Guido, maestro settignanese, e risalente agli inizi del secolo XVI. Soltanto quest’ultimo svolge la funzione vera e propria del chiostro che consiste nell’essere il cuore pulsante del monastero (3). Il chiostro ha una sua sacralità poiché svolge un ruolo fondamentale nella liturgia, nell’ufficio divino e nella meditazione dei monasteri. Questi ultimi, sia maschili sia femminili, hanno come fulcro il “claustrum”, inteso come luogo in cui l’uomo può incontrare Dio attraverso la meditazione, la “deambulatio”, la preghiera, il canto, la lettura, la riflessione a volte sollecitata da immagini pittoriche o scultoree significative da un punto di vista biblico o per la storia dell’Ordine. La pianta rettangolare o quadrata possiede solitamente al centro un pozzo che, oltre a svolgere la sua funzione primaria, è considerato anche “fons vitae” rimandando al significato dell’acqua intesa come simbolo di purificazione e rinnovamento dello spirito. Vi sono delle architetture che possono essere considerate come possibili precedenti per la tipologia del chiostro monastico. Si tratta però di strutture prive di un vero e proprio legame di affinità con la natura simbolica di questo spazio. Ad esempio, la corrispondenza tra il chiostro e il quadriportico della basilica paleocristiana e la somiglianza con certe soluzioni costruttive tipiche dell’architettura romana civile precedente l’avvento del Cristianesimo, sembrano alquanto forzate. In ambedue i casi si tratta di semplici analogie architettoniche. Infatti, mentre l’atrio paleocristiano si configura come un accesso al luogo sacro prospiciente la chiesa e quindi predisposto per essere attraversato dai fedeli, il chiostro si pone invece come un luogo appartato, di raccoglimento, che fiancheggia l’edificio sacro e che non viene in alcun modo interessato dai movimenti di coloro che si recano nel luogo di culto. Pertanto la sua origine come spazio fisico architettonicamente strutturato risponde ad esigenze precise organizzative e spirituali della comunità monastica. Già le prime norme monastiche, come quelle di S. Pacomio o di S. Basilio risalenti al IV secolo, prescrivevano che i monaci non potessero varcare, senza autorizzazione, un determinato “confine” denominato per l’appunto claustrum; un concetto questo che sarebbe stato poi ribadito senza sostanziali modifiche dalla Regola di S. Benedetto (VI secolo), che con la formula clausura monasterii indicava ancora un limite fisico proprio del monastero e non uno spazio ben definito riferibile alla sua architettura (4). Durante il Concilio di Tours, nel 567 d.C., fu sancito che i monaci dovessero avere un apposito ambiente per potersi dedicare alla lettura ed alla meditazione. Nel tempo tale ambiente viene costruito in svariate forme architettoniche sempre più in sintonia con l’originario concetto di “confine che chiude”: così nasce il “chiostro”, termine che esprime bene la finalità che deve svolgere la struttura. Esiste la pianta di un’abbazia modello tra i manoscritti del Monastero di San Gallo in Svizzera. Il disegno è stato realizzato nel secolo XI. Entro un grande recinto e lungo i lati del chiostro si trovano disposti la chiesa, i dormitori dei monaci, la sala capitolare destinata alle riunioni, la biblioteca (scriptorium) e il refettorio. Poco distante sorgono i fabbricati per i servizi, i magazzini, le officine, i laboratori, l’abitazione dell’abate, l’infermeria, la foresteria, l’orto con le erbe destinate alla confezione dei medicinali e la relativa farmacia. Una sorta di cittadella di Dio, una Gerusalemme celeste, dove il monaco trova tutto ciò che serve per le esigenze dell’anima, dell’intelletto e del corpo. Il “chiostro del Pozzo” ricalca in gran parte tale struttura, infatti ogni braccio risponde ad una precisa funzione: quello posto ad est, è destinato alla vita spirituale e all’amministrazione quotidiana; quello opposto alla chiesa, assolve alle attività domestiche; quello ad occidente, ospita i locali per i fratelli conversi ed infine quello a nord è destinato alle riunioni quotidiane dei monaci per la lettura comune, per cerimonie o per studio in ragione anche della presenza di tre portali con le scritte “PHILOSOPHIA”, “THEOLOGIA”, “LOGICA” indicanti probabilmente delle aule (5). Normalmente nel chiostro avviene la “statio” cioè il momento di raccoglimento e di preghiera prima di iniziare la liturgia monastica in chiesa e vi si svolgono anche processioni accompagnate da canti gregoriani. Nella tradizione monastica il chiostro viene considerato come il giardino biblico-liturgico, riveste inoltre una speciale sacralità protetta da un’atmosfera raccolta e discreta. Spesso i monaci passeggiano lungo il chiostro con il cappuccio in testa quasi ad esaltare quel raccoglimento che il luogo offre per le sue caratteristiche architettoniche. Il chiostro, dunque, è il posto ove il monaco protetto dalle intemperie, dal sole e dal vento, passeggia in silenzio, medita e mantiene un contatto fisico con il cielo, infatti nessun “claustrum” è completamente al coperto, sarebbe come costruire una barriera tra la creatura ed il creatore. Talvolta le pareti del chiostro sono adornate da affreschi rappresentanti scene bibliche ed episodi edificanti riferiti alla vita dei Santi. Ciò rafforza l’idea di trovarsi in un contesto biblico e liturgico. Nel chiostro dell’Abbazia di S. Pietro, proprio lungo l’ala che rasenta il Capitolo, esisteva ed esiste ancora un ingresso alla Basilica costituito da un portale in pietra serena sopra il quale è affrescata una Madonna con bambino tra quattro Santi. I monaci, durante la “statio”, mentre attendevano nel raccoglimento l’arrivo dei confratelli, ispirati dal soggetto dell’affresco, invocavano la Madre di tutti i credenti e i Santi a cui erano più devoti. Il chiostro è il cuore del monastero non solo perché è il luogo di disimpegno, ma soprattutto perché la vita monastica pulsa all’interno e intorno ad esso. Si tratta quasi sempre di uno spazio quadrato, spesso con un giardino al centro. Le quattro gallerie o corridoi che girano intorno, offrono un accesso coperto ai diversi edifici o luoghi di lavoro che si aprono su di essi: dalla Basilica, al Capitolo, all’Infermeria, alla Biblioteca, al Refettorio. La funzione del chiostro è quella di rasserenare il monaco e di ridonargli la tranquillità dell’anima attraverso la contemplazione del creato. Lungo i portici del quadrilatero il monaco medita passeggiando o leggendo la Bibbia sottovoce, talvolta addirittura la declama, quasi a far entrare la parola di Dio nella propria vita attraverso la mente e l’udito. È pure consueto sentire risuonare tra le arcate il canto gregoriano sia per diletto sia come esercizio preparatorio alle funzioni liturgiche, le quali iniziano quasi sempre nel chiostro, precedute come anzidetto dalla “statio”. Inoltre, era il luogo in cui veniva comunicato il programma di lavoro per i monaci. Quest’altra funzione aiuta a percepire l’aspetto unitario ed unificatore del chiostro nella vita monastica perciò le diverse attività della vita quotidiana si vivono tutte sempre sotto lo sguardo di Dio e non si sente l’esigenza di introdurre una distinzione netta tra sacro e profano, tra spirituale e materiale: i due cardini della vita del benedettino “ora et labora” si compenetrano a tal punto che il lavoro diventa preghiera e la preghiera una parte integrante dell’attività lavorativa del monaco. Sul chiostro principale si affaccia oltre al tempio sacro, anche la sala capitolare. In essa si svolgono attività liturgiche, formatrici e disciplinari; il capitolo delle colpe è una di queste. Inoltre, nella sala vengono discusse le questioni interne della comunità, l’ammissione dei nuovi membri, l’elezione dell’abate, le decisioni relative alla vita in comune. In questo luogo si legge ogni giorno un brano della Regola di San Benedetto e l’abate propone il suo insegnamento. Il refettorio fa pure parte delle strutture prospicienti il chiostro o perlomeno è nelle immediate vicinanze: la mensa comune, alla quale non si può mancare se non per seri motivi, manifesta l’unione dei fratelli e la rafforza. Diventa esperienza di comunione nel servizio e nella ca**tà reciproca. Il refettorio è il luogo in cui si mettono in comune i frutti del lavoro manuale di ognuno. In questo ambiente, quasi solenne come la sala capitolare e la chiesa, si mangia in silenzio, ascoltando una lettura. Tale luogo ha una doppia funzione: è spazio destinato alla refezione del corpo e dello spirito. Lavorare procura il cibo materiale necessario alla vita del corpo; ascoltare la Parola di Dio procura il cibo che nutre la vita spirituale. Seduto al suo posto, il monaco non ha nessuno di fronte con cui parlare, ascolta la lettura della Parola di Dio attendendo, nel silenzio dell’ascolto, l’incontro con Gesù, questo Visitatore che sta alla porta e bussa, desiderando di cenare con lui (Apoc. 3,22). Bernardo di Chiaravalle in molte sue opere esorta i monaci a meditare al fine di riuscire ad aumentare la conoscenza di sé. La meditazione su se stessi diviene, per usare le sue parole, un’arte di vita, un esercizio spirituale totale allo scopo di meglio amare Dio ed apprezzare quanto il Signore ha donato all’umanità. E’ necessario che l’uomo impari a guardare nel suo cuore e a conoscersi affinché prenda coscienza della sua grandezza interiore e possa così attingere pienamente e consapevolmente ai beni spirituali che gli sono stati dati. Alla luce della frenesia che caratterizza ed avvilisce il nostro tempo si è persa l’attitudine propria dell’essere umano alla meditazione, al raccoglimento ed alla riflessione. Guardando il chiostro è inevitabile non pensare al tempo che passa ed alla necessità di riacquistare la capacità di raccogliersi e guardare in se stessi. Non possiamo fermare il tempo, dono del Signore, memoria e speranza, ma le nostre giornate, vissute in Dio, possono essere dedicate, anche se in minima parte, al silenzio ed all’ascolto senza farsi inghiottire dalla frenesia dei tempi. La funzione del chiostro suggerisce la necessità e l’importanza di allontanarsi dai rumori nei quali siamo ogni giorno immersi per recuperare una dimensione che permetta di ascoltare la voce della propria spiritualità e della propria coscienza.
NOTE
1 LG.A. POSSEDONI, Itinerari del silenzio, Società editrice “il lavoro editoriale”, Ancona 1992, p. 9.
2 AA.VV., I chiostri di San Pietro in Perugia, Ali&no editrice, Perugia 2004, p. 26.
3 AA.VV., I chiostri di San Pietro in Perugia, Ali&no editrice, Perugia 2004, p. 35.
4 A. LENTINI, La Regola di S. Benedetto, Montecassino 1997, pp. 113-114.
5 AA.VV., I chiostri di San Pietro in Perugia, Ali&no editrice, Perugia 2004, p. 38.
Anno III n.1, gennaio/febbraio 2005
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